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Archivio mensile:febbraio 2023

A short sweet Rude/Reno for COWT M2. Pls enjoy

Scattered

Fat grey clouds press against the glass wall. Midgar gleams dully at his feet, caterpillar vehicles and ant sized people going out and about minding their businesses, beating their habitual paths.

Unaware of what lies in the blind corners of their small existences.

He sighs, pressing the heels of his palms on his eyes, then unfastens the belt, unzips his slacks, lets them fall and puddle around his feet. His jacket is already hung in the wardrobe, with the tie folded neatly inside the upper pocket.

His everyday outfit, black dress, white shirt, black thin tie. His everyday mask, the intimidating facade of a Turk. And not any Turk, not. The most imposing among them, with his huge build and his shaved skull, and the abundance of steel piercing his lobes. 

Sometimes it feels like he doesn’t wear anything else; sure, there are days off, but they’re so scarce nowadays—

“Rude, aibō!” 

He turns to the sound of a high pitched voice he knows too well. 

Rude. This is the appellation he answers to. Or aibō, in very special cases. But mamà and his friends called him Romeo, and for how much he despised that damn name – as a teen he had fiercely hated mamà for naming him after his grandad – that was his, unlike this damnation of a battle name he has to use to protect his true identity and the safety of his beloved family of  origin.

“What’s up?”

“Your turn for the shower.” Reno grins, standing in the narrow doorway of the bathroom. 

Naked but for a very very small towel wrapped around his waist, precariously hung to his bony hips. 

Lean ballerina legs, rippling with wiry muscles, milky shoulders sprinkled with mocha freckles. 

He’s so juicy. 

His gaunt face is framed by wet locks, the deep red contrasts strikingly with his pale cheeks. Water droplets drip down his face, looking almost like tears. But Reno never cries, ain’t it?

His aibō would never, although he is lost, just like him, in this damned charade of a life, without a real apartment, real meals consumed laughing around a table. 

They can only rely on a shared quarter within the Shinra building, in the cursed level 17 that doesn’t even exist. 

Or at least is out of reach of the common lifts, an ivory tower that only the elected can access through a hidden elevator in the Northern parking lot. 

He closes his eyelids, pinches the bridge of his nose, free for once from the weight of his shades. Another facet of his unbreakable mask. 

A hand on his shoulder. “You ok?”

When he opens his eyes, Reno is smiling at him. 

“Yes.” He takes a breath. “No.”

“Whassup then?”

“Just tired.”

He can’t put this burden on Reno’s narrow shoulders, he just. Can’t. 

Reno smiles encouragingly. “I know. This kind of life is becoming unbearable.” He scowls and his green eyes become narrower, and angry. 

The same blessed colour of the sea that caresses the shores of his hometown, the place where he so longs to be. The place that made him feel whole, where he could be his true self. 

Not this fragmented charade of a man. 

“..”

“I know, Romeo.”

The breath gets caught in his chest. Reno knows everything. He’s the glue that keeps him together, the tornado that surrounds him, keeping him safe in his core. 

His aibō. 

“I know you know, Armand.”

Reno’s smile becomes pained then he brushes those soft lips against his and a mischievous glint comes to life in his eyes.

“Screw that, aibō. We wouldn’t have met if we weren’t Tuks. That’s enough compensation for me.”

It’s so true. He buries his hands in Reno’s damp hair to draw him closer, their tongues meet, it’s so sweet. Having the warm weight of Reno against him, always fitting so well with his own body, like they were born just for this. To be together, no matter how hard it becomes.

And no matter how scattered he may become, he will be whole again, when he’s with this precious, cruel, haughty man, just to feel their nook and crannies find their place when they hold close.

Reno tastes sweet, burns like fire, tensed on his tiptoes  to kiss him deeper, all his tongue in the mouth, he makes him pant and moan, shatters every barrier, every mask to reveal the man he is. The man he can still look in the mirror every morning, when he shaves his head. 

Reno inches back. His smile is gentle, as his hand caressing his face. “We will always have each other’s back,” he murmurs in his ear. A kiss on the neck. 

A long shiver down his back. 

This is also true. The truest thing he’s blessed with. 

For how much he can feel scattered, and untruthful, at times, this one truth will be always balancing all the lies in his life. 

And it’s more than enough.

Per il COWT, prompt M1 “un rifugio alla fine del mondo” un po’ di elfitudine sap. Enjoy.

Pronto a volare

Si stringe le ginocchia al petto, cercando di avvolgersi più stretto nelle pieghe del mantello per chiudere fuori la brezza fredda della notte. Occhi fissi sulle lingue di fuoco danzanti del falò racchiuso nel cerchio di pietre. 

Rivede nelle fiamme il turbinare multicolore delle vesti leggere delle fate, i loro denti aguzzi, gli occhi allungati translucent i come il latte. 

