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Hyoga/Shun

Per il COWT12 ancora Saint Seiya e Hyoga/Shun a pacchi. Questo è whumpy e fa male, approcciare con prudenza please.

Chi sei?

Circondato dalle macchine che lo tengono in vita, Hyoga sembra sgonfiato. Sgonfiate le sue braccia muscolose, ora inerti fra le pieghe bianche del lenzuolo. Sgonfiato il torace che si alza e si abbassa appena al ritmo del suo respiro. 

Sgonfiata la volontà incrollabile che lo ha tenuto in piedi fino alla fine dell’ultima battaglia. Per abbandonarlo tutta assieme; Shun lo ha visto abbattersi al suolo, dopo l’ultima Aurora Execution che ha congelato la terra e tinto di bianco il cielo. 

Una corsa matta, le gambe che lo tenevano appena. Il ghiaccio duro sotto le ossa ammaccate mentre si buttava in ginocchio accanto a lui. Occhi azzurri sbarrati sul nulla, una pozza rossa sotto la guancia, l’elmo del Cigno in pezzi. Come il cranio che avrebbe dovuto proteggere.

“Hyoga! Resta con me.” Mani tremanti, sulla sua faccia rigata di sangue. “Resta con me.”

Hyoga è rimasto. Quel che è rimasto di lui. Non molto.

Un corpo immobile sotto le lenzuola dell’ospedale, una testa rasata, ricostruita con graffe di titanio e speranza.

Ma anche la speranza è difficile da nutrire, dopo un mese che Hyoga non dà segno di vita. Agganciato a un’infinità di tubi e cavi, e quelli a macchine che lampeggiano, ticchettano, sibilano. È difficile persino avvicinarsi al suo letto, sedersi sul materasso, tenergli la mano. 

“Parlagli, gli fa bene. Magari sentire la tua voce lo riporterà indietro.”

E Shun gli parla, gli parla per ore, di tutto e di niente, finchè non ha la gola secca e gli occhi che bruciano. Deve tenere la voce bassa o è sicuro che si romperà in un mare di singhiozzi. Dubita perfino che raggiunga le orecchie di Hyoga, in mezzo a quel rumore bianco di macchinari. Uno scudo invisibile che chiude fuori lui e i suoi mormorii inutili.

Tanto Hyoga non si sveglia. 

Stringe le sue dita inerti, si sposta un po’ sul materasso facendo attenzione a non staccare nessuno dei supporti che cercano di ricollegare Hyoga alla vita. Per ora riescono solo a tenere vivo il suo involucro, ma lo spirito, quello, chissà dove se n’è andato.

“Verrei con te fino ai confini del mondo.” Si ricorda benissimo di avergli detto quelle parole, molto tempo fa. Ma dovunque sia Hyoga, lui non può arrivare. Per quanto lo desideri. Nemmeno la sua catena, capace di attraversare le dimensioni, si estende così tanto.

Si porta alla bocca la mano di Hyoga, bacia le nocche una ad una, i polpastrelli. Ha finito le parole per oggi, ma non se la sente di andarsene. Troppo solo. Troppo solo fra gli altri Santi, così attenti a non turbarlo, a rispettare il suo.

Dolore?

Nemmeno. La disperazione di avere Hyoga accanto tutti i giorni, eppure così lontano. Immobile, muto, le palpebre chiuse a nascondere i suoi occhi, vuole rivedere quell’azzurro, e le minuscole scintille che li animano quando Hyoga ride.

“Ti prego,” sussurra. Sente le lacrime salire e stavolta non le fermerà. “Ti prego decidi. Decidi. Io. Non ce la faccio più.” Si appoggia sulla guancia il palmo di Hyoga, deve sorreggere il peso del suo braccio inerte. “Decidi se vuoi tornare da me. O se devi andare, vai. Ma decidi. Ti prego–”

Le lacrime gli colano in bocca, atterrano in gocce grosse sul bianco dei suoi pantaloni. Troppe. Ne ha tenute dentro troppe ed ora escono tutte insieme. Un’onda silenziosa che lo svuota. 

Accarezza la guancia fresca di Hyoga. Non può guardare troppo a lungo il suo viso inespressivo o le lacrime non si fermano più. Nudo senza la corona scompigliata dei capelli biondi. Gli piaceva arrotolarsi sulle dita quelle ciocche lunghe, profumate di shampoo al miele. 

“Hyogaー” 

Una spia inattesa si accende di rosso, poi un’altra; parte un allarme troppo forte. Il suo cuore perde un battito. Cosa gli è saltato in mente di dire?

Davvero Hyoga se ne sta andando? Piange più forte, premendosi la sua mano sulla bocca. 

Non è giusto.

Hyoga è suo. Non di Atena, condannato a rischiare la vita troppo spesso per riportare l’equilibrio nella lotta ardente degli dei.

Stavolta, una volta di troppo.

La sua catena trema, arrotolata al polso come un braccialetto, calda e pesante. “Che c’è?” sussurra. La sfera di metallo si strofina sul palmo della sua mano. “Dove vuoi andare?” Alza la mano per darle via libera, gli anelli si svolgono tintinnando, saettano verso la faccia di Hyoga.

“Ngh.” La ferma stringendola fra le dita, la catena tira così forte da scorticargli il palmo, Il sangue gli cola giù per il polso. Non c’è verso. Perde la presa e l’arma si avvolge attorno all’ovale della faccia di Hyoga. “No!” Ma non può fare niente, non è in grado di trattenerla. Il cerchio si stringe, premendo la mandibola di Hyoga contro la mascella, le sue labbra si sigillano in una linea sottile, il metallo gli affonda nella carne. La sfera appesa alla catena preme contro le sue narici, 

“No! Che fai?” Gli esce dalle labbra in un sussurro disperato. 

L’allarme smette di suonare, le spie tornano di un verde rassicurante. 

La catena si riavvolge sul polso. Attorno alla faccia di Hyoga restano lunghi segni rossi che presto vireranno al viola.

Cos’è stato?

Un’infermiera  entra di corsa; la porta a vetri della stanza trema, sbattendo alle sue spalle. “Che succede?” É Dora. Controlla spie e tracciati col fiato corto, annuendo tra sé e sé. “Tutto a posto, sembrerebbe.” Lo guarda fisso, Shun si stringe nelle spalle.

“Mi spiace, Dora, non vorrei aver spostato un cavo per sbaglio.” Ma sa che non è così.

La sua catena ha fermato qualcosa.

Qualcosa.

“Mi raccomando stai attento, Shun.” Gli occhi dell’infermiera si rattristano, fissandosi nei suoi. Forse ha visto morire troppa gente. Dev’essere difficile. “Vai a riposarti un po’. Sei più pallido di lui.” Gli carezza una spalla. 

SI rilassa per un attimo nel tepore del suo palmo attraverso la camicia. Solo ora si rende conto di quanto il suo corpo sia teso. “Fra poco vado, Dora. Grazie.” Si sente gli occhi gonfi, le guance bagnate. Un brutto spettacolo. Abbassa la faccia, stringe fra le sue la mano fredda di Hyoga. 

“Tanto so che non lo fai. Ti porto un the.” Il contatto si interrompe, gli zoccoli di Dora scivolano sul pavimento lucido, la porta si chiude piano.

Lui annuisce, incassato nelle spalle. In silenzio per non dover piangere di nuovo. Si china finché la sua fronte tocca il torace di Hyoga, che si alza e si abbassa piano. 

Le dita strette nelle sue si contraggono. Un’altra volta. Non può essersi sbagliato. Un singhiozzo gli blocca il respiro, alza la testa di scatto. Sperando senza osare farlo. Sarebbe ancora peggio. 

“Hyoga? Mi senti?”

Le palpebre di Hyoga tremano, si aprono un millimetro alla volta. Lui trattiene il fiato. Ha aspettato troppo questo momento e ora non può crederci davvero. Forse si è addormentato sopra a Hyoga, di traverso su di lui. Ed ora sta sognando. 

É già successo. 

Se è un sogno non vuole svegliarsi, mai.

“Hyoga–”

Occhi enormi nel viso nudo. Ancora più grandi senza la frangia scompigliata dietro cui nascondersi.  Finalmente. Finalmente può rivedere quell’azzurro. Più bello di qualsiasi cielo.

Hyoga aggrotta le sopracciglia, lo fissa cercando di metterlo a fuoco. “Tu–” La sua voce è incerta. “Tu. Chi sei?”

Per il COWT12 ancora Saint Seiya, come se non ci fosse domani! Hyoga/Shun fluffiness, POV di Ikki.

Il road trip che mi era rimasto incastrato nella tastiera lmao

Inguardabili

Compresso nel sedile troppo stretto sbircia sopra il bordo del libro, incapace di concentrarsi. 

Ha scelto il posto sbagliato.

Dalla sua posizione riesce a vedere solo la schiena di Hyoga, girata verso il corridoio centrale del pulmino. Però sa che a fianco a lui, lato finestrino, sta seduto suo fratello. 

Li sente parlottare sottovoce, senza riuscire a capire cosa si dicono per quanto tenda l’orecchio.  Ogni tanto si alza la risata argentina di Shun, seguita da quella di Hoga, più bassa. Più cupa. Gli pare di non averla mai sentita prima d’ora. 

Ed è sufficiente a mettergli la smania addosso. 

Rialza il libro. Draghi e ammazzamenti, la storia sarebbe pure avvincente, ma il pensiero di quei due gli rosicchia il cervello e le parole gli ballano davanti agli occhi senza senso. 

Quei due sono inguardabili. 

Inguardabili. Sempre appiccicati, orbitando uno nel campo di gravità dell’altro. Basta loro un’occhiata di sbieco per capirsi. Vibrando sulle stesse frequenze. 

Seiya è convinto che sia per via del miracolo alla casa della Bilancia; così gli ha detto qualche mese fa, dopo la guerra contro Poseidone. Ha usato esattamente quella parola, miracolo, e a Ikki è salito un brivido lungo la schiena perché di solito i messia finiscono male.

Secondo Seiya, il Cosmo di Shun ha lasciato una traccia del suo passaggio in Hyoga, quando suo fratello l’ha usato per liberare il Santo del Cigno dal gelo inesorabile in cui lo aveva imprigionato Camus. 

Gli sembra ragionevole. 

Quel che è meno ragionevole è il comportamento da. 

Fidanzatini. 

Ecco, fidanzatini è la parola. 

Perché lo sguardo di suo fratello si intenerisce, quando incontra quello di Hyoga. 

E Hyoga. 

Hyoga è freddo. Non puoi aspettarti altro da uno che padroneggia lo zero assoluto. E sebbene abbia dichiarato che Shun è riuscito a sgelare il suo cuore, o almeno così gli hanno raccontato dopo la fine della corsa al Tempio, a lui quel mezzo russo sembra sempre il solito musone. Tranne, di nuovo, quando Shun è nei paraggi 

Allora  la curva dura delle labbra di Hyoga si addolcisce. 

