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Archivio mensile:aprile 2022

Per il COWT12 ancora Saint Seiya e Hyoga/Shun a pacchi. Questo è whumpy e fa male, approcciare con prudenza please.

Chi sei?

Circondato dalle macchine che lo tengono in vita, Hyoga sembra sgonfiato. Sgonfiate le sue braccia muscolose, ora inerti fra le pieghe bianche del lenzuolo. Sgonfiato il torace che si alza e si abbassa appena al ritmo del suo respiro. 

Sgonfiata la volontà incrollabile che lo ha tenuto in piedi fino alla fine dell’ultima battaglia. Per abbandonarlo tutta assieme; Shun lo ha visto abbattersi al suolo, dopo l’ultima Aurora Execution che ha congelato la terra e tinto di bianco il cielo. 

Una corsa matta, le gambe che lo tenevano appena. Il ghiaccio duro sotto le ossa ammaccate mentre si buttava in ginocchio accanto a lui. Occhi azzurri sbarrati sul nulla, una pozza rossa sotto la guancia, l’elmo del Cigno in pezzi. Come il cranio che avrebbe dovuto proteggere.

“Hyoga! Resta con me.” Mani tremanti, sulla sua faccia rigata di sangue. “Resta con me.”

Hyoga è rimasto. Quel che è rimasto di lui. Non molto.

Un corpo immobile sotto le lenzuola dell’ospedale, una testa rasata, ricostruita con graffe di titanio e speranza.

Ma anche la speranza è difficile da nutrire, dopo un mese che Hyoga non dà segno di vita. Agganciato a un’infinità di tubi e cavi, e quelli a macchine che lampeggiano, ticchettano, sibilano. È difficile persino avvicinarsi al suo letto, sedersi sul materasso, tenergli la mano. 

“Parlagli, gli fa bene. Magari sentire la tua voce lo riporterà indietro.”

E Shun gli parla, gli parla per ore, di tutto e di niente, finchè non ha la gola secca e gli occhi che bruciano. Deve tenere la voce bassa o è sicuro che si romperà in un mare di singhiozzi. Dubita perfino che raggiunga le orecchie di Hyoga, in mezzo a quel rumore bianco di macchinari. Uno scudo invisibile che chiude fuori lui e i suoi mormorii inutili.

Tanto Hyoga non si sveglia. 

Stringe le sue dita inerti, si sposta un po’ sul materasso facendo attenzione a non staccare nessuno dei supporti che cercano di ricollegare Hyoga alla vita. Per ora riescono solo a tenere vivo il suo involucro, ma lo spirito, quello, chissà dove se n’è andato.

“Verrei con te fino ai confini del mondo.” Si ricorda benissimo di avergli detto quelle parole, molto tempo fa. Ma dovunque sia Hyoga, lui non può arrivare. Per quanto lo desideri. Nemmeno la sua catena, capace di attraversare le dimensioni, si estende così tanto.

Si porta alla bocca la mano di Hyoga, bacia le nocche una ad una, i polpastrelli. Ha finito le parole per oggi, ma non se la sente di andarsene. Troppo solo. Troppo solo fra gli altri Santi, così attenti a non turbarlo, a rispettare il suo.

Dolore?

Nemmeno. La disperazione di avere Hyoga accanto tutti i giorni, eppure così lontano. Immobile, muto, le palpebre chiuse a nascondere i suoi occhi, vuole rivedere quell’azzurro, e le minuscole scintille che li animano quando Hyoga ride.

“Ti prego,” sussurra. Sente le lacrime salire e stavolta non le fermerà. “Ti prego decidi. Decidi. Io. Non ce la faccio più.” Si appoggia sulla guancia il palmo di Hyoga, deve sorreggere il peso del suo braccio inerte. “Decidi se vuoi tornare da me. O se devi andare, vai. Ma decidi. Ti prego–”

Le lacrime gli colano in bocca, atterrano in gocce grosse sul bianco dei suoi pantaloni. Troppe. Ne ha tenute dentro troppe ed ora escono tutte insieme. Un’onda silenziosa che lo svuota. 

Accarezza la guancia fresca di Hyoga. Non può guardare troppo a lungo il suo viso inespressivo o le lacrime non si fermano più. Nudo senza la corona scompigliata dei capelli biondi. Gli piaceva arrotolarsi sulle dita quelle ciocche lunghe, profumate di shampoo al miele. 

“Hyogaー” 

Una spia inattesa si accende di rosso, poi un’altra; parte un allarme troppo forte. Il suo cuore perde un battito. Cosa gli è saltato in mente di dire?

Davvero Hyoga se ne sta andando? Piange più forte, premendosi la sua mano sulla bocca. 

Non è giusto.

Hyoga è suo. Non di Atena, condannato a rischiare la vita troppo spesso per riportare l’equilibrio nella lotta ardente degli dei.

Stavolta, una volta di troppo.

La sua catena trema, arrotolata al polso come un braccialetto, calda e pesante. “Che c’è?” sussurra. La sfera di metallo si strofina sul palmo della sua mano. “Dove vuoi andare?” Alza la mano per darle via libera, gli anelli si svolgono tintinnando, saettano verso la faccia di Hyoga.