Questa guerra gli sta mangiando il cervello pezzo a pezzo.  Vorrebbe fosse finita, una volta per tutte, vorrebbe smettere di insaccarsi ogni sera nell’abbraccio freddo del letto da campo pensando a loro. E risvegliarsi il mattino dopo, sudato, dopo averle sognate tutta la notte. Con l’idea fissa che dovrà annientarne altre per non morire lui stesso. Per proteggere i suoi compagni. 

Scuote la testa, appoggia il mento sulle ginocchia, contro il tessuto pungente del mantello che non lava da troppo tempo. 

Vorrebbe essere lontanissimo da qui. 

Una tazza di vino gli compare davanti, il profumo di spezie gli riempie le narici, le spire di vapore che danzano nella brezza sono una visione di sogno. 

Alza gli occhi. Fermo in piedi accanto a lui c’è Ceski. Le sue labbra morbide sono incurvate in un mezzo sorriso. Non l’ha sentito arrivare: Ceski è spaventosamente silenzioso per la sua stazza. 

“Grazie.” Prende la tazza;  la porcellana calda è meravigliosa contro le dita infreddolite. “Anche te sveglio, vedo.”

Ceski fa un cenno con la testa e si siede accanto a lui con un sospiro. “Salute.” Sussurra alzando la sua tazza. 

Fa un tintinnio delicato quando ci appoggia contro la sua. “Salute, Ceski.”

Ceski lo guarda strano. “Mi piace come suona il mio nome in bocca a te.”

“Davvero?”

Ceski annuisce con un sorrisetto e non dice altro. 

Beve un sorso di vino, è dolce e profumato, sente il suo calore scendere a invadergli lo stomaco. Non si era reso conto di essere così infreddolito. 

“Che ci fai ancora sveglio?” La voce di Ceski è bassa e morbida. 

Alza le spalle. “Non sono stanco.”

Ceski ridacchia. “Dille meglio. Hai gli occhi gonfi, si vede anche da qui.”

Beccato. Ma si vergogna di spiegare a Ceski perché stasera non sa affrontare il sonno. 

Ceski gli dà di gomito con una risatina. “Bevi e vuota il sacco.”

Prende un’altra sorsata lunga, il vino gli scotta la lingua. Apre la bocca per parlare, non sa resistere davvero a Ceski. 

“Io—niente. È solo che se dormo—“ sogno le fate? Davvero sta per dire questo alla creatura che ogni giorno spilla il loro sangue violaceo accanto a lui?

Si blocca, sentendosi le guance andare a fuoco. Un guerriero non parla così. 

“Se dormi?” La voce di Ceski è bassa e gentile. “Sogni?”

Come faccia Ceski a centrare sempre il punto. 

Annuisce senza dire niente. Ma quindi. “Anche te?” Chiede senza credere che possa essere vero. Ceski il macellaio di fate. Non può essere che pure lui. 

“Sì. Sogno che torno a casa mia e ci sono fate. Fate ovunque.” Ceski tiene la faccia rivolta verso il fuoco, si porta la tazza alle labbra. Rimane zitto per un sacco di tempo, poi all’improvviso si volta verso di lui. “Questa maledetta guerra ci fa male.” La bocca di Ceski è storta in una piega amara. “Vorrei—“ si blocca a metà frase, salta in piedi. “Vieni con me!” Gli tende la mano libera.

Si aggrappa alle dita calde di Ceski e si tira su, scuote le gambe indolenzite. È stato troppo tempo rannicchiato di fronte al fuoco dell’accampamento, intrappolato nei pensieri. Ipnotizzato dalla danza delle fiamme. 

“Dove andiamo?” 

Ceski non risponde e gli fa segno di seguirlo. Scolano il vino caldo, abbandonano le tazze sulla pietra piatta ai piedi della casa principale. 

“Dai!” 

Segue i passi veloci di Ceski. Ma dove lo sta portando?

Si lasciano alle spalle il cerchio di luce del fuoco e l’accampamento, abbarbicato sugli alberi che circondano la piccola radura irregolare; si tuffano nel folto del bosco. 

Senza luna la notte è scurissima. Ceski pronuncia le parole antiche; il cuore del talismano che porta al collo balugina di luce verde rivelando i tronchi spessì degli alberi che li circondano. 

Percorrono un tracciato già battuto; Ceski lo tiene per mano e procede senza esitazione avanti a lui. Il vino e lo sforzo della camminata lo scaldano, gli fanno la testa leggera. O forse sono le dita di Ceski strette attorno alle sue. 

Ceski si arresta di colpo in un piccolo slargo fra gli alberi. Non riesce a fermarsi in tempo e gli sbatte addosso. Ceski ride e lo prende fra le braccia. È caldo e profumato di erba tenera; si stringe su di lui, la guancia contro il ruvido del suo mantello. 

Ceski gli appoggia un bacio sulla testa. “Ci siamo quasi. Vedrai, ti piacerà.”

“Ma cosa?” Ora è troppo curioso. 

“Vieni.” Ceski lo trascina su per il fianco dolce di  una collina. Avvicinandosi alla cima gli alberi diventano un tappeto di cespugli bassi; le foglie lucide riflettono la luce che Ceski porta al collo. “Attento a dove metti i piedi.”