Ikki appoggia il libro sul ginocchio, guarda la campagna che corre fuori dal finestrino, campi di riso e case basse, donne chine a lavorare con i piedi nell’acqua. Si frega gli occhi con pollice e indice. 

Che sia gelosia?

Di vedere qualcuno più vicino di lui a Shun? 

E che quel qualcuno sia il russo musone?

Shun non è più un bambino bisognoso della sua protezione, e dopo il soggiorno a Death Queen Island e la sua follia, è stato lui stesso a tenersi lontano dal fratello e dagli altri Santi. Dopo quello che ha fatto, si stupisce che Shun gli parli ancora. Che lo guardi, lo tocchi, lo abbracci. 

Con la stessa tenerezza di quando erano bambini, stretti assieme perché erano l’unica cosa che restava l’uno all’altro. Questo non è cambiato, anche se ora Shun lo cerca meno. 

È normale. Shun è cresciuto negli anni che hanno trascorso separati, diventando più forte di quanto probabilmente lui stesso si renda conto di essere. Non ha più bisogno di un fratello grande a coprirgli le spalle. Non tanto. 

Anzi. 

Shun si è alzato più volte a difesa di Hyoga, nel corso delle guerre sante. È assurdo come suo fratello sia in grado di proteggere  gli altri ma non sé stesso. 

Ikki sospira e riprende in mano il libro. Tre righe lette male e un movimento alla sua sinistra lo fa voltare di scatto. 

In piedi nel corridoio centrale, Seiya gli agita davanti agli occhi un mazzo di carte da Uno. “Partitina?” Fa uno di quei suoi sorrisi larghi, reggendosi allo schienale con la mano libera.. 

Lui scuote la testa. Gli ci manca giusto quello. 

Seiya ridacchia e fa un cenno con la testa verso quei sedili. “I drammi di un fratello maggiore?”

E che diavolo. Non pensava di essere così trasparente. “Stavo cercando di leggere.”

“Difficile con tutte queste distrazioni.” Seiya ride ancora. “Shun è grande, non ha più bisogno che tu lo protegga. Non da Hyoga almeno.”

“Non sono certo il custode di mio fratelloー” Ma Seiya ha colto nel segno e lui sta mentendo. Certe abitudini sono difficili da perdere. 

“No di certo.” Seiya gli mette una mano sulla spalla, e se c’è una scintilla di divertimento nei suoi occhi scuri, è venata di perplessità. “Dai, vieni. In tre è più divertente.”

Forse Seiya ha ragione. Rimanere da solo a ruminare sulle cose, incassato in quel sedile scomodo, lo sta facendo diventare irrequieto. Sospira e piega l’angolo della pagina per tenere il segno, abbandona il libro sul posto vuoto accanto al suo. 

Seiya lo guida verso il posto da quattro; si siede di fronte a Shiryu, spazza via con l’avambraccio il walkman e i fumetti sparsi sul tavolino. Ikki era sicuro che avrebbe scelto lo stesso lato, lasciando lui solo dall’altra parte. Sempre solo contro gli altri.

Forse non tutto è perduto. Si incunea nel sedile di fianco a Seiya. A due file di distanza, con lo schienale che li protegge, può sentire a malapena  suo fratello e Hyoga che chiacchierano fitto. Di vederli non se ne parla proprio. 

Shiryu fa un ghignetto zen scrocchiandosi le dita. “Eccoti. Oggi vi distruggo, lo sento.”

“Ha! Voglio proprio vedere.” Seiya rimescola le carte e inizia a distribuirle. “Come te la senti Ikki?”

Lui alza le spalle, disponendo le sue a ventaglio. “Vincerò come al solito io.” 

“Senti senti.” Shiryu si sporge sul tavolino, aggrottando le sopracciglia. “Chissà se te lo lascio fare.”  

La partita va veloce, ormai sono grandi. A ogni esitazione volano carte di penalità e sbruffonaggini sempre più grosse. Gli fa pensare a loro bambini, riuniti attorno al tavolo tondo della stanza comune dell’orfanotrofio; Seiya è sempre stato quello che dava le carte. Shun di solito faceva coppia con lui perché non aveva ancora imparato bene a leggere i numeri. Partite sporadiche, riuscivano a giocare solo quando non erano troppo devastati dagli allenamenti del giorno. Cioè, quasi mai.

Guarda negli occhi i suoi compagni, alle volte sembra impossibile che siano riusciti a sopravvivere a. Tutto. Ritrovandosi ancora una volta uniti, malgrado tutto quel tutto. Malgrado sia rimasto poco di quei bambini che ogni tanto giocavano attorno al tavolo tondo.

Eppure sono ancora lì a vociare su un punto dubbio.

Quando il pulmino si ferma hanno troppe carte in mano. Si guardano. 

“Contate.” Shiryu fa scorrere le sue sopra l’indice, una dopo l’altra.

Lui alza le spalle. “Bah non ne ho voglia. Tanto è a monte tutto.”  Fa per lanciare le sue sul tavolo, 

Seiya lo ferma con un gesto imperioso della mano. “Nemmeno per idea. Ognuno si mette in tasca le sue e poi continuiamo.” Infila il mazzo di scarto e quello di pesca nella scatola, faccia contro faccia. 

Lui si alza per recuperare il borsone dal comparto sopra il suo posto. Perché i due fidanzatini non si muovono? Dovranno finire l’ultimo discorso? “Ma la frasina acida che stava per uscirgli gli si blocca in gola, quando si sporge verso i loro sedili.

Hyoga si è addormentato con la testa sulle gambe di suo fratello, stringendosi al petto la giacca kaki, e russicchia sottovoce. Anche Shun dorme, tutto reclinato su di lui, abbracciandogli la schiena come se fosse un cuscino, una ciocca bionda arrotolata attorno all’indice. Le labbra semiaperte sono curvate in un sorriso tenero; sulla maglietta blu di Hyoga, dove appoggia la guancia, c’è una chiazza scura di bavino.

Shun lo fa da sempre, fin da quando era un bimbetto con la faccia paffuta e Ikki poteva stringerlo a sé ogni volta che voleva. Allunga una mano per svegliarli ma si ferma a metà.

Non può rovinare quel momento di pace.

SI stropiccia la faccia, scuote la testa.

Inguardabili. Ecco cosa sono.

Però non ha mai visto il suo fratellino così felice. 

Per il COWT12 un ulteriore fanfic di Saint Seiya (awh the brainrot) Hyoga/Shun.

Praticamente l’arrivo a sorpresa di Hyoga alla Guerra Galattica, visto con gli occhi di Shun che è molto meno innocente di quanto vorrebbe far credere lmao

Bello come il ghiaccio

La schiera fitta di edifici si apre, ora  l’arena campeggia alla loro destra in tutta la sua imponenza, il perimetro circolare delimitato da archi massicci di pietra bianca. La cupola già chiusa sulla sommità splende di riflessi come un miraggio da favola.

Favole di sangue, sotto quel cielo artificiale. Sospira e si frega gli occhi. Vorrebbe essere lontanissimo da lì, ma ha una missione da portare a termine.

Niente può fermarlo.

L’autista si ferma davanti alla stradina corta che conduce alla doppia porta d’entrata; Ichi esce per primo, seguito da Jabu. Infine lui. Si prende il suo tempo, non ha fretta di trovarsi chiuso là dentro 

La luce del sole gli ferisce gli occhi, dopo la penombra morbida della lunga macchina coi vetri oscurati; si fa ombra con un braccio, guarda su, il cielo azzurro e vasto, striato da sfilacci di nuvole bianche.

Non credeva che ce l’avrebbe fatta a ritornare a casa vivo.

Invece eccolo lì, a camminare tra due ali di folla urlante con il Cloth di Andromeda addosso. Chiamano il suo nome, alzano le macchine fotografiche al suo passaggio. Gli fa sempre strano, non è il più prestante dei Santi per corporatura, e  la Guerra Galattica è appena iniziata, non ha ancora partecipato a nessun incontro. 

Eppure fa impazzire la gente. Vorrebbe sprofondare nel suo angolo quieto, lontano da quegli occhi e quel fracasso, lontano dal sangue che dovrà spillare agli avversari per vincere. 

Sono stati i suoi compagni d’infanzia. 

Eppure non può tirarsi indietro, non stavolta. 

La vittoria è più importante, più di qualsiasi incertezza possa tenerlo lontano da questa stupida guerra, il cui scopo apparente è danneggiarsi a vicenda per stabilire chi sia il più forte. 

Ma la vera forza non sta nell’infliggere il maggior danno possibile ai propri avversari. Non può essere tutto lì.

E il suo vero scopo non è indossare un Cloth d’oro.

Jabu gli punta il gomito nel fianco. “Tutti ti amano, bellino.”

Shun sospira, si scosta di un passo e continua a camminare guardando avanti. Jabu si avvicina di nuovo, un’altra gomitata, un sorrisetto velenoso. “Forse credono che sei una ragazzina, con quel Cloth rosa. Frigni ancora come quando eri piccolo? Peccato non c’è qui tuo fratello a difenderti come al solito.”

Si ferma di scatto, le mani strette in pugni. Jabu quasi gli sbatte addosso.

“Piantala, Jabu.”

La mano di Jabu sulla spalla lo fa sussultare. “Forse tuo fratello non è venuto perchè non vuole una palla al piede come te a traino.” Gli sussurra nell’orecchio. I peli gli si rizzano sul collo. “O forse è morto.”

La sua paura peggiore. Shun china la testa, percorso da ondate di caldo e freddo. 

Ikki. 

É stato lui a condannare suo fratello all’inferno di Death Queen Island. Se Ikki ha perso la vita fra quelle rocce infuocate non potrà perdonarselo mai. 

“Ci vediamo dentro, perdente.” Jabu gli dà una manata sulla spalla e si dirige verso l’entrata a passo veloce.

Shun resta lì, incapace di muoversi, fissandosi i piedi racchiusi nel metallo rosa, la linea irregolare che separa il lastricato dalla striscia di terra costellata di piantine in fiore.

Viola, giallo, rosso, rosa, bianco, i colori si sfocano sotto il velo delle lacrime che gli riempiono gli occhi.

Frignone. 

Stringe ostinatamente le labbra, si pianta le unghie nei palmi delle mani cercando dolore fisico per scacciare l’angoscia che gli impedisce di respirare. Non può cedere, non ora.

Non è più quel bambino. E Ikki lo vedrà. Vedrà la sua forza se vince il torneo. Lo vedrà e tornerà da lui.

Sbatte le palpebre; qualcosa luccica mezzo affondato nella terra. Si accovaccia, fruga con la punta dell’indice fra la polvere, pesca un braccialettino composto da una fila di minuscoli cristalli trasparenti. Un’ombra lo copre, alza la testa di scatto.