“Ngh.” La ferma stringendola fra le dita, la catena tira così forte da scorticargli il palmo, Il sangue gli cola giù per il polso. Non c’è verso. Perde la presa e l’arma si avvolge attorno all’ovale della faccia di Hyoga. “No!” Ma non può fare niente, non è in grado di trattenerla. Il cerchio si stringe, premendo la mandibola di Hyoga contro la mascella, le sue labbra si sigillano in una linea sottile, il metallo gli affonda nella carne. La sfera appesa alla catena preme contro le sue narici, 

“No! Che fai?” Gli esce dalle labbra in un sussurro disperato. 

L’allarme smette di suonare, le spie tornano di un verde rassicurante. 

La catena si riavvolge sul polso. Attorno alla faccia di Hyoga restano lunghi segni rossi che presto vireranno al viola.

Cos’è stato?

Un’infermiera  entra di corsa; la porta a vetri della stanza trema, sbattendo alle sue spalle. “Che succede?” É Dora. Controlla spie e tracciati col fiato corto, annuendo tra sé e sé. “Tutto a posto, sembrerebbe.” Lo guarda fisso, Shun si stringe nelle spalle.

“Mi spiace, Dora, non vorrei aver spostato un cavo per sbaglio.” Ma sa che non è così.

La sua catena ha fermato qualcosa.

Qualcosa.

“Mi raccomando stai attento, Shun.” Gli occhi dell’infermiera si rattristano, fissandosi nei suoi. Forse ha visto morire troppa gente. Dev’essere difficile. “Vai a riposarti un po’. Sei più pallido di lui.” Gli carezza una spalla. 

SI rilassa per un attimo nel tepore del suo palmo attraverso la camicia. Solo ora si rende conto di quanto il suo corpo sia teso. “Fra poco vado, Dora. Grazie.” Si sente gli occhi gonfi, le guance bagnate. Un brutto spettacolo. Abbassa la faccia, stringe fra le sue la mano fredda di Hyoga. 

“Tanto so che non lo fai. Ti porto un the.” Il contatto si interrompe, gli zoccoli di Dora scivolano sul pavimento lucido, la porta si chiude piano.

Lui annuisce, incassato nelle spalle. In silenzio per non dover piangere di nuovo. Si china finché la sua fronte tocca il torace di Hyoga, che si alza e si abbassa piano. 

Le dita strette nelle sue si contraggono. Un’altra volta. Non può essersi sbagliato. Un singhiozzo gli blocca il respiro, alza la testa di scatto. Sperando senza osare farlo. Sarebbe ancora peggio. 

“Hyoga? Mi senti?”

Le palpebre di Hyoga tremano, si aprono un millimetro alla volta. Lui trattiene il fiato. Ha aspettato troppo questo momento e ora non può crederci davvero. Forse si è addormentato sopra a Hyoga, di traverso su di lui. Ed ora sta sognando. 

É già successo. 

Se è un sogno non vuole svegliarsi, mai.

“Hyoga–”

Occhi enormi nel viso nudo. Ancora più grandi senza la frangia scompigliata dietro cui nascondersi.  Finalmente. Finalmente può rivedere quell’azzurro. Più bello di qualsiasi cielo.

Hyoga aggrotta le sopracciglia, lo fissa cercando di metterlo a fuoco. “Tu–” La sua voce è incerta. “Tu. Chi sei?”

Per il COWT12 ancora Saint Seiya, come se non ci fosse domani! Hyoga/Shun fluffiness, POV di Ikki.

Il road trip che mi era rimasto incastrato nella tastiera lmao

Inguardabili

Compresso nel sedile troppo stretto sbircia sopra il bordo del libro, incapace di concentrarsi. 

Ha scelto il posto sbagliato.

Dalla sua posizione riesce a vedere solo la schiena di Hyoga, girata verso il corridoio centrale del pulmino. Però sa che a fianco a lui, lato finestrino, sta seduto suo fratello. 

Li sente parlottare sottovoce, senza riuscire a capire cosa si dicono per quanto tenda l’orecchio.  Ogni tanto si alza la risata argentina di Shun, seguita da quella di Hoga, più bassa. Più cupa. Gli pare di non averla mai sentita prima d’ora. 

Ed è sufficiente a mettergli la smania addosso. 

Rialza il libro. Draghi e ammazzamenti, la storia sarebbe pure avvincente, ma il pensiero di quei due gli rosicchia il cervello e le parole gli ballano davanti agli occhi senza senso. 

Quei due sono inguardabili. 

Inguardabili. Sempre appiccicati, orbitando uno nel campo di gravità dell’altro. Basta loro un’occhiata di sbieco per capirsi. Vibrando sulle stesse frequenze. 

Seiya è convinto che sia per via del miracolo alla casa della Bilancia; così gli ha detto qualche mese fa, dopo la guerra contro Poseidone. Ha usato esattamente quella parola, miracolo, e a Ikki è salito un brivido lungo la schiena perché di solito i messia finiscono male.

Secondo Seiya, il Cosmo di Shun ha lasciato una traccia del suo passaggio in Hyoga, quando suo fratello l’ha usato per liberare il Santo del Cigno dal gelo inesorabile in cui lo aveva imprigionato Camus. 

Gli sembra ragionevole. 