Tiene gli occhi fissi a terra per non impigliarsi nei rami flessibili, intrecciati gli uni agli altri. 

La cima dela collina è nuda, solo erba e terra brulla e un circolo irregolare di pietre piatte. Sotto di loro le chiome degli alberi sono un mare frusciante di velluto nero. L’accampamento non è in vista, sono lontani da tutto, dalla fatica quotidiana di mantenersi vivi. 

Ceski spegne il suo talismano. “Guarda su,” sussurra. 

La  cupola baluginante di stelle del cielo li stringe nel suo abbraccio, tagliata nel mezzo dal nastro luminoso dello Sbuffo di Fumo. 

Gli gira la testa, si sente all’improvviso molto piccolo in quell’enormità. “È bellissimo,” sussurra sentendosi mancare li respiro.

“Davvero.” Ceski sorride. Forse. È troppo scuro per poterlo dire davvero. “Vengo qui ogni tanto, quando tutta questa follia diventa troppo da sopportare.”

Non aveva mai nemmeno immaginato che Ceski potesse essere in difficoltà quanto lui. 

“Ma come l’hai trovato?”

“Non so, la pista mi ha chiamato. Forse ha sentito che ne avevo bisogno.”

“E tu hai sentito che io avevo bisogno.”

Ceski lo attira contro di sè, prendendolo per le spalle. “Qualcosa del genere. Mi sembravi sperso, seduto da solo di fronte al fuoco.”

“Grazie. Davvero.” Sospira e si lascia abbracciare; il contatto caldo di Ceski lo placa, gli rallenta il respiro. 

“Guarda lassù verso destra. Vicino alla Lampada del Tempo.”

“Non sono mai andato forte con le costellazioni.”

Ceski ride e gli cerca a tentoni la mano nel buio, la stringe. Gli alza il braccio in una direzione che sa lui. 

“Là. Lo vedi quel gruppo di stelle che formano una croce? A me ricordano un cigno che vola.”

I disegni irregolari delle stelle nel cielo lo confondono, gli danno le vertigini. Socchiude le palpebre, sopraffatto dall’immensità che lo sovrasta, sta per confessare a Ceski che no, non vede proprio niente quando eccolo lì. L’uccello maestoso, ali aperte nello sforzo del volo, testa protesa ad annusare il vento. 

“Lo vedo! Lo vedo!” La sua voce suona troppo alta nel silenzio della notte. “È bellissimo, Ceski. Come si chiama?”

Il pollice di Ceski gli accarezza piano il collo, sotto i capelli e il tessuto ruvido del mantello. Socchiude gli occhi, se potesse farebbe le fusa come un gatto. 

“Non è una vera costellazione. Io la chiamo il Grande Cigno ma è composta dal gancio della Lampada e dalla coda del Serpente del Tempo, più altre stelle a caso.”

Appoggia la testa contro la spalla di Ceski, non riesce a vederlo nell’oscurità totale. Il suo respiro profuma di cannella e anice stellato. 

“Grazie per avermi mostrato le tue stelle.”

Ceski sorride, stavolta ne è sicuro, e lo stringe più forte a sè. Poi abbassa la faccia, gli cerca le labbra con le sue. Sono morbide e profumate; affonda nella sua bocca tenera, al sicuro nel cerchio delle sue braccia. 

Soli nel nulla, lontani da tutto. Se rimanesse qui con Ceski potrebbero salvarsi dalla battaglia e dal dolore, dal sangue viscoso delle fate che li inzacchera ogni giorno, lasciando loro addosso il suo odore selvatico. Affonda le mani nei capelli scompigliati di Ceski, lo tira più giù, le labbra incollate alle sue, respirando la sua stessa aria. 

Ceski gli sfiora la mandibola con le labbra umide. “Un giorno farò come Il Grande Cigno e volerò via da tutto questo.”

Gli sale un brivido lungo la schiena.  Darebbe qualsiasi cosa per guardare in faccia Ceski ma è troppo buio. “Quanto tempo devi ancora spendere sul campo di battaglia?”

“Troppo.” La voce di Ceski è un sussurro contro il suo collo. “Non terrò così a lungo.”

Trattiene il respiro. “Che dici? Pensi di scappare prima?”

Ceski rimane zitto troppo a lungo. 

Una morsa di paura gli stringe lo stomaco, non può nemmeno immaginare di trovarsi in questa guerra senza Ceski. 

Ceski sospira, lo bacia dietro l’orecchio. “Non lo so.  Ma non voglio più stare qui. E non voglio più che ci stia tu.”

“Mi porteresti via con te?”

“Non potrei mai andarmene da solo. Noi siamo uno.”

Gli tremano le gambe dal sollievo. “Baciami,” dice sottovoce. “Verrò dovunque con te.” Dove c’è Ceski, quella è la sua casa. E anche se il mondo dovesse crollare attorno a loro, finché ha Ceski accanto avrà sempre un posto sicuro a cui tornare.

Per il COWT 13, faccio coming out con i miei elfetti preferiti (scusate i nomi pessimi).