La guardia in piedi di fronte a lui lo guarda con aria dubbiosa. “Tutto bene?” 

Shun si rialza in piedi, tende la mano per mostrargli il gioiello. “L’ho trovato a terra. Sembra prezioso, magari qualcuno l’ha perso–”

La guardia ride, si vede poco della sua faccia sotto l’elmo nero che porta calato sugli occhi. “Quello? È paccottiglia. Puoi tenerlo.”

“Eh? Sei sicuro?”

“Fidati. Mia madre ha un negozio che vende tutta quella roba esoterica. È cristallo di rocca, mi è sempre piaciuto tanto. Sembra ghiaccio ma non si scioglie mai.” Gli sorride controluce. “Mettitelo, ti porterà fortuna in combattimento ragazzina.” 

Eccoci.

“Vieni che ti aiuto.” La guardia prende il braccialetto dal suo palmo e glielo aggancia al polso. “Ora corri dentro, starà già iniziando.”

“Grazie.” Shun sorride alla guardia e schizza via. Va bene anche ragazzina, per lui. Non ha voglia di discutere. 

Nell’arena è già calato il buio; sulla cupola del cielo le stelle sono accese. Gli altri santi presenti sono già radunati sul ring, Tatsumi lo spedisce di corsa a raggiungerli. 

Sospesa in aria come una dea, Saori parla di dedizione e onore e tradizione. Shun stringe i denti, nessun accenno all’infanzia spezzata di questi ragazzi raggruppati al centro delle corde, questi ragazzi che erano i suoi compagni di allenamento da bambini ed ora è costretto a ferire sul serio. Ad uccidere. 

E suo fratello ancora non si è fatto vedere. 

Si concentra per escludere il discorsetto motivazionale di Saori, non gli serve davvero. Di motivazioni ne ha troppe, nessuna delle quali piacerebbe alla giovane lady Kido. Ma lui non è qui per piacere a lei. O a chiunque altro, per quello. Anche se sembrano tutti pazzi di lui. Guarda gli spalti bui, sorride senza sapere a chi. Aspetta che finisca cercando di non pensare troppo a suo fratello.

“Il terzo combattimento in programma per oggi, Idra contro Cigno, è stato ritardato poichè Cigno non è arrivato ancora.” La voce dello speaker rimbomba per tutta l’ arena, mentre defluiscono giù per la scaletta. “Per favore siate pazienti.” 

Gli spettatori si agitano, Jabu e Seiya si fermano a parlottare fra di loro. 

“Forse ha paura. Del resto non è nemmeno giapponese.” Jabu, sprezzante come al solito. Se non è giapponese, anzi “Mezzo russo,”come  puntualizza Jabu, dev’essere.

Hyoga. 

Abbronzato, biondo, avviluppato in aura di malinconia impossibile da penetrare. Un solitario che parlava troppo poco, e sempre di sua madre. Gli faceva venire voglia di abbracciarlo, anche se non ne ha mai avuto il coraggio. Chissà se è riuscito davvero a vincere il Cloth del Cigno e qualcosa lo sta ritardando, o se ha lasciato la vita fra i ghiacci eterni della Siberia, sotto il mare impietoso del Nord. 

“Hyoga!” La voce di Seiya si alza, sorpresa, come dando voce al suo pensiero.

Passi veloci rimbombano lungo i gradini che portano al centro dell’arena. Il fascio luminoso di un proiettore cattura la figura che li scende di corsa. 

“Oh sì. Non ci si vede da un po’, Seiya.” Alto e muscoloso, il ragazzo che si staglia nella luce non ha più niente del bambino con cui si allenava troppo tempo fa; solo i capelli biondi scompigliati sono gli stessi che si ricorda dall’orfanotrofio.   Il Cloth argentato splende sulle sue spalle larghe, ha ali ai piedi e alle tempie. Il cerchietto, adornato da un cigno sinuoso con gli occhi di fuoco, fatica a tenere a bada le ciocche dense della frangia che gli spiovono sulla faccia. 

Hyoga copre gli ultimi metri con un salto mortale e atterra leggero al centro del ring dove Ichi lo sta già aspettando. La folla esplode in un boato.

Il cuore gli fa un saltello in petto. Hyoga è diventato.

Bellissimo.

Hyoga si china verso Seiya ancora fermo a lato del ring. “Sono venuto dalle lande gelate del Nord per rivendicare il mio Cloth d’oro.”

Jabu torna indietro. “Stai zitto codardo, sei in ritardo.” Lo schiavetto di Saori, chissà cosa spera di ottenere. Malgrado l’aspetto delicato, così diversa da suo nonno, la signorina è l’ultima esponente della famiglia Kido. Quella che ha interrotto la loro infanzia per sempre, anche quella di Jabu.

La bocca di Hyoga si curva in un sorrisetto sprezzante, che gli snuda  i denti. “Jabu, giusto? Non mi dispiacerebbe affrontarti ora.”

“Cosa?” Jabu alza i pugni, ma la voce dello speaker lo interrompe. 

“Il match fra Cigno e Idra sta per cominciare.”

I riflettori si accendono, puntati sul ring, la folla esulta, si comincia. 

Ichi gira intorno a Hyoga, la sua risatina inquietante si alza nel silenzio. “Dici che sei qui per rivendicare il Cloth d’oro? Odio le persone che non sanno stare al loro posto.”

“E allora?” Hyoga socchiude gli occhi, quel sorrisetto diventa un ghigno compiaciuto; c’è tutto nella curva delle sue labbra, il paradiso e l’inferno e qualsiasi cosa stia nel mezzo. A Shun tremano le gambe, deve fare un passo indietro, un altro, cerca l’appoggio della balaustra contro la schiena.

“Fatti mandare all’inferno!” Ichi attacca, Hyoga indietreggia, schivando colpo dopo coplo finchè non si ritrova con le spalle contro le catene che delimitano il ring. 

“Non puoi scappare da nessuna parte, adesso.”

“E allora?”

Una finta, una ginocchiata allo stomaco, Hyoga si piega premendosi le braccia sul punto d’impatto. Un calcio alla testa che lo spedisce all’indietro, di nuovo contro le catene; Ichi lo intrappola fra il metallo e il suo pugno, diretto ancora allo stomaco.  

Hyoga stringe i denti, addossato alla recinzione. Possibile che sia tutto qui il potere del Santo del Cigno? Tanto bello quanto inutile? Gli sembra impossibile, ricorda ancora il suo talento quando erano bambini. Tutte le volte che si sono scontrati su quei ring a misura di nano, ne è uscito malconcio. L’ultima volta pochi giorni prima di essere spediti ognuno nei loro luoghi d’addestramento; si ricorda ancora Hyoga che gli porgeva una bottiglia d’acqua e un asciugamano con un “mi dispiace” borbottato a testa bassa. Quella volta non ha pianto, anche se le ossa gli dolevano come se una schiacciasassi gli fosse passata sopra.

Ichi fa bruciare il suo Cosmo, si inizia a fare sul serio. Idra mostra i canini affilati e distende le sue spire, tingendo l’aria di rosso. “Stavolta morirai di certo.” Urla mentre attacca.

“Credi davvero di potermi battere con quella velocità?” Hyoga sorride il suo sorriso irresistibile, chiude gli occhi e para senza sforzo con il  braccio sinistro. 

“Sei caduto nel mio tranello, Hyoga.” Ichi lancia una risata stridula, tre artigli d’acciaio saettano fuori dai suoi pugni, conficcandosi nel braccio di Hyoga. “Le zanne di Idra sono in grado di trapassare il tuo Cloth e ferirti. A proposito, sono anche velenose.”

Stringe più forte le dita attorno alla balaustra dietro di lui, le sue nocche sbiancano, si fissa su quelle, non può vedere Hyoga che cade a terra, sconfitto dal veleno di Hydra. Ma un altro boato percorre la folla e quando alza la testa, Hyoga sta sbriciolando gli artigli nella mano chiusa a pugno, come se non avesse appena ricevuto una dose di veleno mortale. Come se tutto fosse perfettamente a posto e nemmeno l’intervento di un dio riuscisse a cancellare dal suo viso quell’espressione soddisfatta. 

“E allora?”

“Non cercare di resistermi.” Ichi è patetico, nei suoi tentativi di disturbare il suo avversario. “Stai per morire. Il veleno di queste zanne si diffonderà velocemente attraverso il tuo corpo.”

“Quindi prima che il veleno mi uccida starai fermo a guardarmi?” 

Ichi sogghigna ancora. “Certo che no.” Alza le mani in posizione d’attacco. “Ti infliggerò una ferita mortale per porre fine alle tue sofferenze. Questa è tutta la pietà che avrai da me. Guarda qui, assaggerai tutti i miei pugni.” Ichi si fa sotto di nuovo, Hyoga barcolla sotto una pioggia di colpi, incapace di schivarli. Volano i primi schizzi di sangue, ed è il suo, colpiscono in faccia Seiya che si volta con una smorfia.

Di fianco a lui Jabu scuote la testa. “Quello Hyoga che impostore. Battuto da Hydra.”

Eppure a lui sembra impossibile che Hyoga non ci provi nemmeno. Che il veleno sia già entrato in circolo e gli rallenti i movimenti? Ma quel sorrisetto insolente continua ad aleggiare sulle sue labbra, come se si prendesse gioco di Ichi mentre continua ad incassare i suoi pugni. Come se non si prendesse nemmeno il disturbo di schivarli. 

Hyoga lascia che Ichi gli arrivi troppo vicino, l’ultimo colpo è al torace. “Anche se mi hai detto che mi avresti colpito mortalmente, i tuoi pugni sono deboli come quelli di un bambino. Non ho nemmeno bisogno di evitarli.”

Allora è così davvero. I suoi occhi azzurri si fissano su Ichi, una smorfia ostinata incurva le sue labbra perfette.

“Questo è quello che credi.” Nuovi artigli emergono dai pugni del Cloth di Hydra e si conficcano nel petto del Santo del Cigno. Hyoga snuda i denti, lui serra gli occhi per non vedere.

La sua stessa arroganza ha  punito Hyoga, e ora cadrà. Non può resistere. Li riapre quando la voce di Hyoga si alza nuovamente nel silenzio. “Questo sarebbe? 

“Ho dimenticato di dirti che le mie zanne si rigenerano. A questo punto hai altre tre ferite avvelenate. Te lo sei voluto tu, Hyoga.”

Le zanne tintinnano a terra e Hyoga inizia a ridere. Non c’è niente di divertito in quel suono, Ichi sorride storto di risposta. “Cosa c’è di tanto divertente? Il veleno ti ha già danneggiato il cervello?”