Quel che è meno ragionevole è il comportamento da. 

Fidanzatini. 

Ecco, fidanzatini è la parola. 

Perché lo sguardo di suo fratello si intenerisce, quando incontra quello di Hyoga. 

E Hyoga. 

Hyoga è freddo. Non puoi aspettarti altro da uno che padroneggia lo zero assoluto. E sebbene abbia dichiarato che Shun è riuscito a sgelare il suo cuore, o almeno così gli hanno raccontato dopo la fine della corsa al Tempio, a lui quel mezzo russo sembra sempre il solito musone. Tranne, di nuovo, quando Shun è nei paraggi 

Allora  la curva dura delle labbra di Hyoga si addolcisce. 

Ikki appoggia il libro sul ginocchio, guarda la campagna che corre fuori dal finestrino, campi di riso e case basse, donne chine a lavorare con i piedi nell’acqua. Si frega gli occhi con pollice e indice. 

Che sia gelosia?

Di vedere qualcuno più vicino di lui a Shun? 

E che quel qualcuno sia il russo musone?

Shun non è più un bambino bisognoso della sua protezione, e dopo il soggiorno a Death Queen Island e la sua follia, è stato lui stesso a tenersi lontano dal fratello e dagli altri Santi. Dopo quello che ha fatto, si stupisce che Shun gli parli ancora. Che lo guardi, lo tocchi, lo abbracci. 

Con la stessa tenerezza di quando erano bambini, stretti assieme perché erano l’unica cosa che restava l’uno all’altro. Questo non è cambiato, anche se ora Shun lo cerca meno. 

È normale. Shun è cresciuto negli anni che hanno trascorso separati, diventando più forte di quanto probabilmente lui stesso si renda conto di essere. Non ha più bisogno di un fratello grande a coprirgli le spalle. Non tanto. 

Anzi. 

Shun si è alzato più volte a difesa di Hyoga, nel corso delle guerre sante. È assurdo come suo fratello sia in grado di proteggere  gli altri ma non sé stesso. 

Ikki sospira e riprende in mano il libro. Tre righe lette male e un movimento alla sua sinistra lo fa voltare di scatto. 

In piedi nel corridoio centrale, Seiya gli agita davanti agli occhi un mazzo di carte da Uno. “Partitina?” Fa uno di quei suoi sorrisi larghi, reggendosi allo schienale con la mano libera.. 

Lui scuote la testa. Gli ci manca giusto quello. 

Seiya ridacchia e fa un cenno con la testa verso quei sedili. “I drammi di un fratello maggiore?”

E che diavolo. Non pensava di essere così trasparente. “Stavo cercando di leggere.”

“Difficile con tutte queste distrazioni.” Seiya ride ancora. “Shun è grande, non ha più bisogno che tu lo protegga. Non da Hyoga almeno.”

“Non sono certo il custode di mio fratelloー” Ma Seiya ha colto nel segno e lui sta mentendo. Certe abitudini sono difficili da perdere. 

“No di certo.” Seiya gli mette una mano sulla spalla, e se c’è una scintilla di divertimento nei suoi occhi scuri, è venata di perplessità. “Dai, vieni. In tre è più divertente.”

Forse Seiya ha ragione. Rimanere da solo a ruminare sulle cose, incassato in quel sedile scomodo, lo sta facendo diventare irrequieto. Sospira e piega l’angolo della pagina per tenere il segno, abbandona il libro sul posto vuoto accanto al suo. 

Seiya lo guida verso il posto da quattro; si siede di fronte a Shiryu, spazza via con l’avambraccio il walkman e i fumetti sparsi sul tavolino. Ikki era sicuro che avrebbe scelto lo stesso lato, lasciando lui solo dall’altra parte. Sempre solo contro gli altri.

Forse non tutto è perduto. Si incunea nel sedile di fianco a Seiya. A due file di distanza, con lo schienale che li protegge, può sentire a malapena  suo fratello e Hyoga che chiacchierano fitto. Di vederli non se ne parla proprio. 

Shiryu fa un ghignetto zen scrocchiandosi le dita. “Eccoti. Oggi vi distruggo, lo sento.”

“Ha! Voglio proprio vedere.” Seiya rimescola le carte e inizia a distribuirle. “Come te la senti Ikki?”

Lui alza le spalle, disponendo le sue a ventaglio. “Vincerò come al solito io.” 

“Senti senti.” Shiryu si sporge sul tavolino, aggrottando le sopracciglia. “Chissà se te lo lascio fare.”  

La partita va veloce, ormai sono grandi. A ogni esitazione volano carte di penalità e sbruffonaggini sempre più grosse. Gli fa pensare a loro bambini, riuniti attorno al tavolo tondo della stanza comune dell’orfanotrofio; Seiya è sempre stato quello che dava le carte. Shun di solito faceva coppia con lui perché non aveva ancora imparato bene a leggere i numeri. Partite sporadiche, riuscivano a giocare solo quando non erano troppo devastati dagli allenamenti del giorno. Cioè, quasi mai.

Guarda negli occhi i suoi compagni, alle volte sembra impossibile che siano riusciti a sopravvivere a. Tutto. Ritrovandosi ancora una volta uniti, malgrado tutto quel tutto. Malgrado sia rimasto poco di quei bambini che ogni tanto giocavano attorno al tavolo tondo.