Warning per violenza grafica e pessima esecuzione delle tropes peggiori.

Lacrime tue

“Devi lasciarmi qui.” Ceski ha la voce molto bassa. “ Cerca di raggiungere gli altri. Al punto di ritrovo non ci arrivo.”

“Non esiste. Se ti lascio qui sei morto.”

Ceski sbuffa e si ferma, appoggiandosi contro di lui. “Sono già morto. “

Una morsa di terrore gli stringe la pancia. Ceski non può morire. O morirebbe anche lui col cuore in pezzi. “Non se ci ricongiungiamo al gruppo. Gya ha le pergamene. “ Si risistema il braccio di Ceski attorno al collo e cerca di trascinarlo avanti un altro passo. 

Un altro passo, e un altro, e ce la possono fare. È pronto a metterci la notte intera. Ma forse Ceski non ha tutto quel tempo.

“Non. Ce la faccio. Ti prego.” Ceski gli aggancia l’altro braccio al collo, aggrappato a lui. “Dammi. Un bacio. E vattene. Io voglio che resti vivo.”

Stringe Ceski alla vita, sentendoselo scivolare addosso. “Anch’io.” Gli pizzicano gli occhi, stringe i denti: nessuno l’ha mai visto piangere, Ceski non sarà il primo. Anche se il bosco è scuro, solo la luce della luna filtrata dai rami fitti rivela le silhouettes dei tronchi che li circondano. “Anch’io voglio che tu resti vivo e per tutti gli alberi della foresta non ti abbandonerò qui. Dovessi portarti di peso al punto di ritrovo.”

Le mani di Ceski gli si aggrappano alla tunica, il suo fiato è caldo a un soffio dalla bocca. “E dovresti, perché non posso più camminare. Ma così ti farai ammazzare assieme a me. Non voglio.”  A Ceski tremano le ginocchia, come se tutte quelle parole lo avessero privato delle ultime energie. 

“Nessuno morirà, se andiamo avanti insieme.”

La voce di Ceski si spezza. “Tu morirai, se continui ad aggrapparti a me. Lasciami andare. Non pensavo comunque di sopravvivere a questa guerra.” Le gambe del suo amore si piegano, cerca di tenerlo in piedi ma non riesce a fare altro che scivolare in ginocchio assieme a lui. Ceski è grande, più di lui, e pesante. 

Più di lui. 

Foglie secche e rametti scricchiolano sotto il loro peso. Stanno facendo troppo rumore. 

Le fate li sentiranno, li troveranno. 

Per Ceski non ci sarà più niente da fare, allora. E nemmeno per lui. Non può permetterlo. È sua la responsabilità di riportarli entrambi interi al punto di ritrovo. 

“Sai che non puoi chiedermi questo.”

“Yano.” Un sussurro senza fiato. “Yano ti prego. Dammi un bacio. E vattene.” Gli occhi di Ceski luccicano nella penombra. Lui scuote la testa. 

Mai. 

Ma si china su Ceski, e cattura le sue labbra fredde. Sdruscia la lingua contro la sua, un brivido gli sale lungo la schiena. Questa non può essere l’ultima volta che assaggia la bocca dolce di Ceski.. 

Lo sostiene per la vita, stretto su di lui. È impossibile anche solo pensare di poterlo accontentare.  È impossibile immaginare una vita senza Ceski. Una vita a consumarsi nel rimorso di essere stato lui stesso ad ucciderlo. Lasciandolo solo quando aveva più bisogno. 

Le labbra di Ceski si fanno inerti sotto le sue, tutto il suo peso gli crolla addosso. 

“Ceski— Ceski!” Ma Ceski non risponde. Il decàde se lo sta mangiando vivo, a cominciare dalla testa come una maledetta mantide affamata. 

Resta immobile, il cuore gli batte forte nelle tempie. Non. 

Non ci è abituato, lui. 

Non conosce paura. Meglio. La conosce e sa come farle abbassare la testa, sempre freddo come un pezzo di ghiaccio anche nell’infuocare della battaglia. Ma questa non è una battaglia da cui uscire vivo. Lasciandosi alle spalle la desolazione, coperto del sangue violaceo delle fate. 

Questa è la sua vita. 

Ceski è la sua vita. 

Cerca disperatamente un’idea, una soluzione, una via di fuga, stringendosi addosso l’unica persona di cui gli interessi davvero qualcosa in tutto il mondo creato. 

Ceski è il fondamento del suo equilibrio squinternato, senza di lui non è che una furia lanciata verso la distruzione. Destinato a sbriciolarsi in frammenti taglienti di rabbia e crudeltà.

Meglio morire con lui, che vivere così.

Deve portarlo via da qui, via. Verso la montagna degli antenati. 

Ma Ceski pesa più di lui. Ci vuole uno sforzo di fede per pensarsi in grado di farlo. 