“Come l’Idra che vive nel fiume Lerna, in Grecia. Anche se schiacci una delle sue nove teste quella si rigenera subito, già pronta per mordere ed avvelenare ancora.” Hyoga aggrotta le sopracciglia, stringe le dita attorno al polso di Ichi. “Allora tutto quel che devo fare è impedire alle tue zanne di rigenerarsi.”

“Ancora la tua boccaccia.” Ichi si divincola ma non riesce a evadere dalla stretta, il Cosmo di Hyoga inizia ad espandersi; candido come la neve, lo circonda in un alone di fuoco gelido. “Cos– cos’è quest’aria fredda?”

La temperatura dell’Arena sembra calare, spifferi ghiacci tagliano l’aria. Lui rabbrividisce, anche il Cloth di Andromeda si sta raffreddando sul suo corpo. Un display prende vita di fianco al tabellone delle sfide e lui si chiede se quella possa davvero essere la temperatura della mano di Hyoga. Perchè sta scendendo vertiginosamente sotto lo zero ad ogni istante che passa. -20, -40, il Cosmo di Hyoga divampa in lingue di luce, il valore luminoso si ferma a -100.

Hyoga molla la presa solo quando il braccio di Ichi è ricoperto da una patina di ghiaccio opaco; lui barcolla all’indietro, gesticola cercando di muovere l’arto  ma senza risultati. “La mia mano–è congelata. Non mi sento più il braccio destro.” Ichi lo scuote ma senza risultato. Il ghiaccio balugina nella luce dei riflettori.

“La tua mano è congelata dall’interno. Non la potrai usare mai più.” Torna il sorrisetto. 

Shun  sta investendo troppa emozione in questo combattimento che non lo riguarda. Impossibile evitarlo, quando ogni occhiata a Hyoga gli fa tremare le ginocchia. Inerme davanti al potere del Santo del Cigno, per il quale morirebbe mille volte. Il freddo che paralizza i movimenti; a Hyoga non serve nemmeno bruciare il proprio Cosmo per immobilizzarlo, basta uno sguardo di quegli occhi pieni di vento e tempesta. 

Invece non è abbastanza per Ichi, che salta, altissimo, un arco di parabola addosso a Hyoga, lo colpisce alla faccia con il ginocchio, dalle placca metallica che gli protegge la rotula nuovi artigli emergono per conficcarsi nell’elmo del Cigno.

La folla rumoreggia, Shun trattiene il fiato. In testa è troppo anche per Hyoga. O no?

Seiya dà di gomito a Jabu :”Ma che razza di mostro è mai quello?

”Sembra che per Hyoga sia finita.” Jabu fa spallucce, sogghignando.

Ichi atterra, punta l’indice addosso a Hyoga con un sorriso soddisfatto. “Anche uno come te ha pochi secondi da vivere se viene colpito alla testa dalle mie zanne.”

“Non ci arrivi?” Un sorriso incurva le labbra di Hyoga; chiude gli occhi e il suo Cosmo esplode.

“Cosa?” Ichi trasale, fa un passo indietro

Gli spuntoni conficcati nell’elmo di Hyoga si infrangono a terra, congelati, luce candida come neve gli avvampa attorno “Non importa quante volte ci provi. e tue zanne non funzioneranno contro di me.”

“Perchè?” Ichi sembra rimpicciolire al cospetto della potenza del Cosmo di Hyoga. “Anche i Santi Guerrieri che vengono colpiti dalle mie zanne dovrebbero morire. Significa che–”

Hyoga stringe i pugni, l’estensione del suo Cosmo aumenta a vista d’occhio; ora nell’Arena fa freddo, Shun si stringe le braccia attorno al torace, lottando per smettere di tremare. 

“Appunto. Le tue zanne avvelenate non hanno mai avuto la possibilità di toccare il mio corpo. Sono state respinte dal Cloth di ghiaccio del Cigno, creato da un ghiacciaio della quarta glaciazione. Solide mura di neve che mai si sono sciolte nell’ultimo milione di anni.” Una miriade di cristalli meravigliosi inizia a roteare intorno alla figura di Hyoga. “Nessuna zanna può trapassare la sua forza. Nemmeno la potenza di un santo guerriero la può rompere”

Ichi li fissa, sembra che non sappia bene cosa fare. Infine si arrende. “Questa è un’illusione o?”

“Pensaci mentre sei all’inferno, Idra;” Il Santo del Cigno avvicina le mani una all’altra e quella danza si concentra in un vortice, 

“Diamond dust.” Urla Hyoga  Una tempesta splendente e letale. Una scarica di colpi come un turbine di fiocchi di neve. 

Ichi vola all’indietro; il Cloth di Hydra, congelato all’istante, si frantuma attorno al suo corpo. Cade di pancia e resta immobile.

Non serve nemmeno il countdown. 

Una potenza abbacinante.

“Idra è stato sconfitto.” La voce rimbombante dello speaker fa sobbalzare Shun. “Cigno è ammesso al secondo round della competizione.” Allenta la stretta convulsa delle mani sul metallo della balaustra, le dita gli fanno male.

Hyoga resta fermo al centro del ring, immerso nella luce potente dei riflettori. Bello e fiero. Lui guarda con desiderio gli incroci dei matches sulla lavagna luminosa, cerca di indovinare se il suo cammino incrocerà quello di Hyoga. Prima o poi dovrà accadere, quantomeno alla finale se ci arriveranno vivi entrambi. Ma vorrebbe ingaggiare combattimenti del tutto diversi, con il Santo del Cigno. Battaglie di.

Baci?

Baci e carezze. Non ha mai desiderato così tanto qualcuno. Gli si spezza il respiro pensando alle mani grandi di Hyoga sulle sue spalle. Calde sulla pelle nuda.

Non ha mai avuto un fidanzato, durante l’addestramento all’Isola di Andromeda era troppo occupato a mantenersi vivo per poterci pensare. Però sa cosa vuole, sa quel che gli piace. Corrisponde esattamente al ragazzo biondo fermo in mezzo al ring a prendersi gli applausi e le urla del pubblico in delirio.

Infine Hyoga scende le scalette del ring, Seiya e Jabu gli si avvicinano; lui si ferma e il suo sorriso è quello indisponente del vincitore

“Qual è il prossimo Santo che sconfiggerò? Sarai tu Seiya? O sarai tu, Shiryu del Dragone?”

Guardami, pensa Shun. Guardami ora. 

Quegli occhi di ghiaccio si alzano nella sua direzione. Si sente avvampare dentro, spera che il buio sia sufficiente a nascondere il rossore che di sicuro gli ha invaso la faccia.

“Shun?”

Shun annuisce, non osa muovere un passo verso la luce che lo tradirebbe. E non è nemmeno sicuro che le gambe lo reggano. 

Hyoga sorride. “Sei cresciuto.” Poi si volta e se ne va veloce, i capelli biondi gli sventolano sulla schiena, brillanti contro il metallo lucido del Cloth del Cigno. 

Shun sente le orecchie avvampare. Gli altri Santi lo guardano con aria interrogativa, Jabu ridacchia. 

“Nessuno vuole affrontare il piccolo Shun?”

Lui sorride. “È il piccolo Shun che non vorrebbe affrontare nessuno.”

“Perché sei codardo?” Jabu si avvicina, gli punta l’indice addosso. “Allora che ci fai qui fra i Santi?”

“Non capiresti le mie ragioni, Jabu.” Finalmente le gambe hanno ripreso a funzionargli, si stacca dalla balaustra, si allontana verso le scalinate da solo. 

“Capisco la paura quando la vedo.”

Shun si volta, gli sorride di nuovo. “Allora non hai capito davvero niente. Mi dispiace per te.”

Sale le scale, diretto alla terrazza, per mettere della distanza da quel ring sul quale si troverà troppo presto. 

Non vuole. 

Colpire, ferire, uccidere. Non è il suo. A lui piace parlare, abbracciare. 

Baciare. 

Arrossisce violentemente da solo. 

Qualcosa gli graffia la pelle, incastrato sotto il copri avambraccio di metallo. Infila un dito, incontra i granì sfaccettati del braccialetto. 

Mi piace tanto, sembra ghiaccio ma non si scioglie mai. 

Il padrone dei ghiacci. Bello e gelido come una mattina tersa d’inverno. 

Piega il polso, i cristalli luccicano quieti contro la sua pelle. 

Battaglie di baci, braccia forti a stringerlo tutto. Non è una vera guerra quella che in mente. Anche se è intenzionato alla conquista. Ancora si sente la faccia rovente, si appoggia le mani fredde sulle guance cercando di far scendere il rossore. Sorride sotto i palmi. 

È pronto alla battaglia. 

Per tutto quel che gli è caro. 

Per tutto quel che vuole conquistare. 

Ti scioglierai. Per me. 

Anddd it’s whumperflies time signori.

Ancora per il COWT12, ancora per “bad ending” una Saint Seya fanfiction. Hyoga/Shun ovviamente.

Warnings per graphic depiction of violence e MCD my beloved.

Questa fa male, approcciare con prudenza lmao.

Intrecciati strettamente

Non riesce. 

Non riesce a vederli. 

Sente solo l’impatto dei pugni che gli frantumano Cloth e ossa, il sapore nauseante del sangue in bocca, deve resistere.

Ha affrontato di peggio. Forse. 

Non se lo ricorda. Mentre la luce lo massacra. 

Impatta di schiena contro la parete rocciosa, la pietra si sbriciola sotto il suo corpo, è. Troppo. 

Cade in ginocchio, un lampo bianco di dolore lo acceca, si puntella sulle mani, cerca di respirare ma l’aria non passa per la sua gola intasata, tossisce, sputa rosso nella polvere. 

Hyoga!” Shun è un turbine rosa che gli si para davanti, nel tintinnio furioso delle sue catene. Proteggendolo ancora una volta. 

“Shun! No!” Non ce la può fare. Non contro quella bestia. Punta le mani a terra, stringendo i denti, fa forza per rialzarsi un’altra volta. Shun non deve rimanere solo davanti a un avversario così pericoloso. 

Ma il suo corpo si rifiuta, incapace di reagire. 

Quando dovrebbe scattare in piedi e abbattere i suoi colpi sul guerriero nemico. Un muro a difendere Shun come fa sempre suo fratello maggiore. 

Ikki è già avanti, lanciato con Seiya verso la cima della Ziggurat, verso Atena. Il suo compito sarebbe mantenergli il cammino libero. 

Stavolta ha fallito. Cade sulla pietra, il corpo un nodo di agonia impossibile da sciogliere. 

“Cosa vuoi fare con quelle braccine? Difendere il tuo amico?” Il Camè del Condor sogghigna fissando Shun con gli occhi neri, opachi, da animale. Spalanca le braccia, il suo mantello grigio sbrindellato sferza l’aria, preso nel turbine del suo potere, i capelli d’inchiostro intessuti di stelle lo circondano come un’aura di morte. 

