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Hyoga/Shun

Il COWT è finito ma il brainrot no, questo è un finale alternativo per Say my name molto più in canon del primo.

So, without further ado, un piccolo HyoShun molto hurt/comfort.

Fandom: Saint Seiya
Pairing: Hyoga/Shun
Setting: Warriors of the Final Holy Battle, retelling della battaglia contro Virtues Eligor (Golden Mantis) + missing scene
Warnings: graphic depiction of violence, gorgeous boys in a compromising position.

Say my name (finale alternativo)

Sente il colpo come se fosse diretto al suo stesso stomaco, gli toglie il fiato dai polmoni in un singhiozzo, gli rimbomba per tutti i nervi, lasciandolo inerme all’attacco diretto di Eligor ed è ancora dolore, il sapore del sangue in bocca, la pietra che si sbriciola sotto l’impatto del suo corpo contro il pavimento e il muro. Cade di faccia, incapace di muoversi per un attimo troppo lungo.

“Hyoga,” ansima puntando le mani a terra per rialzarsi un’altra volta, ma le braccia gli tremano, non può. 

Non può.

Terrore nero a bloccargli il corpo più dell’agonia delle ferite, il respiro più della fatica del combattimento; Eligor ride e lo sbatte contro il muro con un calcio in faccia, gli occhi senza vita della maschera che gli copre il viso luccicano, fissandolo, bloccandolo come un insetto trafitto da uno spillo contro la parete di mattoni sbrecciati. Gli spigoli si conficcano nella sua carne pesta.

‘Shun—’

Il grido disperato di Hyoga gli trafigge il cervello.

Come se le loro anime fossero in risonanza, molto più che sentire il suo cosmo come quello degli altri Santi, condannato a sopportare ogni ferita inflitta alla persona che ama più della sua vita, più di suo fratello. Più di tutto. C’è un filo lucente che lo lega a doppio a Hyoga, senza possibilità di scampo, cresciuto battaglia dopo battaglia durante tutte le guerre sante. Si sono salvati a vicenda troppe volte, ed ora. 

A me, ti prego, mille volte a me. Lascialo stare. Ha già sofferto abbastanza.

Ora non può fare niente, solo assistere impotente al suo massacro. Ancora colpi nella carne di Hyoga, portati alla velocità della luce, sente le sue stesse ossa scricchiolare.

Si tira su a fatica, facendo scivolare la schiena contro il muro freddo che fiancheggia la scala verso il palazzo di Lucifero. Gli tremano le gambe,  un nodo gelido di paura gli torce lo stomaco. 

“Ti prego, Ti prego, Hyoga, resisti. Io. Farò lo stesso.” sussurra. Anche il suo Cloth è in cocci e le catene di Andromeda giacciono a pezzi sul pavimento del pianerottolo dove per un attimo si era illuso di aver intrappolato Eligor. La sua vittoria è durata l’attimo di un respiro, una serie di colpi secchi che sbriciolavano le maglie di bronzo e poi il Cosmo del demone l’ha fatto a pezzi. Non può farcela. Ma deve rialzarsi ancora. “Per Atena, Hyoga. Per Atena, ricordalo.”

Per me. Ti prego.

Si sorregge con la schiena contro il muro, ansimando, lo sguardo voltato in su, verso la serie infinita di gradini oltre i quali Hyoga è sparito, oltre i quali Hyoga sta combattendo per Atena e per la sua stessa vita. Sa che è pronto a sacrificarla per la vittoria. Sa che probabilmente dovrà farlo, come dovrà fare lui stesso. 

Come ha già fatto Shiryu per fermare Belzebù. Il suo Cosmo è debolissimo, sul punto di sparire.

Eligor muove un passo verso di lui. 

Alza d’istinto le braccia a difesa del torace e della faccia, deve fare uno sforzo per mettere a fuoco il demone, quella maschera odiosa, l’esplosione di capelli giallastri dietro la sua testa. 