Si stringe attorno al collo le braccia inerti di Ceski, si volta lentamente in quell’abbraccio freddo, stringendo i suoi polsi spessi nelle mani, tenendosi addosso il suo corpo immobile. Sembrerebbe gIà morto, se il suo torace non si alzasse lentamente contro la sua schiena, quando alla fine riesce a sistemarselo addosso.

Ora basta alzarsi.

Prende un respiro, alza una gamba, deve usare ogni briciolo di forza per tirarsi in piedi. Ceski scivola di lato, lui barcolla nella direzione opposta, per mantenerlo in equilibrio contro le proprie spalle, la schiena. 

I piedi di Ceski drusciano sulle foglie secche quando muove il primo passo incerto, Dovrebbe prenderlo sotto le cosce, ma ha troppa paura che Ceski si sbilanci all’indietro. Non vuole finire sopra di lui schienati come tartarughe. 

Piega di più la schiena e si riassesta Ceski addosso, tenendolo per le braccia. Così dovrà funzionare, e a pensarci bene già aver riconquistato una stazione eretta è una vittoria.

Non ne era del tutto sicuro, solo pochi istanti prima.

La disperazione è una maestra formidabile.

Muove un passo, e un altro e un altro ancora, con le gambe tremanti sotto il peso di Ceski. Tiene gli occhi fissi sul terreno ineguale, sfruttando ogni minuscolo raggio di luna che filtra attraverso le chiome fitte degli alberi.. Sgusciare fra gli tronchi con Ceski addosso è difficile, deve rivalutare gli spazi, non è più solo con il proprio corpo.

Il corpo piccolo che ha ricevuto alla nascita, che lo fa muovere con l’agilità di un furetto. 

Che lo avrebbe portato senza troppo sforzo al punto di ritrovo ben prima dell’alba. 

Non è sicuro che ce la farà, con Ceski addosso e la battaglia di oggi è stata feroce, infinita. Esausto a livelli che non avrebbe mai immaginato. 

Ma non può cedere. La posta in palio è troppo alta.

Si lecca il labbro superiore, imperlato di sudore, si ferma un attimo a prendere fiato contro un albero. La sua meta sembra lontanissima, per un attimo gli manca il respiro dalla paura.

Ceski ha bisogno di una pergamena di Gya il prima possibile, o di lui non resterà abbastanza da riportare indietro, dopo la maledizione delle fate. 

Deve riunirsi con gli altri il prima possibile. 

Se non ce la facesse.

Sarebbe comunque la fine per Ceski.

E per lui. Il bosco pullula ancora di troppe creature, disperse come loro dopo Buttercup Deep.

Gli è rimasto poco Mana per intessere una protezione, e ancora meno per tentare un contrattacco.

Stringe i denti e ricomincia a camminare; ogni pochi passi deve riaggiustarsi il peso inerte di Ceski sulla schiena curva. Fitte di dolore gli trapassano le vertebre compresse.

Vorrebbe solo fermarsi e far scivolare a terra Ceski, per un attimo. Il minimo del sollievo necessario ai muscoli urlanti. Però è  sicuro che non riuscirebbe a tirarlo su una seconda volta. Deve andare avanti finchè non esaurisce tutto se stesso, sperare che basti a portarli in tempo al punto di ritrovo.

Il sudore gli inzuppa la tunica sulla schiena, malgrado il freddo della notte; i polmoni gli bruciano, non è fatto per la fatica. Lui è quello veloce.

Quello dello sforzo rapido, del riposo attivo, abituato a spendere le proprie energie in esplosioni controllate. Ceski è persistente, come un asino sotto il proprio carico, e altrettanto amoroso coi suoi occhi scuri, liquidi, nudi, e un sorriso timoroso da ragazzino che gli incurva gli angoli delle labbra succose.

Ceski è tutto da mangiare, Ceski è suo.

Nessuno deve provarsi a toglierglielo, non le fate, non il destino irriguardoso. 

Non deve rimanere niente di lui, prima che sia  disposto ad abbandonare Ceski.

Anche se questo significa che dovrà tradire il suo ultimo desiderio. Quello che potrebbe diventare l’ultimo se qualcosa dovesse andare storto. Ci sono troppe cose che potrebbero non funzionare stanotte.

Incluso lui stesso.

Cerca di soffiare via i capelli dalla fronte bagnata, ciocche troppo lunghe gli spenzolano davanti agli occhi e diventa difficile vederci. Inciampa su una radice, sta per crollare faccia avanti sotto il peso di Ceski, si addossa tremando al primo tronco che si trova accanto. 

È ancora fermo, a cercare di calmare il tremito che gli rende le gambe molli come uno stelo morso dal gelo, quando il silenzio totale cala sul bosco. Trattiene il respiro, senza muovere un muscolo. Viticci di vapore iniziano a inerpicarsi lungo i tronchi e i rami, offuscano la notte limpida. La nebbia sale piano, conquista palmo a palmo il cielo scuro, coprendo ogni cosa col suo mantello umido e del mondo resta soltanto una vertigine grigiastra, un muro che offusca la vista. 