“Non lo toccherai.” grida Shun e apre i pugni. Dalle sue dita protese la catena d’attacco scatta come il fulmine, onde spigolose volano verso il Camè.

“Le mille ali della notte.” La voce del Camè fa rimbombare il terreno, i suoi colpi sono luce oscura che circonda Shun, sbriciolando il suo Cloth e le sue catene. Ricade al suolo di schiena, la pietra esplode attorno a lui con un rombo assordante. Rimane disteso, crocifisso tra gli spuntoni di roccia viva. Immobile. 

Tutto si ferma per un attimo. Anche il cuore di Hyoga. 

Poi Shun muove la testa, si aggrappa alla roccia martoriata che lo circonda, le sue dita insanguinate tremano cercando un appiglio che non trova. 

“Shun!” urla, ma non ha fiato. 

Shun riesce a sollevare la schiena di qualche centimetro, ricade all’indietro con un gemito strozzato. 

Un attacco. Un attacco solo è stato sufficiente al Camè per annientarli entrambi. Shun ci riprova, conquista una posizione seduta grado dopo grado. Il Camè sogghigna, in piedi a qualche passo da loro, i raggi cocenti del sole strappano bagliori all’armatura di metallo nero, scaglie dure e lucenti che gli proteggono tutto il corpo. Gli smeraldi incastonati nella cintura di teschi lo guardano malevoli, lo prosciugano anche dell’energia minima che gli serve per respirare.

“Ah l’amicizia.” Sogghigna il Camè incrociando le braccia poderose davanti al petto, non ha fretta. Forse sa che li ha in pugno. Forse ha ragione, colpirlo sembra impossibile.  “Annientarvi sarà ancora più divertente.”

Hyoga digrigna i denti. Se solo riuscisse a riconquistare la posizione eretta. 

Ci riesce Shun, puntellandosi a uno spuntone di roccia; resta fermo, ansimando, le mani alzate in posizione di attacco anche se le sue braccia tremano, e le catene che lo dovrebbero difendere giacciono spezzate a terra. 

Shun non guarda lui, fissa il Camè, il Cosmo sconfinato di Andromeda brucia alle sue spalle in fiamme rosa e d’oro. 

“Shun no!”

Ti prego 

Shun si volta a guardarlo, un sorriso tenero gli incurva le labbra macchiate di rosso. “Devo farlo. Per Atena.” Barcolla, si aggrappa a una sporgenza della roccia divelta del pavimento.

Ti prego.

“Non farmi aspettare, Santo!” Urla il Camè e gli si avventa contro. 

Shun scopre i denti, le sue mani disegnano il percorso di migliaia di ammassi stellari, il suo Cosmo si espande fino  ai confini dell’universo, e oltre. 

“Nebula Storm!” Invoca Shun mantenendo la posizione, e fa esplodere il suo Cosmo. Una tempesta di luce colpisce Condor, avviluppandolo in correnti poderose, senza riuscire a fermare la sua corsa, il muro luminoso di colpi che abbatte verso Shun. Il loro scontro rilascia l’energia di un Big Bang, una sfera accecante di energia li circonda, li sbalza via in direzioni opposte. 

Il Camè vola contro la parete verticale del gradino sovrastante, affonda nella pietra in un turbine di schegge e rimane appeso lassù, a braccia aperte, incastonato fra i lastroni sfondati. 

Shun atterra di schiena a qualche passo da lui, si inarca e ricade al suolo, immobile. Il suo Cosmo si contrae fin quasi a scomparire. 

“No!” Hyoga allunga una mano tremante verso di lui. “Shun!” 

É?

Un momento troppo lungo, poi Shun gira la faccia nella sua direzione. “É. Finita?” Rantola senza fiato. Ha le guance rigate di sangue, una pozza rossa si allarga lentamente sotto la sua schiena.

“No. No!” É la disperazione che gli fa scorrere nel corpo l’ultima energia per trascinarsi accanto a Shun, anche se ad ogni movimento è come se mille lame lo trapassassero. 

“Hyoga–” Occhi di mare, lo cercano a fatica; le dita di Shun si posano sulla sua guancia. Tossisce convulso, sputa una boccata di sangue. “Mi dispiace–”

Preme la mano su quella di Shun, schiacciandosela sulla faccia. “Resisti. Ti porto via di qui.”

Shun scuote appena la testa. “Mi dispiace.” La voce un sussurro spezzato, inudibile. 

Non è possibile. Non è possibile.

Si sono sempre riportati a casa a vicenda.

Non può esistere una vita senza Shun.

“Ti prego.” Si alza sulle braccia tremanti, appoggia la fronte contro il petto ferito di Shun, sente il suo sangue, appiccicoso sulla pelle. “Io non posso vivere senza di te.” 

Shun gli accarezza la testa, dita sottili fra i capelli. “Sì che puoi. Vivrai. E sarai felice.”

“No, Shun. No. Non è possibile .” Gli bruciano gli occhi, sente le lacrime colargli lungo la faccia, un fiume impossibile da trattenere.

“Fallo per me. Ho sempre voluto. La tua felicità.” La mano di Shun si affloscia contro la sua testa. 

“Shun!” Alza la testa di scatto; il braccio di Shun gli scivola addosso e ricade a terra. “Shun.” Terrore puro. Lo blocca con gli occhi fissi in quelli di Shun.

“Hyoga–” Un rivolo di sangue scivola fuori dalle sue labbra, semiaperte nello sforzo di respirare, giù lungo il suo mento appuntito. “Abbracciami.”

No. No. No.

Gli fa scivolare un braccio sotto il collo, Shun sussulta quando lo tira su, contro di lui, stretto sul suo petto. Conosce così bene la forma del suo corpo fra le braccia. 

“Ti amo tanto. Così tanto–” Le labbra di Shun si incurvano in un sorriso tenero. 

“Anch’io ti amo, Shun, ti prego. Ti prego.” 

Shun si affloscia contro di lui, la testa gli ricade all’indietro, contro il suo braccio.

“Shuuuun. Shun.” Lo chiama e lo chiama ma Shun non può rispondere.

É già andato via..

Lasciando dietro di sé solo un involucro massacrato.

“Il tuo piccolo amico non ce l’ha fatta?”

Cosa?

Alza la testa di scatto, stringendo contro di sé il corpo senza vita di Shun.

A pochi passi da lui si erge il Camè del Condor. Si asciuga il sangue dalla bocca con il dorso della mano, un ghigno divertito. “Non temere, fra poco potrai raggiungerlo.”

Qualcosa si spezza nel suo cervello. “Tu! Dovevi uccidermi quando potevi farlo!” Sdraia delicatamente Shun sulla pietra martoriata, gli chiude gli occhi spenti. Non sopporta quello sguardo, quando ha ancora in mente le scintille che li animavano.

Quando Shun era.

Vivo.

Sente il suo Cosmo bruciare, oltre la sua stessa volontà, gli infonde la forza che gli manca. Richiama tutto il freddo che ha a disposizione, ancora e ancora, sgorga senza fine dalla sua anima gelida, ora che è rimasta.

Sola.

Distruggerà quell’incubo qualsiasi sia il prezzo. Il prezzo più alto lo ha già pagato.

Shun.

Niente può fargli paura, ora. Che la sua paura più grande è diventata realtà.

“Torno presto,” sussurra, appoggia un bacio sulla fronte insanguinata di Shun e si alza in piedi sulle gambe tremanti. Alza le braccia nel volo potente del Cigno, intreccia le mani, puntate verso il gelo, è un canale aperto per quell’energia.

Invoca Aurora Execution.

Freddo. Più freddo, più veloce, quanto la luce, il ghiaccio è calore che lo invade, e finalmente.

Vede.

Gela una ad una le ali del Camè, e nel varco che ha creato insinua un vento di tempesta, più freddo del freddo, bloccando in una cascata inarrestabile le vibrazioni di ognuno degli atomi che compongono il guerriero.

La faccia del Camè si contorce mentre il ghiaccio risale lungo il suo corpo, bolccandolo in sfaccettature lucenti. Hyoga lo incalza, la sua volontà è una cosa sola con il Cosmo che gli fluisce dentro impetuoso. 

Si ferma solo quando non ha più nulla da bruciare; cade in ginocchio ansimando, si abbatte di faccia sulla pietra fessurata della ziggurat, accanto al corpo di Shun. 

Tutto è silenzio. 

I suoi arti pesanti e rigidi come la pietra che lo circonda.

Dovrebbe rialzarsi, battere la strada che gli altri Santi hanno già percorso prima di lui ma non può.

Mi dispiace. 

Un Cosmo tiepido e dorato circonda il suo corpo inerte, cullandolo piano. “Hai dato più di quello che avevi, Santo del Cigno.” La voce che gli risuona in testa è venata di pianto. “Riposa. Riposa.” Una carezza lieve sui capelli, gli ricorda.

Shun.

Chiude gli occhi cercando di arginare le lacrime, ma filtrano sotto le sue palpebre serrate, se le sente correre lungo la faccia. 

Shun.

Se può dormire vuole farlo vicino a lui, come sempre. 

Il suo amore. 

Striscia al suo fianco, allunga un braccio sul suo torace immobile, seppellisce la faccia nel groviglio insanguinato dei suoi capelli, intreccia con le sue quelle dita inerti.

Un respiro lungo. 

Finalmente.

Tutto è luce.

Non può resistere, si incammina seguendo quel richiamo.

*** ***

Lo sa già, prima di vederli.

Ha sentito i loro Cosmi spegnersi per sempre.

Eppure Il cuore gli si spezza con uno schianto secco, quando  li trova, stesi sul gradone martoriato. Saori, Shiryu e Seiya si sono fermati qualche passo indietro. Gliene è grato, non vuole che nessuno veda le lacrime che gli scendono lungo le guance mentre si china sul suo fratello.

Il suo fratellino.

E su Hyoga.

Che lo abbraccia.

Come sempre.

Cade in ginocchio a fianco a loro, coprendosi il viso con le mani. 

La faccetta sorridente di Shun bambino si affaccia prepotente nella sua testa. Perché?

Perché?

“Mi dispiace fratellone.”

“Shun–” La voce gli muore in gola. Non doveva abbandonarlo, non doveva. Il suo fratellino adorato. Sfiora la guancia fredda di Shun, sporca di sangue e polvere. Vorrebbe sollevarlo e stringerlo a sé ma non osa spostare il braccio di Hyoga dal suo petto, disintrecciare le loro dita avvinte strettamente.

Peggio che profanare un luogo sacro.

“Forse hai bisogno di aiuto.” Shiryu si accovaccia accanto a lui, gli appoggia una mano lieve sulla spalla. Un tocco identico dal lato opposto, è Seiya.

“Erano anche i nostri compagni.” Dice sottovoce; anche lui sta piangendo, grosse lacrime si scavano una strada sulla sua faccia sporca.