“Perché resisti? Prolunghi solo la tua agonia. Ti accompagnerò volentieri per la strada che conduce all’altro mondo.” Le mani artigliate di Eligor scattano in posizione d’attacco, il colpo è come un’esplosione di luce sul viso, si sposta di lato per evitarlo, dita fasciate di metallo trapassano il muro dove un attimo prima c’era la sua testa. Lo prende di striscio, gli spilla altro sangue. Nuovo dolore gli stritola il corpo, e non è il suo, non solo.

Hyoga. 

Rotola giù dalle scale di testa, senza riuscire a fermarsi, il corpo pesante come pietra, Eligor lo insegue ondeggiando sulle gambe troppo lunghe come la mantide di cui porta il Cloth. 

Il Cosmo di Hyoga brucia più del sole, consumandosi in un attimo di splendore accecante, questo. 

Questo è il suo ultimo colpo.

È finita.

“Hyoga!” Urla ed Eligor è già sopra di lui, gli occhi senza iridi della sua maschera luccicano malevoli, i suoi artigli d’acciaio gli si conficcano nel torace indifeso, con un lampo di luce che lo acceca. 

Il Cosmo di Hyoga si affievolisce e scompare. Si interrompe la comunicazione fra i loro spiriti, tace la voce dolce di Hyoga nella sua mente.

Andato–

“Noooo!” Urla con la bocca piena di sangue, se lo sente colare sul mento; Eligor lo tira su di peso, impalato sulle sue dita d’acciaio, agonia lungo ogni nervo, ma non è quello che gli toglie il respiro, fissa il demone negli occhi d’argento, inerte in suo potere, incapace di muovere un solo muscolo per difendere sé stesso.

Può sopportare molte cose. Ma non un mondo senza Hyoga. La voce di Eligor, piena di echi, mette in fila suoni senza senso; la sua mano artigliata si illumina di potere, pronta a prendergli la vita.

Non cerca di fermarlo, non sa muoversi, il sangue congelato nelle vene come se quell’Aurora Execution avesse colpito anche lui. Non si opporrà al destino. 

Il suo destino giace senza vita pochi scalini più su. È tempo di raggiungerlo.

Eligor sogghigna sotto la maschera, la sua mano scatta in alto. Ci siamo. Socchiude gli occhi. Vedere è inutile .

Le piume blu della Fenice si conficcano nel polso di Eligor, ali di fuoco riempiono il cielo. La voce nota di suo fratello gli risuona nelle orecchie. 

Eligor lo scaglia a terra; dolore esplode in ognuna delle ossa peste, delle ferite che gli lacerano la carne, non è niente. Niente. 

Niente rispetto all’agonia che gli squarcia l’anima; il vuoto lasciato dall’assenza di Hyoga gli rimbomba in testa, interrotto quel contatto che per lui era tutto. 

“Sei qui fratello” sussurra. Gli manca la voce. Lui è stato soccorso. 

Hyoga no. Non è giusto. 

“Per salvarti come al solito. Hai qualcosa in contrario? Ikki sogghigna, parandosi fra lui ed Eligor. 

“No di certo.” Anche se si chiede a quale scopo aver salva la vita, se la sua vita se n’è andata assieme al Santo del Cigno. 

Per Atena?

Forse non è sufficiente. 

Abbandona la testa sul pavimento freddo; steso sui gradini, gli occhi gli si oscurano, si sfoca la battaglia di suo fratello contro Eligor. 

A Ikki bastano due colpi, due soli, per annientare il demone in un bagliore di luce verdastra. Perché non può essere potente come lui, schiacciare i suoi nemici, proteggere quel che è più caro al suo cuore. Perché?

Come riesce sempre a fare suo fratello. 

Hyoga sarebbe al sicuro fra le sue braccia, ora, stretto contro di lui. 

Invece se n’è andato. La sua vita interrotta troppo presto. 

Ikki si volta verso la scalinata infinita che porta al palazzo di Lucifero, già avviato verso il prossimo combattimento. Intoccato. Potente come il fuoco stesso. 

Si puntella sulle mani per rialzarsi, il suo corpo massacrato si rifiuta e ancor di più il suo spirito. Distrutto. 

Vorrebbe solo braccia che lo stringono. 

Quelle braccia non ci sono più. 