Intrappolato nel nulla si guarda attorno, sperso. No ci sono più punti di riferimento a cui aggrapparsi, ed anche il suo senso della direzione traballa. Sa che stava procedendo dritto avanti a sé, ma non saprebbe dire a che punto voltare per seguire il sentiero tracciato dalla volontà dei suoi antenati, diretto verso il punto di ritrovo.

Tutto tace.

Fa scivolare a terra Ceski, le gambe gli tremano così tanto che fa fatica a restare in piedi. Si asciuga la fronte bagnata con la manica della tunica, fa una serie di respiri profondi a testa china per riprendere il controllo. 

Deve restare il più possibile vicino a Ceski, o lo perderà in quel grigiore. E glielo porteranno via, indifeso com’è. 

Non lo ha mai visto così vulnerabile. Ceski è invincibile, sempre l’ultimo a restare in piedi. Come lui. 

Quelli che sopravvivono. 

La sua forza, la sua corporatura impressionante sono lo scudo invisibile che lo protegge da ogni male. 

Ma quel decàde era troppo intenso, intessuto della volontà di decine di fate. Nemmeno Ceski ha saputo resistergli. 

E poi il rumore di passi danzanti filtra attraverso la nebbia fitta. 

Stringe le dita sull’elsa. I contorni ineguali delle pietre di luna gli carezzano i polpastrelli. Ceski stesso ha incastonato per lui le schegge, una ad una, nel metallo. Lui non avrebbe mai avuto la pazienza infinita di trovare un posto per ogni minuscolo cristallo luminoso.

Del resto la pazienza di Ceski è  stata sufficiente a stargli accanto e sopportare il suo pessimo carattere, giorno dopo giorno, per una vita intera. 

Si appartengono. 

Perdere Ceski sarebbe peggio che perdere parte di lui stesso. Perché Ceski è la sua parte buona. Senza la quale sarebbe solo un guscio pieno di furia. 

Si inginocchia accanto a Ceski, appoggia le labbra sulle sue. Fredde. Respira il suo respiro per un attimo lungo. “Augurami buona fortuna,” mormora. Anche se Ceski non lo può sentire. 

Anche se Ceski di sicuro non risponderà. 

—ti sei deciso finalmente— la voce di Ceski, forte, gli risuona in testa. 

—sì—

—mi fai felice—buona fortuna—bada a te stesso—ti amo tanto—

—certo vita mia—

Carezza la guancia ispida di Ceski, è molto fredda. Il decáde gli sta rubando le energie troppo in fretta. Si toglie il mantello, lo rincalza sul suo corpo rannicchiato. Riesce a malapena a coprirgli la schiena. 

Per la seconda volta stanotte gli bruciano gli occhi. 

Non vedrà Ceski morto. 

Andrà per primo, se è necessario. Se qualcuno dovrà piangere su un corpo che si raffredda, stanotte. Beh, quello. Non sarà lui. 

Yano della luna del vento non piange mai. Al massimo sarà Ceski a piangere per lui.

Alza la mano per un’altra carezza ma la ferma a mezz’aria. Potrebbe essere l’ultima volta che sfiora Ceski. Potrebbe. Ma non c’è più tempo. 

Si tira in piedi e resta fermo, a gambe divaricate davanti a Ceski. Sarà il suo baluardo, la sua ultima difesa. Non cederà. Mai. Finché avrà un respiro. 

Sarà per Ceski. 

Gonfia i polmoni, la lingua antica scivola sulla sua lingua in suoni gutturali, intrecciando attorno a lui e a Ceski una barriera di energia verdastra. Sgancia la sicura che trattiene lo spirito guerriero della sua lama.  

Chiunque venga, e sa già che sono loro. 

Chiunque venga dovrà mettersi d’impegno per farlo fuori. 

—yano—

Scuote la testa, resiste al richiamo che Ceski gli fa risuonare nei pensieri. 

—yano—no—ti prego—

La sua risoluzione si frantuma subito. Ceski sta usando le sue ultime forze per parlargli, non può ignorarlo. 

—lo capisci che non mi interessa un mondo dove non ci sei—

Luce multicolore si agita nella nebbia di fronte a lui; la prima fata che emerge è avvolta in vesti color pesca leggeri come il vapore che la circonda. Poi una verde mare in tempesta, viola disperazione, rosso fuoco d’incendio. Si dispongono a semicerchio a pochi passi da lui. 

Sente un sorriso feroce stirargli le labbra. “Voi o io, bestie!” 

—YANO NO—

Il grido di Ceski gli fende il cervello.

—lasciami fare—siamo venuti insieme e insieme ce ne andremo—

Non arretrerà. Dovessero uscirne mille da quella nebbia inquietante. 

—NO—YANO—SALVATELO SONO TROPPE—

Ed ora ogni compagno, a Buttercup Deep e per tutte le montagne circostanti, è stato richiamato.

Non importa: nessuno risponderà all’imvicaIine di Ceski. I sopravvissuti a a Buttercup Deep sono tutti diretti al punto di ritrovo, sotto le pendici del monte Stoka. L’ultima riserva in cui lo spirito degli antenati è abbastanza forte da ergersi come una barriera naturale. Non servono Mana, o pergamene, per tenere le minacce lontane da quei luoghi.