Ikki si asciuga il viso col dorso della mano. “Non possiamo lasciarli qui.” Si guardano negli occhi. Seiya fa un cenno verso l’alzata massiccia del gradino sopra di loro, loro annuiscono. Si alzano in piedi come una persona sola, La luce di Atena, alle loro spalle, li illumina d’oro.

Saori è aggrappata all’asta lunga del suo scettro, piegata su se stessa come se un peso invisibile le stesse schiacciando le spalle. Ha gli occhi rossi e le labbra strette; li guarda senza dire nulla un passo dietro di loro.

Ikki colpisce il muro, scava una fenditura larga abbastanza perché possano riposare. 

Insieme.

É impossibile separare i loro corpi già rigidi; li sollevano intrecciati insieme, con un unico movimento: Shiryu per le gambe, Seiya sotto le schiene. Lui sorregge la testa bionda di Hyoga e quella verde di Shun; le ciocche dei loro capelli si mescolano, i visi insanguinati così vicini che potrebbero quasi baciarsi.

Il suo cuore perde un battito.

La fenditura li accoglie come un letto. L’ultimo. Gli si piegano le gambe, deve aggrapparsi al muro per non cadere. Trova dietro di sé Shiryu che lo sorregge.

Saori annuisce quando la guardano; i loro Cosmi bruciano un’ultima volta, si uniscono in una cosa sola, un arcobaleno che brilla nella sua aura d’oro. Si tirano indietro, al margine del largo gradone, e colpiscono insieme il fianco della ziggurat. La pietra si sbriciola, i massi atterrano davanti alla fenditura sigillandola per sempre. Sottraendo per sempre Shun alla sua vista.

“Fratellino–” geme e appoggia i palmi e la fronte sulla roccia fredda. Fa troppo male. Troppo. 

Qualcosa brilla fra i suoi piedi; si china a frugare fra i sassolini. É il rosario di Hyoga, e lì vicino un pezzo della catena di Andromeda. Gli anelli sono crepati.

Chiude forte gli occhi pensando all’impatto di quei colpi sul corpo di Shun, la testa gli gira.

Non ora.

Infila la sottile catenina d’oro tempestata di perle nei buchi degli anelli, la appende a uno spuntone di roccia. Il crocefisso rotea su sè stesso catturando i raggi del sole.

“Io sto bene, fratellone. Non ti devi più preoccupare per me.” La risata argentina di Shun gli risuona in testa. 

Quella di Hyoga, più dura, si mescola alla sua.

Si volta. I suoi compagni lo stanno aspettando.

“Riposa in pace, fratello.”

Per il COWT 12 prompt neve e che te lo dico a fa’ Hyoga/Shun (Saint Seiya) ambientato fra la fine della corsa alle 12 case e l’inizio dell’arco di Odino.

Warning for excessive fluffiness

Combattendo l’oscurità insieme

Di notte la villa Kido è troppo silenziosa.

Non c’è anima viva nel corridoio delle camere, solo le statue lungo la parete gettano ombre lunghe alla luce delle appliques. Un passo nel buio e uno nel chiarore. 

Il salotto è illuminato, chissà chi altri può essere sveglio così tardi oltre a lui. Stanotte non riesce a cedere al sonno, tormentato da un pensiero, una sensazione, una minaccia acquattata nel retro della testa. Impossibile da mettere a fuoco.

Di tutti, c’è Shun, e il cuore gli fa un saltello nel petto.

Sta seduto con le gambe accavallate in un angolo del divano vasto e si puntella col gomito sul bracciolo, sorreggendosi la testa con la mano. Affondato nei cuscini rossi sembra ancora più minuto. Fa dondolare il piede contro l’altra gamba, gli occhi fissi sulle vetrine di legno intarsiate d’oro, colme di cristalleria. 

Attraversa la stanza in diagonale, dirigendosi  verso di lui. I tappeti spessi soffocano il suono dei suoi passi. Abituato alla semplicità monacale della baracca del Maestro, lo sfarzo della dimora lo mette ancora a disagio. 

Shun alza la testa solo quando gli è quasi di fronte, ha lo sguardo sperso. “Hyogaー” A voce molto bassa e poi più niente.

“Hey. Tutto a posto?”

“Hm-mh.” Shun si sfrega la fronte con le dita, nascondendo la faccia nell’incavo del polso, poi alza la faccia verso di lui, aggrotta le sopracciglia. “No.”

Era ovvio, nella linea sottile delle sue labbra strette una contro l’altra. Ha imparato a leggere Shun anche troppo bene durante la battaglia delle dodici case. Si lascia cadere al suo fianco, fra i cuscini morbidi. “Sputa il rospo.”

Shun abbandona la testa all’indietro, contro lo schienale imbottito, si copre gli occhi con un avambraccio. “Mah, niente in realtà.”

“Poi ti sentirai meglio.”

“Eh?” Shun si volta di scatto verso di lui, lo guarda fisso, le labbra gli tremano per un attimo. “Mi faccio solo troppe paranoie.” Intreccia e disintreccia le dita in grembo, si scava con un’unghia l’angolo di un’altra, distogliendo lo sguardo.

“Lo sai.” Gli prende il mento fra pollice ed indice per costringerlo a guardarlo, ma Shun abbassa gli occhi, come se volesse nascondere i pensieri che gli si agitano in testa, neanche lui fosse in grado di leggerli.

Peggio di quel che credesse.

E non sa cosa dire per placare l’angoscia che se lo sta mangiando vivo. Gli cinge le spalle con un braccio, Shun si abbandona contro di lui con un sospiro. Un bacino fa quei capelli verdi profumati di shampoo al limone, l’altro braccio attorno alla vita sottile. Shun sta tutto nel suo abbraccio, il suo respiro tiepido contro il torace.

“Ho una brutta sensazione.” Shun gli mette una mano sul petto, è fredda attraverso la maglietta, 

Quindi non è il solo. “Cioè?”

Occhi grandi come tazzine da caffè cercano i suoi. “Che non sia finita.”

Gli si torce lo stomaco con violenza. Allora anche Shun ha percepito qualcosa; non gli piace, non gli piace per niente. Stanno ancora cercando di recuperare del tutto dall’ultima guerra, affrontarne un’altra sarebbe letale. “Cioè?”

“Non so. Non so. Ma le catene del mio Cloth vibrano giorno e notte, un ronzio che mi fa uscire matto.” Shun scuote la testa, seppellisce la faccia contro la sua maglietta. “Ho paura.”

Ed ora la fa salire anche a lui.

Lui gli accarezza la schiena in cerchi lenti, sentendo una per una le sue vertebre appuntite sotto il palmo della mano. 

Un Santo non dovrebbe avere mai paura. Dritto verso la vittoria, pronto a sacrificare tutto, persino la vita, per ottenerla. Ma ci sono cose più preziose della vita. E più facili da perdere.

“Nei hai parlato con Seiya?” Carezza i capelli di Shun, morbidi e lisci sotto i polpastrelli; si arrotola sull’indice le ciocche lunghe che gli scendono sulle spalle. 

Lui scuote la testa. “L’ho detto direttamente a Lady Saori. Credo stia giá raccogliendo informazioni.”

Ci siamo allora? SI ricomincia da capo. 

Così presto. 

Il margine del loro trionfo su Arles è stato troppo stretto, troppi i danni che i loro corpi hanno dovuto sopportare. La prossima volta potrebbe non andargli così bene, potrebbe ritornare a casa da solo, senza il Santo di Andromeda al suo fianco.

Solo il pensiero gli fa salire un’ondata di freddo lungo la schiena, stringe Shun più forte, sperando senza speranza di essere capace di trattenerlo, qui, a fianco a lui, malgrado tutto e tutti.

“Hyoga–” 

“Sst.” Gli chiude la bocca con un bacio, si concentra per bruciare il Cosmo che vive dentro di lui.

“Ma?” Shun ha un sussulto, gli si aggrappa alle spalle.

“Sst.” Alza l’indice verso il soffitto decorato da fregi di guerrieri, verso il lampadario a gocce appeso alla lunga catena dorata. Il gelo fluisce attraverso il suo polpastrello, si raccoglie in un fiore di luce sopra le loro teste e scende in cristalli per tutta la grande sala. 

Danzano nell’aria, rifrangendo la luce dorata; mille arcobaleni si rincorrono sui muri, sul pavimento candido di marmo, sulla faccia di Shun, sulle sue labbra aperte in una piccola O di stupore. 

“È bellissimo–” Shun apre le mani a palmi in su, rovescia il viso all’indietro tirando fuori la punta della lingua come un bambino. 

Sembra un invito. Avvicina la faccia a quella di Shun, appoggia le labbra sulle sue. Tiepide. Morbide. La lingua di Shun tutta in bocca, occhi di mare fissi nei suoi. La mano di Shun sulla guancia, fra i capelli, si appoggia a quel tocco gentile. Lui che per anni ha conosciuto solo freddo e dolore. E’ dovuto passare attraverso una guerra per avere  tutto questo, non ne vuole un’altra, non ora. Non così presto.

Quando gli sembra di aver capito per cosa veramente valga la pena vivere.

Shun gli monta a cavalcioni continuando a baciarlo, gli toglie i capelli dalla faccia. Lui gli abbraccia la vita tirandoselo più vicino ancora, tutto immerso nel suo calore gentile. 

La neve si posa leggera su di loro, sul rosso scarlatto del divano, incorona di bianco i capelli di Shun.  Imbottisce gli spigoli taglienti della realtà. Una carezza che conosce da sempre, che sa sempre placarlo.

Ma stavolta a placarlo è Shun, le sue dita sottili fra i capelli, il suo peso lieve addosso, la lingua di Shun che accarezza piano la sua, le loro labbra incollate assieme. Respirando la stessa aria.

Si alza tenendosi Shun stretto addosso, un braccio attorno alle spalle strette, l’altro sotto quel culetto sodo. 

“Che fai?” Un susurro tenero, un altro bacino sulla sua bocca.

“Ti rapisco.” 

“Non serve.” Shun sorride. “Verrei con te fino alla fine del mondo.”

Anche lui. Fino alla fine del mondo e oltre le stelle. O semplicemente lungo tutto il corridoio. 

Le gambe di Shun strette attorno alla vita. Il peso lieve di Shun fra le braccia. La bocca dolce di Shun sulla sua. 

Apre la porta con il gomito, siede Shun sul bordo del letto. Lui lo guarda con gli occhi dubbiosi.

“Dormi qui con me, ti prego. Da solo non ci riesco proprio stanotte.” Scalcia le scarpe in un angolo, inizia a sbottonarsi le braghe.

“Nemmeno io.” Shun sorride e sfila le braccia dalle bretelle. “Grazie che sei venuto a cercarmi.” Sguscia fuori dai pantaloni bianchi e si infila sotto le coperte. 

“Grazie che c’eri.” 