Eppure sono ancora lì a vociare su un punto dubbio.

Quando il pulmino si ferma hanno troppe carte in mano. Si guardano. 

“Contate.” Shiryu fa scorrere le sue sopra l’indice, una dopo l’altra.

Lui alza le spalle. “Bah non ne ho voglia. Tanto è a monte tutto.”  Fa per lanciare le sue sul tavolo, 

Seiya lo ferma con un gesto imperioso della mano. “Nemmeno per idea. Ognuno si mette in tasca le sue e poi continuiamo.” Infila il mazzo di scarto e quello di pesca nella scatola, faccia contro faccia. 

Lui si alza per recuperare il borsone dal comparto sopra il suo posto. Perché i due fidanzatini non si muovono? Dovranno finire l’ultimo discorso? “Ma la frasina acida che stava per uscirgli gli si blocca in gola, quando si sporge verso i loro sedili.

Hyoga si è addormentato con la testa sulle gambe di suo fratello, stringendosi al petto la giacca kaki, e russicchia sottovoce. Anche Shun dorme, tutto reclinato su di lui, abbracciandogli la schiena come se fosse un cuscino, una ciocca bionda arrotolata attorno all’indice. Le labbra semiaperte sono curvate in un sorriso tenero; sulla maglietta blu di Hyoga, dove appoggia la guancia, c’è una chiazza scura di bavino.

Shun lo fa da sempre, fin da quando era un bimbetto con la faccia paffuta e Ikki poteva stringerlo a sé ogni volta che voleva. Allunga una mano per svegliarli ma si ferma a metà.

Non può rovinare quel momento di pace.

SI stropiccia la faccia, scuote la testa.

Inguardabili. Ecco cosa sono.

Però non ha mai visto il suo fratellino così felice. 

Per il COWT12 un ulteriore fanfic di Saint Seiya (awh the brainrot) Hyoga/Shun.

Praticamente l’arrivo a sorpresa di Hyoga alla Guerra Galattica, visto con gli occhi di Shun che è molto meno innocente di quanto vorrebbe far credere lmao

Bello come il ghiaccio

La schiera fitta di edifici si apre, ora  l’arena campeggia alla loro destra in tutta la sua imponenza, il perimetro circolare delimitato da archi massicci di pietra bianca. La cupola già chiusa sulla sommità splende di riflessi come un miraggio da favola.

Favole di sangue, sotto quel cielo artificiale. Sospira e si frega gli occhi. Vorrebbe essere lontanissimo da lì, ma ha una missione da portare a termine.

Niente può fermarlo.

L’autista si ferma davanti alla stradina corta che conduce alla doppia porta d’entrata; Ichi esce per primo, seguito da Jabu. Infine lui. Si prende il suo tempo, non ha fretta di trovarsi chiuso là dentro 

La luce del sole gli ferisce gli occhi, dopo la penombra morbida della lunga macchina coi vetri oscurati; si fa ombra con un braccio, guarda su, il cielo azzurro e vasto, striato da sfilacci di nuvole bianche.

Non credeva che ce l’avrebbe fatta a ritornare a casa vivo.

Invece eccolo lì, a camminare tra due ali di folla urlante con il Cloth di Andromeda addosso. Chiamano il suo nome, alzano le macchine fotografiche al suo passaggio. Gli fa sempre strano, non è il più prestante dei Santi per corporatura, e  la Guerra Galattica è appena iniziata, non ha ancora partecipato a nessun incontro. 

Eppure fa impazzire la gente. Vorrebbe sprofondare nel suo angolo quieto, lontano da quegli occhi e quel fracasso, lontano dal sangue che dovrà spillare agli avversari per vincere. 

Sono stati i suoi compagni d’infanzia. 

Eppure non può tirarsi indietro, non stavolta. 

La vittoria è più importante, più di qualsiasi incertezza possa tenerlo lontano da questa stupida guerra, il cui scopo apparente è danneggiarsi a vicenda per stabilire chi sia il più forte. 

Ma la vera forza non sta nell’infliggere il maggior danno possibile ai propri avversari. Non può essere tutto lì.

E il suo vero scopo non è indossare un Cloth d’oro.

Jabu gli punta il gomito nel fianco. “Tutti ti amano, bellino.”

Shun sospira, si scosta di un passo e continua a camminare guardando avanti. Jabu si avvicina di nuovo, un’altra gomitata, un sorrisetto velenoso. “Forse credono che sei una ragazzina, con quel Cloth rosa. Frigni ancora come quando eri piccolo? Peccato non c’è qui tuo fratello a difenderti come al solito.”

Si ferma di scatto, le mani strette in pugni. Jabu quasi gli sbatte addosso.

“Piantala, Jabu.”

La mano di Jabu sulla spalla lo fa sussultare. “Forse tuo fratello non è venuto perchè non vuole una palla al piede come te a traino.” Gli sussurra nell’orecchio. I peli gli si rizzano sul collo. “O forse è morto.”

La sua paura peggiore. Shun china la testa, percorso da ondate di caldo e freddo. 

Ikki. 