“Aspettami. Fratello.” Alza una mano ma Ikki si avvia di corsa su per le scale senza voltarsi. Tende i muscoli, lottando per sollevarsi; le braccia non lo reggono. Crolla sui gradini senza fiato. 

“Aspettami.”

Non farmi passare da solo di lì. 

Ikki è già lontano, non può perdere tempo con lui, lo sa. È il loro compito: sempre avanti, spendendo fino all’ultimo briciolo di energia rimasta, avanti. Trascurando tutto e tutti. 

A parte lei.

Potrebbe dover essere costretto a passare di fianco al corpo esanime di Hoga, se fosse necessario per salvare Atena. Senza potersi fermare neanche un momento, uno solo, a controllare se c’è ancora battito nel suo cuore. 

Chiude forte gli occhi per trattenere le lacrime. Senza forza, senza fiato, senza.

Niente

Il buio lo inghiotte.

***

Pietra grigiastra segnata da profonde  fenditure. Una scalinata, colonne alte e oltre, più su, si erge un palazzo. Enorme, squadrato. Minaccioso. I suoi tetti neri si perdono fra le nuvole che incombono su tutta la valle

Dove?

Gli spigoli dei gradini gli scavano la pancia e le gambe. 

Alza la testa con un gemito, la lascia ricadere sulla pietra dura del pianerottolo. Ad ogni movimento lame di dolore gli si conficcano nel corpo. Eligor l’ha colpito duro. Troppo.

Hyoga–

Artiglia la pietra del pavimento con le dita sbucciate.

Deve.

Non può starsene qui a dormire per sempre. Stringe i denti, punta le mani a terra. Risale carponi gli ultimi gradini, un respiro profondo per scacciare l’oscurità che cerca di togliergli la vista.

Deve.

Hyoga.

Qualsiasi cosa sia successa.

Deve–

Scuote la testa per schiarirsi i pensieri.

Non importa.

Il sapore nauseante del sangue gli riempie la bocca, le braccia gli tremano cercando di sostenere il peso del corpo, cercando di spingerlo ancora.

Avanti.

Striscia lungo il pianerottolo.

Come un verme, non importa. Troppo prezioso. 

Troppo.

Si aggrappa al muro sfregiato dai colpi di Eligor, per tirarsi in piedi. Gli gira la testa, si affloscia di schiena contro una colonna, le mani dietro di sé, sulla pietra scheggiata, per sostenersi. 

Gli rimbombano le orecchie, tutto diventa molto scuro per un attimo lunghissimo; si morde un labbro, un’onda di nausea gli torce la gola.

Deve.

Andare.

Prende una serie di respiri profondi, a testa china. Strizza forte gli occhi, il mondo riacquista un po’ della sua luce. 

A terra luccicano i frammenti spezzati della catena di Andromeda.

Non importa. 

Non ha più bisogno di difendersi. Meglio inerme.

La fine arriverà prima.

Hyoga.

Tutto tace. 

Nessuna voce nella sua testa. Nessun Cosmo di ghiaccio a tingere di bianco il cielo e congelare la terra. 

Spento. 

Muove un passo tremante, addossato al muro per non crollare a terra. Un altro; ignora il dolore che gli fa urlare i nervi, stringe i denti, deve. 

Fiancheggia il pianerottolo largo, dove Eligor lo ha atterrato e sconfitto. 

Deve.

La scalinata si erge davanti a lui, salire richiede un tempo infinito quando invece vorrebbe.

Dovrebbe.

Correre.

Da Hyoga. Non importa se non serve a niente, non importa se sarà solo per stargli vicino un ultimo momento. Là.

Da lui.

Passo passo.

E ad ogni gradino il suo cuore perde un battito e la morsa di terrore che lo imprigiona si stringe di un altro giro. 

Traballa sugli ultimi gradini.

Hyoga.

Il pianerottolo successivo è delimitato al lato opposto da un arco appuntito di pietra scura. Una fila di demoni scolpiti sogghigna lungo la parete, gli occhi puntati sulla figura bianca e bionda stesa ai loro piedi.

Hyoga.

Prono. Fermissimo.

Spogliato a colpi del Cloth del Cigno, gliene rimangono addosso solo frammenti sbeccati, la sua tuta è strappata e macchiata di rosso.