Grazie che ci sei. Sempre.

Spegne la luce e lo raggiunge, abbandonando le braghe a terra. Il materasso cede, adattandosi al suo peso; tira su la coperta, stretto contro  Shun. Combattendo l’oscurità insieme.

Fa scivolare un braccio sotto il collo di Shun, appoggia l’altro sul suo fianco. 

“Finalmente silenzio.” Shun sospira e gli si accoccola contro, intreccia le gambe alle sue. Caldo e solido e presente e vivo.

E anche se non sa quanto durerà, in un’ora potrebbero essere morti, sconfitti da quella minaccia che stanno sentendo in modi così diversi. 

Anche se sa che non potrà durare. Non importa.

Ora è qui, immerso nella luce tenera di Shun. Chiude gli occhi, al sicuro contro di lui.

La neverending brainrot saga continua con un po’ di ultrap0rn ^^.

Per il COWT12 una Saint Seiya fanfic

Pairings: Hyoga/Shun, Ikki/Esmeralda, Hyoga/Shun/Ikki/Esmeralda (Saint Seiya) .

AU, post-Hades, nessuno è morto e sono tutti felici lmao. Sono passati un po’ di anni e anche Shun ha 18 anni finalmente.

WARNING: graphic depiction of sex, foursome, a lot of filthy things I’m ashamed to mention lmao

There at the seaside

Due teste uguali, una bionda e una verde, chine sullo stesso castello di sabbia; due schiene sottili alla stessa maniera, arrossate dal sole cocente. Ridono insieme. Le loro voci hanno lo stesso timbro.

Perché quei due si devono somigliare tanto?

Un maledetto circolo vizioso, guarda lei e pensa a lui. Guarda lui e pensa a lei.  E va comunque a finire che gli si indurisce l’uccello e qui, con il costume, è seccante. 

“Fratello, vieni a darci una mano!” Shun si volta e gli sorride; tutta la sua faccetta adorabile risplende. 

Una manciatina di farfalle gli si agita nello stomaco, non sa mai resistere a suo fratello, mai dal primo giorno in cui l’ha stretto fra le braccia. Nemmeno quando era intrappolato dall’incantesimo d’odio del suo maestro; sono state le lacrime di Shun, il suo sorriso fiducioso, a riportarlo in sé stesso. 

Giorno dopo giorno dopo giorno.

Sogghigna e si appoggia il libro sul pacco, cercando di nascondere l’innascondibile. “E’ fuori discussione. Non perdo tempo in queste sciocchezze da bambini.”

 “Dai, Ikki!” La manciatina diventa uno sciame imbizzarrito. Ogni volta che lei  lo guarda con quegli occhi verdi, sbarrati e teneri, ogni maledetta volta il suo cuore fa un piccolo tuffo, di gioia perchè ancora non ci può credere, di terrore perchè alle volte è sicuro, certo che si sveglierà da tutto questo e si ritroverà senza di lei.

Pianta così a lungo. Vinta con un patto al termine della guerra contro Ade. Lui non ha fatto come Orfeo, non si è voltato indietro. E lei è qui che gli sorride, accovacciata sulla sabbia d’oro.

Ha già perso troppo tempo, troppo nella vita. Si alza dallo sdraio, il libro cade e pazienza se qualcuno si accorge di quel che c’è nel suo costume. Deve procurarsene uno più largo. Si inginocchia fra di loro, di fronte alla struttura quadrangolare che stanno tirando su con la sabbia umida.

“Ma non crescete mai voi due? Che devo fare?” Borbotta. La sabbia è umida e fresca sotto le sue gambe; fuori dal cerchio d’ombra dell’ombrellone il sole lo schiaffeggia forte. 

“Intanto darmi un bacino.” Esmeralda gli prende il mento tra pollice e indice e lo gira verso di lei. Le sue labbra sono piene di sale e lui le affonda le dita fra i capelli umidi, aggrovigliato nel suo profumo di mare.

“Vado a prendere dell’acqua.” Shun ride e si allontana di corsa verso il mare, con un bicchiere di plastica vuoto in mano. Gambe lunghe, capelli svolazzanti sulle spalle, vita stretta.

Una maledetta ragazzina, accidenti a lui. Una ragazzina bellissima.  

“Ikki.” La voce di Esmeralda è tiepida contro il suo collo. Rabbrividisce.  “Baciami ancora.” E’ semplice abbracciare Esmeralda: il suo braccio riesce a cingerla tutta, a stringerla contro il suo petto nudo. E’ semplice baciarla ancora e ancora, l’ha desiderato così tanto, ogni volta che Esmeralda si chinava su di lui, a rattoppare le sue ferite, a Death Queen Island. Ogni volta che il viso triangolare ed il sorriso quieto di Shun si sovrapponevano al suo, spezzandogli il cuore. Non l’ha mai fatto per paura. Paura per lei, per le conseguenze che avrebbe attirato il suo gesto, paura che si è rivelata fin troppo reale. Ora vuole recuperare. 

Anni d’amore perso.

Esmeralda gli carezza il viso, si volta verso il bagnasciuga. Shun dà loro la schiena, le onde gli lambiscono le ginocchia, il vento gli scompiglia un po’ di più i capelli già arruffati. 

“Certo sei birbone.” Lei ridacchia e riporta lo sguardo su di lui. “Non mi avevi mai detto che tuo fratello era così bello.”

Gli si blocca il respiro e non sa di chi essere geloso. “Siete identici. E questo l’hai sempre saputo.” 

“Oh ti sbagli.” Le guance le diventano rosse, abbassa lo sguardo. “Lui è più carino di me.”

Le solleva il mento con un dito, appoggia un bacio piccolo sulle sue labbra. “Sei tu che sbagli,” sussurra. “Siete carini uguale.” E se Shun non fosse suo fratello, scegliere potrebbe diventare un problema. A volte si domanda se sia questo ciò che lo ha spinto a prendersi Esmeralda. Shun è terra proibita. É un maschio.

Ed è il suo maledetto fratello e lui lo ha tenuto in braccio che era ancora in fasce, gli ha pulito la bocca e asciugato le lacrime.

Esmeralda sorride. “Comunque è troppo bello. Ma due fratelli al prezzo di uno si possono avere?”

Il cervello gli va in corto circuito, ci vuole un sacco di energia per mantenere la faccia impassibile. Averli tutti e due. Per sé. Le due persone che più ama al mondo. Alza le spalle. “Devi sentire se lui è d’accordo.”

“Eh??” il viso di Esmeralda diventa paonazzo, se lo copre con le mani, guardando ovunque tranne lui. “Scherzavo comunque.”

“Io no.” Ed è vero. Per quanto folle e assurdo, ha sempre diviso quel poco che aveva con il suo fratellino. Se Esmeralda è curiosa, per lui il problema non si pone. “Ah e mi sa che devi parlare anche con Hyoga.” 

“Ikki, basta!” Esmeralda piega le spalle, sembra voglia nascondersi sotto la sabbia come un granchio terrorizzato. “Non dico più niente.”

Ma ormai lei ha gettato l’esca, per quanto inconsapevolmente. E lui non riesce a pensare ad altro.

°°°

Si lascia la portafinestra alle spalle; ad ogni passo la musica e il rumor bianco di chiacchiericcio si affievoliscono. La brezza salmastra gli schiarisce la testa.

Finalmente fuori. Nel salone c’è troppa gente e troppo rumore, il caldo lo soffoca e la cravatta peggio. I ricevimenti memorabili di Saori. 

Attraversa in diagonale la balconata, verso la figura in piedi all’angolo del colonnato. Gomiti sulla balaustra, sguardo fisso sul mare che mormora quieto, infrangendosi in spuma bianca sulla sabbia del bagnasciuga.

“Anche tu qui?” Si allenta il colletto, arrotola le maniche della camicia. 

Ikki si volta di scatto, un sogghigno gli arriccia le labbra quando lo vede. “Era prevedibile, no? Quello è il vero inferno. Shun?”

Lui ride. “Là dentro, circondato da ragazze. L’anima della festa.” Shun piace a tutti. Ma a lui di più.

“Non ti dà noia?” 

“Non è mica mio,” borbotta sottovoce, appoggiando il fianco alla balaustra. Dopo anni gli fa ancora strano parlare con Ikki della relazione che ha con Shun. In fin dei conti è l’unico parente che ha ancora in vita.

“E se qualcuno se lo porta via?” Ikki è insistente, lui infila le mani in tasca per non far vedere che sta stringendo i pugni.

“Non è mio, ti ripeto. E dubito che qualcuno sia in grado di portarsi via Shun se lui non vuole.”

Ikki ridacchia scuotendo la testa. “Conosci bene mio fratello.”

“Ma secondo te–” Giorni e giorni e giorni a osservarlo, a studiarlo, per cercare di carpire il suo segreto, cosa sia esattamente, di Shun, che gli fa perdere la ragione. Se sia quel cosmo sconfinato che gli aleggia intorno o la curva morbida delle sue labbra quando sorride, il dondolio aggraziato del suo piede quando accavalla le gambe. O le due cose insieme, tanto potere racchiuso in quel corpo minuto, eppure forte a sufficienza per dominarlo.

O solo che è tanto bello.

“Secondo me?” Ikki afferra il calice appoggiato davanti a lui sul davanzale, beve un sorso di quel che sembra vino bianco.

“Niente.” Fa spallucce e appoggia i gomiti sul marmo corroso dal salso, gli occhi fissi sul mare che non trova pace. La spuma splende alla luce della luna. Nessuna casa intorno, tutto sembra molto lontano. A parte Ikki, così vicino che sente il tepore del suo avambraccio. “Senti, io non te l’ho mai chiesto ma ti dà noia?”

“Cosa, esattamente?” Lo sguardo di Ikki è fisso sul mare, ma dalla piega della sua bocca sembra che si stia divertendo moltissimo. 

“Lo sai.” Gli dà un colpetto sul braccio; Ikki volta la faccia, lui si trova intrappolato in quegli occhi, scurissimi nella penombra.

“Shun non è nemmeno mio.” Ridacchia. “Anche se vorrei sapere cosa combinate voi due quando nessuno vi vede.”

Avvinghiato a Shun sul letto, le gambe intrecciate, pelle liscia frizione dolce che gli fa esplodere il fuoco dentro, scacciando il ghiaccio dalle sue vene, la bocca  incollata alla bocca tenera di Shun, dividendo lo stesso respiro. Abbassa a terra la faccia, improvvisamente caldissima, spera solo che sia abbastanza buio. “Io–” E non sa come continuare. 

“Sto scherzando.” La mano di Ikki è gentile sulla sua spalla. “Comunque il mio fratellino mi sembra di ottimo umore. Grazie Hyoga.”

“Eh?” Di cosa? Del fatto che alla notte fa singhiozzare a Shun il suo nome, la voce soffocata dal cuscino, le mani aggrappate alle lenzuola sfatte? Chissà cosa pensa Ikki che facciano. Quando nessuno li vede.