É stato lui a condannare suo fratello all’inferno di Death Queen Island. Se Ikki ha perso la vita fra quelle rocce infuocate non potrà perdonarselo mai. 

“Ci vediamo dentro, perdente.” Jabu gli dà una manata sulla spalla e si dirige verso l’entrata a passo veloce.

Shun resta lì, incapace di muoversi, fissandosi i piedi racchiusi nel metallo rosa, la linea irregolare che separa il lastricato dalla striscia di terra costellata di piantine in fiore.

Viola, giallo, rosso, rosa, bianco, i colori si sfocano sotto il velo delle lacrime che gli riempiono gli occhi.

Frignone. 

Stringe ostinatamente le labbra, si pianta le unghie nei palmi delle mani cercando dolore fisico per scacciare l’angoscia che gli impedisce di respirare. Non può cedere, non ora.

Non è più quel bambino. E Ikki lo vedrà. Vedrà la sua forza se vince il torneo. Lo vedrà e tornerà da lui.

Sbatte le palpebre; qualcosa luccica mezzo affondato nella terra. Si accovaccia, fruga con la punta dell’indice fra la polvere, pesca un braccialettino composto da una fila di minuscoli cristalli trasparenti. Un’ombra lo copre, alza la testa di scatto.

La guardia in piedi di fronte a lui lo guarda con aria dubbiosa. “Tutto bene?” 

Shun si rialza in piedi, tende la mano per mostrargli il gioiello. “L’ho trovato a terra. Sembra prezioso, magari qualcuno l’ha perso–”

La guardia ride, si vede poco della sua faccia sotto l’elmo nero che porta calato sugli occhi. “Quello? È paccottiglia. Puoi tenerlo.”

“Eh? Sei sicuro?”

“Fidati. Mia madre ha un negozio che vende tutta quella roba esoterica. È cristallo di rocca, mi è sempre piaciuto tanto. Sembra ghiaccio ma non si scioglie mai.” Gli sorride controluce. “Mettitelo, ti porterà fortuna in combattimento ragazzina.” 

Eccoci.

“Vieni che ti aiuto.” La guardia prende il braccialetto dal suo palmo e glielo aggancia al polso. “Ora corri dentro, starà già iniziando.”

“Grazie.” Shun sorride alla guardia e schizza via. Va bene anche ragazzina, per lui. Non ha voglia di discutere. 

Nell’arena è già calato il buio; sulla cupola del cielo le stelle sono accese. Gli altri santi presenti sono già radunati sul ring, Tatsumi lo spedisce di corsa a raggiungerli. 

Sospesa in aria come una dea, Saori parla di dedizione e onore e tradizione. Shun stringe i denti, nessun accenno all’infanzia spezzata di questi ragazzi raggruppati al centro delle corde, questi ragazzi che erano i suoi compagni di allenamento da bambini ed ora è costretto a ferire sul serio. Ad uccidere. 

E suo fratello ancora non si è fatto vedere. 

Si concentra per escludere il discorsetto motivazionale di Saori, non gli serve davvero. Di motivazioni ne ha troppe, nessuna delle quali piacerebbe alla giovane lady Kido. Ma lui non è qui per piacere a lei. O a chiunque altro, per quello. Anche se sembrano tutti pazzi di lui. Guarda gli spalti bui, sorride senza sapere a chi. Aspetta che finisca cercando di non pensare troppo a suo fratello.

“Il terzo combattimento in programma per oggi, Idra contro Cigno, è stato ritardato poichè Cigno non è arrivato ancora.” La voce dello speaker rimbomba per tutta l’ arena, mentre defluiscono giù per la scaletta. “Per favore siate pazienti.” 

Gli spettatori si agitano, Jabu e Seiya si fermano a parlottare fra di loro. 

“Forse ha paura. Del resto non è nemmeno giapponese.” Jabu, sprezzante come al solito. Se non è giapponese, anzi “Mezzo russo,”come  puntualizza Jabu, dev’essere.

Hyoga. 

Abbronzato, biondo, avviluppato in aura di malinconia impossibile da penetrare. Un solitario che parlava troppo poco, e sempre di sua madre. Gli faceva venire voglia di abbracciarlo, anche se non ne ha mai avuto il coraggio. Chissà se è riuscito davvero a vincere il Cloth del Cigno e qualcosa lo sta ritardando, o se ha lasciato la vita fra i ghiacci eterni della Siberia, sotto il mare impietoso del Nord. 

“Hyoga!” La voce di Seiya si alza, sorpresa, come dando voce al suo pensiero.

Passi veloci rimbombano lungo i gradini che portano al centro dell’arena. Il fascio luminoso di un proiettore cattura la figura che li scende di corsa. 

“Oh sì. Non ci si vede da un po’, Seiya.” Alto e muscoloso, il ragazzo che si staglia nella luce non ha più niente del bambino con cui si allenava troppo tempo fa; solo i capelli biondi scompigliati sono gli stessi che si ricorda dall’orfanotrofio.   Il Cloth argentato splende sulle sue spalle larghe, ha ali ai piedi e alle tempie. Il cerchietto, adornato da un cigno sinuoso con gli occhi di fuoco, fatica a tenere a bada le ciocche dense della frangia che gli spiovono sulla faccia. 