“Hyoga–” grida. 

Corre.

“Hyoga.” Si butta in ginocchio di fianco al suo viso rigato di sangue, ravvia i capelli fra i quali sembra affogare. “Hyoga. Rispondi–” Si china su di lui per girarlo, non riesce a capire se stia respirando ancora. “Hyoga–”

Ha paura a toccarlo, paura di fare peggio, paura che sia quel movimento a mandarlo oltre il confine estremo. Da cui non c’è ritorno. Appoggia la mano sulla sua guancia fredda. “Mi senti–” Non riesce più a parlare, un groppo gli ferma la voce a metà della gola, gli occhi gli bruciano. “Ti prego?”

Le palpebre di Hyoga tremano e si sollevano appena. “Shun?” Ha la voce spezzata. “Shun!” 

Il sollievo che lo invade gli toglie le forze. Gli gira la testa, lotta per non cadere steso al suo fianco.

Hyoga puntella le mani  a terra, si solleva di un centimetro alla volta. Testa ciondoloni, ciocche bionde sporche di sangue gli spiovono davanti alla faccia ma Shun può vedere le sue labbra che si tendono nello sforzo.

Prende Hyoga sotto le ascelle, lo aiuta a tirarsi su, se lo stringe al petto.

“Shun. Shun,” Hyoga lo chiama affondando il viso contro il suo collo, gli fa correre le mani addosso, a carezzarlo, a stringerlo e non importa se ogni centimetro del corpo gli fa male, accoglie ogni tocco come un miracolo.

“Hyoga–”

“Sei vivo–” Hyoga alza la testa, occhi azzurri come il cielo limpido nei suoi. Una lacrima gli scivola giù per la guancia. Un’altra. “Shun. Io–”

“Anch’io.” Stringe le labbra. “Anch’io. Non dire niente. Non.” Deglutisce a fatica. “È tutto a posto. Vieni qui.”  

Si rifugiano uno nelle braccia dell’altro, in ginocchio, stringendosi come da bambini quando li mettevano in punizione nello sgabuzzino buio della cucina, puzzolente di aglio e aringhe sotto sale. Aggrappati per combattere l’oscurità insieme. 

La bocca di Hyoga incontra la sua, sa di sangue e terrore. Gli ruba il respiro, le loro lingue si sfiorano. 

A Hyoga scappa un singhiozzo strozzato. “Mai più.” La voce gli si spezza, gli occhi fissi nei suoi sono pazzi di dolore. “Mai più. Giuramelo. Ti avevo perso.” Preme ancora le labbra sulle sue. “Mai più.”

Annuisce. Sta piangendo anche lui mentre appoggia la fronte contro la sua. Cerca di asciugargli le lacrime con i pollici ma sono troppe.

Inclina la testa di lato e bacia ancora Hyoga, mani sulle sue guance bagnate; al sicuro nel cerchio forte di quelle braccia che lo stringono rilascia un respiro lungo. Non.

Non era sicuro, salendo quei gradini uno ad uno.

Che se le sarebbe sentite addosso un’altra volta.

Invece è qui, sono ancora qui. Vivi. 

Assieme.

Ogni volta sembra più improbabile, ogni volta ha più paura. Sa esattamente perché devono combattere. Sa che è importante.

Ne va fiero.

Ma non rende comunque le cose più facili. Non quando ha davanti il viso di Hyoga rigato di lacrime, i suoi occhi arrossati. Quando la stretta delle mani di Hyoga è convulsa su di lui. Dita che affondano nella sua carne ferita, ma il sollievo è più forte del dolore. Seppellisce le dita fra le ciocche sporche dei capelli di Hyoga. “Non posso prometterti niente. Nemmeno tu. E lo sai.” È come se un macigno gli schiacciasse il petto, alle sue stesse parole. Troppo vere per poterle sopportare.

La loro vita non gli appartiene più, l’hanno votata a qualcos’altro.

A loro restano solo briciole e speranza.

Di vedere un nuovo giorno. Luminoso.

Insieme.