La fata viola sorride, le file accavallate dei suoi denti aguzzi luccicano male. 

“Ti sei perso nel bosco, feccia con le orecchie lunghe?” La fata arriccia il naso, abbassa lo sguardo verso Ceski.“Ah ma non sei solo. Mi pareva di sentire puzza di decáde. Non resta molto al tuo amichetto.” Ridacchia, agita la testa facendo volar via dalle spalle la criniera di capelli intrecciati di foglie e piume d’uccello. Ha nastri neri legati attorno alla fronte alta.

—SCAPPA FINCHÉ PUOI—

Non può più. E a dire il vero non avrebbe mai potuto. 

“Vedi lo vuole proteggere.” La fata verde veleno ha le braccia coperte di squame di serpente. “Io dico prendiamoci le loro orecchie come trofeo.”

“Ti aspetto.” Il suo sorriso si allarga. Estrae la spada, disegna un arco ampio di fiamme nel cielo notturno. 

“Oohh guarda che carina.” La fata rosso sangue fa un passo verso di lui. “La voglio.” Una risatina. ”Però così brucerai I tuoi alberi adorati, elfo.” Suona come un insulto. Probabilmente per lei lo è. 

“Questo fuoco non mangia il legno, solo la carne abietta di quelli della tua stirpe.” La punta verso di lei, la coda laterale del suo vestito cade a terra in fiamme, sangue violaceo le corre lungo la gamba denudata. Cade in ginocchio con un gemito. E una. 

“Maledetta spazzatura!” Urla da dietro una di loro. 

“Chi va prima?” Un’altra voce acuta. 

“Andiamo assieme no?” La fata rosso sangue ghigna scoprendo i denti terrificanti, altri sorrisi osceni si aprono sulle facce delle sue compagne mentre convergono su di lui. 

Rotea la spada, un paio si ritraggono con i vestiti a fuoco, poi la prima maledizione si abbatte sulla sua barriera facendola crepitare. 

Alza la sua lama di fuoco  davanti alla faccia. Non può arretrare, ha già un calcagno vicino al corpo inerte di Ceski. Non può avanzare o si troverebbe scoperto di fronte ai loro incanti. 

Deve difendere il suo suolo, il suolo di Ceski, finché l’ultima delle bestie sanguinarie che gli stanno addosso crollerà a terra. 

O sarà lui a cadere addosso a Ceski. 

Non può essere. Mena fendenti nel turbine di occhi traslucidi e vesti fruscianti, una bocca irta di denti appuntiti si chiude troppo vicino al suo naso, sangue tiepido gli sprizza in faccia spera non sia il proprio, le urla lancinanti di quelle belve eteree gli straziano le orecchie. 

Qualcosa lo colpisce al braccio sinistro, lotta per mantenere l’equilibrio, urla per darsi coraggio ricacciandole indietro a fendenti di fuoco. Altri colpi gli si abbattono addosso strappandogli il tessuto fino della tunica e la pelle tenera sotto, il bianco del lino si scurisce del proprio sangue, per un attimo gli gira la testa, deve. 

Resistere. 

Resistere. 

Sputa a terra, quelle si ritraggono, facce da incubo rigate di scuro, per quanto le colpisca non riesce a cancellare i sorrisi taglienti che le aprono in due come ferite. 

La sua barriera è tutta bozzi, dopo le loro maledizioni, in un angolo si allarga una crepa. Ansima parole antiche per rinsaldarla, quanto ci vorrà prima che ceda. Quanto può durare ancora il suo Mana sfilacciato. 

Non ha più fiato, sostenuto solo dalla furia e dalla cocciutaggine, lui non cede mai. Si riporterà via Ceski a qualunque costo. Alza la spada, la luce lo acceca. 

“Andatevene o di voi non resterà che cenere.”

Qualcuna ride. 

“Senti il bimbo orecchielunghe.”

La fata viola alza le braccia al cielo, è fatta della materia stessa degli incubi peggiori. Si blocca per un attimo, ipnotizzato. Lei ride. E la furia lo acceca, alza verso di lei la sua lama di fuoco, accompagna il fendente con un incanto antico, l’ultimo che gli rimane se vuole mantenere la barriera. 

La fata avvampa in un bagliore rosso, con lei quelle vicine. Fiocchi traslucidi di mille colori volteggiano fra le volute di nebbia. 

Un urlo di odio puro sbriciola la sua barriera. 

L’onda d’urto lo fa cadere all’indietro, a fianco a Ceski. Alza la spada in un arco largo per tenere indietro quelle bestie leggiadre ma sono troppo vicine. Qualcuna cade all’indietro, altre mani adunche gli graffiano il viso, gli si aggrappano ai capelli, un colpo forte alla testa, sente il proprio cranio scricchiolare da dentro, un lampo di dolore bianco lo acceca, sputa sangue e saliva, agitando la spada a tentoni. 