Hyoga copre gli ultimi metri con un salto mortale e atterra leggero al centro del ring dove Ichi lo sta già aspettando. La folla esplode in un boato.

Il cuore gli fa un saltello in petto. Hyoga è diventato.

Bellissimo.

Hyoga si china verso Seiya ancora fermo a lato del ring. “Sono venuto dalle lande gelate del Nord per rivendicare il mio Cloth d’oro.”

Jabu torna indietro. “Stai zitto codardo, sei in ritardo.” Lo schiavetto di Saori, chissà cosa spera di ottenere. Malgrado l’aspetto delicato, così diversa da suo nonno, la signorina è l’ultima esponente della famiglia Kido. Quella che ha interrotto la loro infanzia per sempre, anche quella di Jabu.

La bocca di Hyoga si curva in un sorrisetto sprezzante, che gli snuda  i denti. “Jabu, giusto? Non mi dispiacerebbe affrontarti ora.”

“Cosa?” Jabu alza i pugni, ma la voce dello speaker lo interrompe. 

“Il match fra Cigno e Idra sta per cominciare.”

I riflettori si accendono, puntati sul ring, la folla esulta, si comincia. 

Ichi gira intorno a Hyoga, la sua risatina inquietante si alza nel silenzio. “Dici che sei qui per rivendicare il Cloth d’oro? Odio le persone che non sanno stare al loro posto.”

“E allora?” Hyoga socchiude gli occhi, quel sorrisetto diventa un ghigno compiaciuto; c’è tutto nella curva delle sue labbra, il paradiso e l’inferno e qualsiasi cosa stia nel mezzo. A Shun tremano le gambe, deve fare un passo indietro, un altro, cerca l’appoggio della balaustra contro la schiena.

“Fatti mandare all’inferno!” Ichi attacca, Hyoga indietreggia, schivando colpo dopo coplo finchè non si ritrova con le spalle contro le catene che delimitano il ring. 

“Non puoi scappare da nessuna parte, adesso.”

“E allora?”

Una finta, una ginocchiata allo stomaco, Hyoga si piega premendosi le braccia sul punto d’impatto. Un calcio alla testa che lo spedisce all’indietro, di nuovo contro le catene; Ichi lo intrappola fra il metallo e il suo pugno, diretto ancora allo stomaco.  

Hyoga stringe i denti, addossato alla recinzione. Possibile che sia tutto qui il potere del Santo del Cigno? Tanto bello quanto inutile? Gli sembra impossibile, ricorda ancora il suo talento quando erano bambini. Tutte le volte che si sono scontrati su quei ring a misura di nano, ne è uscito malconcio. L’ultima volta pochi giorni prima di essere spediti ognuno nei loro luoghi d’addestramento; si ricorda ancora Hyoga che gli porgeva una bottiglia d’acqua e un asciugamano con un “mi dispiace” borbottato a testa bassa. Quella volta non ha pianto, anche se le ossa gli dolevano come se una schiacciasassi gli fosse passata sopra.

Ichi fa bruciare il suo Cosmo, si inizia a fare sul serio. Idra mostra i canini affilati e distende le sue spire, tingendo l’aria di rosso. “Stavolta morirai di certo.” Urla mentre attacca.

“Credi davvero di potermi battere con quella velocità?” Hyoga sorride il suo sorriso irresistibile, chiude gli occhi e para senza sforzo con il  braccio sinistro. 

“Sei caduto nel mio tranello, Hyoga.” Ichi lancia una risata stridula, tre artigli d’acciaio saettano fuori dai suoi pugni, conficcandosi nel braccio di Hyoga. “Le zanne di Idra sono in grado di trapassare il tuo Cloth e ferirti. A proposito, sono anche velenose.”

Stringe più forte le dita attorno alla balaustra dietro di lui, le sue nocche sbiancano, si fissa su quelle, non può vedere Hyoga che cade a terra, sconfitto dal veleno di Hydra. Ma un altro boato percorre la folla e quando alza la testa, Hyoga sta sbriciolando gli artigli nella mano chiusa a pugno, come se non avesse appena ricevuto una dose di veleno mortale. Come se tutto fosse perfettamente a posto e nemmeno l’intervento di un dio riuscisse a cancellare dal suo viso quell’espressione soddisfatta. 

“E allora?”

“Non cercare di resistermi.” Ichi è patetico, nei suoi tentativi di disturbare il suo avversario. “Stai per morire. Il veleno di queste zanne si diffonderà velocemente attraverso il tuo corpo.”

“Quindi prima che il veleno mi uccida starai fermo a guardarmi?” 

Ichi sogghigna ancora. “Certo che no.” Alza le mani in posizione d’attacco. “Ti infliggerò una ferita mortale per porre fine alle tue sofferenze. Questa è tutta la pietà che avrai da me. Guarda qui, assaggerai tutti i miei pugni.” Ichi si fa sotto di nuovo, Hyoga barcolla sotto una pioggia di colpi, incapace di schivarli. Volano i primi schizzi di sangue, ed è il suo, colpiscono in faccia Seiya che si volta con una smorfia.

Di fianco a lui Jabu scuote la testa. “Quello Hyoga che impostore. Battuto da Hydra.”