“Lo so. Lo so.” Hyoga struscia la testa contro la sua. “Lo so ma certe volte è insopportabile.” Le sue braccia lo stringono più forte. Fa male.

Fa bene.

“Chiamami. Di’ il mio nome.” 

“Hyoga–” Chiude forte gli occhi, la faccia vicinissima alla sua. 

“Shunー“ Nasi che si sfiorano, labbra che si cercano. 

“Hyogaー” Assaggia il salato delle lacrime nella bocca di Hyoga. 

“Shun.” Hyoga schiaccia ancora la fronte contro la sua

Si aggrappa al suo collo per mantenere la schiena eretta. Non saprebbe dire chi sostiene chi, sorreggendosi a vicenda, perfettamente bilanciati. Qualsiasi cosa potrebbe andare storta, qualsiasi. Facendoli crollare a terra. Eppure sono lì, ancora dritti. Ancora stretti, ancora insieme.

Ancora vivi, malgrado tutto.

“Ti amo tanto,” sussurra e gli occhi di Hyoga diventano molto teneri, la sua bocca si incurva in un sorriso.

“Non potrei vivere senza di te. Mai. Nemmeno un giorno.”

Appoggia la testa sulla spalla di Hyoga, cerca ancora più contatto fra i loro corpi pesti. Fa male.

Ma fa ancora più bene. Il bilancio è sempre in positivo, per loro. Accarezza il collo sudato di Hyoga, sotto la massa dei capelli ammazzettati dal sangue e dalla polvere.”Sembra che dovremo fare parecchia attenzione a portarci a casa vivi, Hyoga del Cigno. Io non resisterei un’ora senza di te.”

Hyoga non dice niente e se lo stringe contro. Le sue labbra su una tempia, gentili.

Protetto. Avvolto. Sostenuto. Si guardano negli occhi; nella sua testa, dove prima c’era vuoto nero, si espande un calore tenero e trasparente. Non c’è più fatica, nè dolore, nè sconforto. Solo la presenza solida di Hyoga contro di lui. 

Chiude gli occhi, immerso in quella luce. Sa che durerà un attimo, che si deve accontentare di poco. Che è comunque tantissimo.

“Dobbiamo andare.” sussurra 

Hyoga annuisce. “Per Atena.” Aggrotta appena le sopracciglia. “Però ti prego. Ti prego–”

Annuisce. “Anche tu hai delle responsabilità.”

“Lo so.” Hyoga gli toglie i capelli dalla fronte. Si guardano come se dovessero ricordarsi per sempre l’uno dell’altro e in qualche modo è così. Ogni volta. 

Senza la certezza. 

”Sei pronto?” 

Hyoga si tende contro di lui, la sua bocca si piega in una smorfia di dolore; si tirano in piedi aggrappandosi l’uno all’altro e restano fermi un attimo, ansimando, ancora occhi fissi negli occhi. 

“Andiamo.” Ma sente le gambe cedergli. 

Hyoga lo riacchiappa al volo, si passa il suo braccio attorno al collo, lo tiene stretto per la vita. “Tutto bene?”

“Sì.” Ma sta mentendo. Gli artigli di Eligor sono arrivati troppo vicino al suo cuore, e la paura gelida che l‘ha mangiato e risputato a brani sembra essersi portata via le sue ultime energie. 

Non è necessario che Hyoga lo sappia.

Barcollano allacciati, verso le scale. Un gradino dopo l’altro.

Un giorno dopo l’altro, una battaglia e una battaglia ancora, sempre col terrore di perdere di nuovo la voce dolce di Hyoga nella sua testa. 

Più atroce che perdere la vita stessa. 

“Ti amo.” Mormora, al sicuro nello sguardo di Hyoga, azzurro e sconfinato, come il cielo. 

“Per sempre.” 

“E oltre.”

Ok xD self-indulgent is my middle name.

Finale molto più canon per ragioni logistiche (Shun VS Eligor ha luogo nel pianerottolo inferiore rispetto a Hyoga VS Thrones Mois e i Santi non possono tornare indietro per contratto con Atena XD) e di tropes della serie (di solito è Shun che aiuta Hyoga anche se ci sono delle eccezioni)