L’odore della carne carbonizzata gli riempie le narici, troppo vicino, gli rovescia lo stomaco in bocca. 

Anche se le brucia non si scansano, una maledizione lo immobilizza, schiacciato contro il terreno soffice. Il peggior dolore della sua vita. Al centro del petto. Ancora. Non può muoversi, non sa difendersi. 

“Yano!”

—ceski—

“Yanoo!!”

—perdonami—

La pressione delle fate su di lui si allenta di colpo, il sapore dolciastro del sangue gli riempie la bocca. 

Urla lancinanti gli trapassano il cranio come lame, tutto pulsa dove è rotto e pesto e fa più male. 

Cerca di respirare e non ne è più capace, grida perché è come affogare e l’acqua è terrore l’acqua è morte per lui per lui. Ma non ha più voce il terrore gli congela la schiena. 

“C’è anche Ceski.”

Ma chi sta parlando. 

“È lui che ci ha chiamato.”

Sono. Loro?

“Fai presto. Ti prego.”  

Sopra di lui i cerchi infiniti delle foglie, adornate da brandelli di nebbia. Più su, il cielo è bianco della luce della luna.

“Perché non ci ha chiamato lui finché poteva?”

“Yano è Yano. Ecco.” Sembra la voce di Gya. 

Non può muoversi, il suo corpo non gli risponde più, come una pelle che si abbandona per quella nuova, un guscio inerte. 

Incapace di tirare il prossimo sospiro. 

Un viso tondo, pallido, si china su di lui, il peso di una pergamena gli penetra nel petto. Qualcuno intona una benedizione da qualche parte. 

Finalmente può respirare liberamente e vede. 

I suoi compagni. Radunati attorno a Ceski e a. 

Lui?

C’è sangue dappertutto. 

Non può essere il suo non sarebbe ancora. 

Vivo?

Il mantello trema sopra a Ceski. Perché Ceski si sta. Muovendo. 

Come in un sogno lo vede voltarsi verso il suo corpo massacrato, alzarsi su mani e ginocchia. 

“Yano.” L’angoscia nella sua voce lo fa tremare. “Yano no. No dovevi. Non me lo dovevi. Fare,” farfuglia Ceski e gli accarezza la fronte. 

Non può sentire il suo tocco. Gli spezza il cuore che non ha più. Non ha più niente. Legato al suo vascello rotto da un filamento traslucido che va sbiadendo nel nero della notte. 

“Non a questo prezzo,” mormora Ceski. Gli scappa un singhiozzo, e un altro. Si china su di lui. Grosse lacrime tonde gli colano giù per la faccia, se le sente cadere. 

Sulle guance. 

Tiepide come la pioggia benedetta di primavera. 

Ti stanno aspettando dice la voce dietro di lui, la conosce. Un bagliore rosato gli scalda la schiena. 

Non si volta. “Non posso.”

Spezzerai dei cuori, insiste quella voce. Sembra mamma. Quando era molto piccolo. 

Scuote la testa. “Pazienza. Non posso certo spezzare il suo. Si immagina al posto di Ceski, chino sul corpo di Ceski che si sta raffreddando. Scuote la testa più forte. “Non posso,” ripete sottovoce.

Rischi di restare sospeso qui per sempre. La voce è così tenera, così tenera, e così preoccupata

Basterebbe un attimo per cedere e Ceski sarebbe perso per sempre. Stringe i pugni, abbassa la testa. “Accetto il rischio.”

Come desideri. La luce scompare, rimane solo nel buio, legato al qui e ora da un filamento labile che si sfilaccia fibra a fibra. Si romperà fra troppo poco. Non sa che fare. Non osa aggrapparvisi per paura di spezzarlo. Non puó muoversi.

“Ceski.” Chiama sottovoce. 

Ceski alza la testa di scatto, punta lo sguardo su di lui. 

“Yano.” La sua faccia si accartoccia in una smorfia di terrore. “Resta con me. Ti prego.” Alza una mano verso di lui, come se potesse afferrarlo e riportarlo nel qui ed ora ma sono troppo lontani. 

Si protende verso Ceski, affonda nei suoi occhi scuri. Nudi e liquidi e fondi di paura. 

Dolore. Improvviso gli toglie il fiato che non ha tossisce cercando aria il peso tiepido di altre pergamene addosso. 

La mano di Ceski aggrappata alla sua. 

Tutto quello che riesce a vedere sono i suoi occhi scuri. 

“Ceski.” Ma gli esce di bocca solo un suono liquido. 

“Sono qui.”

Lui c’è sempre. 

Perché sono uno.

Edit: per lo scorso COWT (12), usando come prompt “Andromeda” di Elodie, sono stata inghiottita senza scampo dal brainrot di Saint Seiya.

Per questo COWT (13) il prompt “Lacrime mie o lacrime tue” di Elodie mi ha scaraventata nel gorgo degli elfi gay e la battaglia a Buttercup Deep, che non stavo scrivendo da anni.

La perfezione in tutto questo O.O

A me Elodie oggettivamente non piace (preferenza del tutto personale)