Eppure a lui sembra impossibile che Hyoga non ci provi nemmeno. Che il veleno sia già entrato in circolo e gli rallenti i movimenti? Ma quel sorrisetto insolente continua ad aleggiare sulle sue labbra, come se si prendesse gioco di Ichi mentre continua ad incassare i suoi pugni. Come se non si prendesse nemmeno il disturbo di schivarli. 

Hyoga lascia che Ichi gli arrivi troppo vicino, l’ultimo colpo è al torace. “Anche se mi hai detto che mi avresti colpito mortalmente, i tuoi pugni sono deboli come quelli di un bambino. Non ho nemmeno bisogno di evitarli.”

Allora è così davvero. I suoi occhi azzurri si fissano su Ichi, una smorfia ostinata incurva le sue labbra perfette.

“Questo è quello che credi.” Nuovi artigli emergono dai pugni del Cloth di Hydra e si conficcano nel petto del Santo del Cigno. Hyoga snuda i denti, lui serra gli occhi per non vedere.

La sua stessa arroganza ha  punito Hyoga, e ora cadrà. Non può resistere. Li riapre quando la voce di Hyoga si alza nuovamente nel silenzio. “Questo sarebbe? 

“Ho dimenticato di dirti che le mie zanne si rigenerano. A questo punto hai altre tre ferite avvelenate. Te lo sei voluto tu, Hyoga.”

Le zanne tintinnano a terra e Hyoga inizia a ridere. Non c’è niente di divertito in quel suono, Ichi sorride storto di risposta. “Cosa c’è di tanto divertente? Il veleno ti ha già danneggiato il cervello?”

“Come l’Idra che vive nel fiume Lerna, in Grecia. Anche se schiacci una delle sue nove teste quella si rigenera subito, già pronta per mordere ed avvelenare ancora.” Hyoga aggrotta le sopracciglia, stringe le dita attorno al polso di Ichi. “Allora tutto quel che devo fare è impedire alle tue zanne di rigenerarsi.”

“Ancora la tua boccaccia.” Ichi si divincola ma non riesce a evadere dalla stretta, il Cosmo di Hyoga inizia ad espandersi; candido come la neve, lo circonda in un alone di fuoco gelido. “Cos– cos’è quest’aria fredda?”

La temperatura dell’Arena sembra calare, spifferi ghiacci tagliano l’aria. Lui rabbrividisce, anche il Cloth di Andromeda si sta raffreddando sul suo corpo. Un display prende vita di fianco al tabellone delle sfide e lui si chiede se quella possa davvero essere la temperatura della mano di Hyoga. Perchè sta scendendo vertiginosamente sotto lo zero ad ogni istante che passa. -20, -40, il Cosmo di Hyoga divampa in lingue di luce, il valore luminoso si ferma a -100.

Hyoga molla la presa solo quando il braccio di Ichi è ricoperto da una patina di ghiaccio opaco; lui barcolla all’indietro, gesticola cercando di muovere l’arto  ma senza risultati. “La mia mano–è congelata. Non mi sento più il braccio destro.” Ichi lo scuote ma senza risultato. Il ghiaccio balugina nella luce dei riflettori.

“La tua mano è congelata dall’interno. Non la potrai usare mai più.” Torna il sorrisetto. 

Shun  sta investendo troppa emozione in questo combattimento che non lo riguarda. Impossibile evitarlo, quando ogni occhiata a Hyoga gli fa tremare le ginocchia. Inerme davanti al potere del Santo del Cigno, per il quale morirebbe mille volte. Il freddo che paralizza i movimenti; a Hyoga non serve nemmeno bruciare il proprio Cosmo per immobilizzarlo, basta uno sguardo di quegli occhi pieni di vento e tempesta. 

Invece non è abbastanza per Ichi, che salta, altissimo, un arco di parabola addosso a Hyoga, lo colpisce alla faccia con il ginocchio, dalle placca metallica che gli protegge la rotula nuovi artigli emergono per conficcarsi nell’elmo del Cigno.

La folla rumoreggia, Shun trattiene il fiato. In testa è troppo anche per Hyoga. O no?

Seiya dà di gomito a Jabu :”Ma che razza di mostro è mai quello?

”Sembra che per Hyoga sia finita.” Jabu fa spallucce, sogghignando.

Ichi atterra, punta l’indice addosso a Hyoga con un sorriso soddisfatto. “Anche uno come te ha pochi secondi da vivere se viene colpito alla testa dalle mie zanne.”

“Non ci arrivi?” Un sorriso incurva le labbra di Hyoga; chiude gli occhi e il suo Cosmo esplode.

“Cosa?” Ichi trasale, fa un passo indietro

Gli spuntoni conficcati nell’elmo di Hyoga si infrangono a terra, congelati, luce candida come neve gli avvampa attorno “Non importa quante volte ci provi. e tue zanne non funzioneranno contro di me.”

“Perchè?” Ichi sembra rimpicciolire al cospetto della potenza del Cosmo di Hyoga. “Anche i Santi Guerrieri che vengono colpiti dalle mie zanne dovrebbero morire. Significa che–”

Hyoga stringe i pugni, l’estensione del suo Cosmo aumenta a vista d’occhio; ora nell’Arena fa freddo, Shun si stringe le braccia attorno al torace, lottando per smettere di tremare. 

“Appunto. Le tue zanne avvelenate non hanno mai avuto la possibilità di toccare il mio corpo. Sono state respinte dal Cloth di ghiaccio del Cigno, creato da un ghiacciaio della quarta glaciazione. Solide mura di neve che mai si sono sciolte nell’ultimo milione di anni.” Una miriade di cristalli meravigliosi inizia a roteare intorno alla figura di Hyoga. “Nessuna zanna può trapassare la sua forza. Nemmeno la potenza di un santo guerriero la può rompere”

Ichi li fissa, sembra che non sappia bene cosa fare. Infine si arrende. “Questa è un’illusione o?”

“Pensaci mentre sei all’inferno, Idra;” Il Santo del Cigno avvicina le mani una all’altra e quella danza si concentra in un vortice, 

“Diamond dust.” Urla Hyoga  Una tempesta splendente e letale. Una scarica di colpi come un turbine di fiocchi di neve. 

Ichi vola all’indietro; il Cloth di Hydra, congelato all’istante, si frantuma attorno al suo corpo. Cade di pancia e resta immobile.

Non serve nemmeno il countdown. 

Una potenza abbacinante.

“Idra è stato sconfitto.” La voce rimbombante dello speaker fa sobbalzare Shun. “Cigno è ammesso al secondo round della competizione.” Allenta la stretta convulsa delle mani sul metallo della balaustra, le dita gli fanno male.

Hyoga resta fermo al centro del ring, immerso nella luce potente dei riflettori. Bello e fiero. Lui guarda con desiderio gli incroci dei matches sulla lavagna luminosa, cerca di indovinare se il suo cammino incrocerà quello di Hyoga. Prima o poi dovrà accadere, quantomeno alla finale se ci arriveranno vivi entrambi. Ma vorrebbe ingaggiare combattimenti del tutto diversi, con il Santo del Cigno. Battaglie di.

Baci?

Baci e carezze. Non ha mai desiderato così tanto qualcuno. Gli si spezza il respiro pensando alle mani grandi di Hyoga sulle sue spalle. Calde sulla pelle nuda.

Non ha mai avuto un fidanzato, durante l’addestramento all’Isola di Andromeda era troppo occupato a mantenersi vivo per poterci pensare. Però sa cosa vuole, sa quel che gli piace. Corrisponde esattamente al ragazzo biondo fermo in mezzo al ring a prendersi gli applausi e le urla del pubblico in delirio.

Infine Hyoga scende le scalette del ring, Seiya e Jabu gli si avvicinano; lui si ferma e il suo sorriso è quello indisponente del vincitore

“Qual è il prossimo Santo che sconfiggerò? Sarai tu Seiya? O sarai tu, Shiryu del Dragone?”

Guardami, pensa Shun. Guardami ora. 

Quegli occhi di ghiaccio si alzano nella sua direzione. Si sente avvampare dentro, spera che il buio sia sufficiente a nascondere il rossore che di sicuro gli ha invaso la faccia.

“Shun?”

Shun annuisce, non osa muovere un passo verso la luce che lo tradirebbe. E non è nemmeno sicuro che le gambe lo reggano. 

Hyoga sorride. “Sei cresciuto.” Poi si volta e se ne va veloce, i capelli biondi gli sventolano sulla schiena, brillanti contro il metallo lucido del Cloth del Cigno. 

Shun sente le orecchie avvampare. Gli altri Santi lo guardano con aria interrogativa, Jabu ridacchia. 

“Nessuno vuole affrontare il piccolo Shun?”

Lui sorride. “È il piccolo Shun che non vorrebbe affrontare nessuno.”

“Perché sei codardo?” Jabu si avvicina, gli punta l’indice addosso. “Allora che ci fai qui fra i Santi?”

“Non capiresti le mie ragioni, Jabu.” Finalmente le gambe hanno ripreso a funzionargli, si stacca dalla balaustra, si allontana verso le scalinate da solo. 

“Capisco la paura quando la vedo.”

Shun si volta, gli sorride di nuovo. “Allora non hai capito davvero niente. Mi dispiace per te.”

Sale le scale, diretto alla terrazza, per mettere della distanza da quel ring sul quale si troverà troppo presto. 

Non vuole. 

Colpire, ferire, uccidere. Non è il suo. A lui piace parlare, abbracciare. 

Baciare. 

Arrossisce violentemente da solo. 

Qualcosa gli graffia la pelle, incastrato sotto il copri avambraccio di metallo. Infila un dito, incontra i granì sfaccettati del braccialetto. 

Mi piace tanto, sembra ghiaccio ma non si scioglie mai. 

Il padrone dei ghiacci. Bello e gelido come una mattina tersa d’inverno. 

Piega il polso, i cristalli luccicano quieti contro la sua pelle. 

Battaglie di baci, braccia forti a stringerlo tutto. Non è una vera guerra quella che in mente. Anche se è intenzionato alla conquista. Ancora si sente la faccia rovente, si appoggia le mani fredde sulle guance cercando di far scendere il rossore. Sorride sotto i palmi. 

È pronto alla battaglia. 

Per tutto quel che gli è caro. 

Per tutto quel che vuole conquistare. 

Ti scioglierai. Per me.