Un’escalation, dalla notte in cui Shun lo ha trascinato su al gazebo in cima alla collina. Ha conquistato ogni centimetro del suo corpo esile. 

“Tu lo sai, io lo so.” Ikki gli fa l’occhiolino. “Anzi, non so e non voglio sapere. Andate con Atena.”

Scalpiccio di passi leggeri, una voce argentina. “Ikki! Finalmente ti ho trovato.” 

Le labbra di Ikki si curvano in un sorriso che non gli si vede spesso addosso. Solo mentre guarda Shun da lontano, barricandosi dietro le braccia incrociate.

Esmeralda corre loro incontro attraverso la balconata, tirandosi dietro manciate di vestito viola pallido, i capelli biondi raccolti in uno chignon complicato; Saori si è sbizzarrita con le sue bambole, stasera. Si butta ansimando tra le braccia di Ikki, le guance rosse, gli occhi brillanti. “Dai venite dentro, che ci fate qui soli e tristi?”

“Si dà il caso che non siamo per niente tristi.” Ikki la fa girare e se la tira contro, la sua schiena contro il petto, il braccio stretto sulla sua vita sottile. “Prendi fiato, principessa. Bevi un sorso.” Le fa atterrare il calice sotto il naso, Esmeralda ride e se lo scola di botta.

“Se cerchi di ubriacarmi, Ikki della Fenice, puoi risparmiarti la fatica. Non ti serve.” Inclina la testa all’indietro per guardare Ikki negli occhi, lui le appoggia un bacio sulla fronte.

Esmeralda assomiglia troppo a Shun, nella luce bassa che le scurisce i capelli; per un momento gli sembra di vedere lui stretto addosso a Ikki. Ikki le mette una mano sulla testa, la fa voltare con delicatezza finché quegli occhi verdi, gli stessi occhi di Shun, sono fissi nei suoi. Lei fa un sorrisetto malandrino.

“Non hai salutato il nostro amico Hyoga.” Ikki ridacchia. “E sì che te lo dovresti quantomeno ingraziare.”

Le sopracciglia di Esmeralda si aggrottano, molla una pacca sulla mano di Ikki. “Ancora con questa storia?” La faccia le diventa paonazza.

“Cosa?” Chiede lui.

“Nienteniente.” Esmeralda agita una mano, le parole le escono troppo in fretta. “Macistaizitto.” sussurra a Ikki poi si volta verso di lui. “Ciao Hyoga. Tutto bene?”

Lui guarda l’una e l’altro senza capire. “Siete troppi giovani per bere,” 

Ikki fa spallucce. “Ci sono cose che non vuoi sapere.”

Di certo. Loro due sono stati per anni nell’inferno di Queen Death Island assieme, l’ombra lunga di quei giorni gli aleggia ancora intorno, anche se sembrano abbastanza luminosi per riuscire a scacciarla assieme.

“Vorrei sapere cosa mi dovete chiedere, però.” 

Il vestito di Esmeralda fruscia, mentre si volta a guardare Ikki fisso. “Tu sei matto.” Sospira, si passa una mano sulla fronte. “Mi serve un altro bicchiere di vino.”  Si svincola dall’abbraccio di Ikki e riparte verso la portafinestra, trascinandoselo dietro. Ikki non oppone resistenza ma gli lancia uno sguardo lungo prima di andarsene.

Lui li segue. L’idea di ributtarsi nella bolgia lo atterrisce ma ora è troppo curioso. La musica e il caldo lo investono come un muro solido, si concentra sulla coda svolazzante del vestito di Esmeralda. Lei fende la massa di abiti eleganti e pettinature alte senza perdere un passo, tacchi ticchettanti sul marmo bianco del pavimento. Fanno il giro largo per evitare Saori che tiene banco in un gruppo di vecchi carampani in smocking, aggirano il tavolo del buffet carico di piatti oblunghi d’argento semivuoti e approdano a un angolo di divani chiari. Shun non si è spostato di un millimetro, chiacchiera amabilmente con un paio di personaggette ingessatissime nei vestiti da sera, una viola e una verde e per un attimo gli viene in mente Shaina. Ma queste due non le ha mai viste.

“Ragazzi.” Shun si volta, un sorriso sollevato gli incurva la bocca. Guarda una delle ragazza, l’altra. “Scusate.” Disincrocia le gambe accavallate, ancora più lunghe nei pantaloni neri, e inarca la schiena sottile per alzarsi. Lunghe ciocche verdi ricadono contro la camicia bianca. Alle tipette cade la mascella, Shun gli viene vicino, gli mette un braccio sulle spalle. Deve tenersi per non baciare quelle labbra morbide, troppo vicine alle sue. Gli fa scivolare un braccio attorno alla vita. Fra Santi si può no?

Un sospiro di sollievo, Shun si stringe contro di lui, riovente attraverso la camicia, occhi di mare teneri nei suoi. “Grazie per il salvataggio.” Un sussurro tiepido nel suo orecchio.

Lui indica col mento Esmeralda che ride soddisfatta. “Ringrazia lei.” Altrettanto piano. Il suo sguardo incrocia per un attimo quello di Ikki, lui gli fa l’occhiolino di sfuggita.

“Riunione, ragazzi.” E lo dice in un modo così imperioso che sta quasi per crederci, per un attimo torna indietro alle guerre infinite combattute in nome di Atena, loro cinque una cosa sola contro tutto e contro tutti. Più che compagni, amici, fratelli. Condividendo lo stesso Cosmo, lo stesso potere.

Gli corre un brivido lungo la schiena, si morde le labbra. Shun lo guarda come se sapesse esattamente cosa sta pensando, e forse è davvero così. 

Si allontanano, compatti, missione compiuta. Esmeralda fa un cenno a Ikki passando di fianco a un cameriere, lui gli sottrae dalle mani guantate di bianco il vassoio carico di calici e si dirige verso la balconata.

Di nuovo fuori, il vassoio sul davanzale della balconata, dita strette sugli steli di cristallo sottile, un brindisi a loro, sempre a loro, solo per essere sopravvissuti fino ad oggi. Shun addosso, la sua schiena calda contro il petto, un braccio sul suo, che gli stringe la vita. Le bollicine sul palato lo fanno lacrimare, il vino è aspro e freddissimo, gli fa rilassare i muscoli e rallentare il respiro. 

Ikki butta giù il suo in due sorsi, Esmeralda in uno solo, si asciuga la bocca con il dorso della  mano, ridacchia, lo guarda. Poi guarda Shun. apre la bocca per parlare ma le esce una risatina nervosa.

“Non sei abbastanza ubriaca.” Ikki sogghigna. “E’ avanzato un bicchiere.” 

Lei scuote la testa. “Meglio di no. Me lo farò bastare.” Fa un passo verso di loro, un altro, prende il mento di Shun fra pollice ed indice. Uno di fronte all’altro sembrano riflessi di due diverse dimensioni, lo stesso naso sottile, la stessa curva morbida delle labbra. Gli occhi di Shun si spalancano quando lei avvicina la faccia alla sua, si ferma un attimo, forse per lasciargli il tempo di sottrarsi, se lo vuole. E poi lo bacia sulla bocca. 

Shun fa un verso di sorpresa, schiaccia la testa contro la sua spalla e affonda una mano nei capelli di Esmeralda. 

Un’onda di gelo lo percorre. Ecco le parole di Ikki che si avverano, Lui già sapeva. Non può dire niente, mentre il respiro veloce di Shun gli rimbomba nelle orecchie. 

Shun non è suo. Anche se gli appartiene. 

Esmeralda tira indietro la testa, le guance rosse, le labbra semiaperte. Gli somiglia così tanto, così tanto, quello è lo stesso sguardo che gli rivolge Shun, sotto di lui, affondato nel materasso, sotto il suo peso, sotto le sue spinte, quando è solo suo.

“Te lo rubo per un po’. Il tuo fidanzato è troppo bello.”  

“Non sono un pacco,” brontola Shun e ridacchia e gli si struscia addosso. “Poi chi dice che voglia venire con te?”

Esmeralda si sporge verso Shuni, gli prende il mento fra le braccia, gli carezza le labbra con il pollice. “Istinto femminile.”

Lui guarda Ikki, che allarga le braccia con una smorfia. “Non mi chiedere.” Anche se di sicuro sa benissimo. 

Per un attimo si sente in trappola, allenta la presa sulla sua vita, ma Shun gli resta incollatoc. Poi ride, gli aggancia un braccio al collo e lo tira giù verso di lui, labbra morbide che cercano le sue, non può scappare. Non vorrebbe mai. Shun gli infila la lingua iin bocca, sa di vino e fuoco. Affonda nel calore, chiude gli occhi,  perso nel profumo di limone dei capelli di Shun. 

Suo. Troppo suo per poter pensare ad altro, e si rende conto che niente può cambiare questa verità, nemmeno le mani di Esmeralda che slacciano uno dopo l’altro i bottoni della camicia bianca di Shun, trovano una strada tra le pieghe del tessuto. Shun gli chiude la bocca con la sua.

“Torno presto,” il suo respiro gli solletica l’orecchio, gli i peli gli si rizzano sul collo, un brivido lungo la schiena

Esmeralda sorride intercettando il suo sguardo. “Non ho intenzioni serie, capito? C’è una sola persona con cui sono seria e non è lui.” Prende Shun per la vita, gli bacia il collo.

Shun ride. “Lo stesso vale per me, sorellina.” E lo guarda forte, lo guarda dritto, e i suoi occhi sono teneri nei suoi e lui si rende conto con un sussulto che qualsiasi cosa possa succedere. Sono legati a filo doppio, un filo sottile e luminoso, resistente come e più delle catene che armano il Cloth di Andromeda. Le cose che sono successe, che li hanno portati l’uno vicino all’altro hanno un peso e una consistenza, non si cancellano con una notte passata fra le gambe di qualcun altro. O altra. 

Appoggia le labbra sul collo di Shun, dalla parte opposta di Esmeralda, Shun rovescia la testa indietro contro la sua spalla. L’impulso sarebbe di stringerseli contro tutti e due, due versioni della stessa persona bellissima. Ma si sente addosso lo sguardo di Ikki, e non è lui che Esmeralda vuole.

Pare che dovrà aspettare un altro po’ per essere da solo con Shun. Può farlo. L’attesa renderà ancora più dolce il momento in cui quella testa verde farà capolino dalla porta della loro stanza. 

“A dopo,” dice Shun, la voce insicura. Esmeralda ride e se lo porta via, lungo la balconata vasta.

Ikki si avvicina, gli dà un colpetto col gomito. ‘Come la vedi?”

“Spero almeno che Shun mi racconti qualcosa domani.” Alza le spalle, ridacchia ma un po’ gli brucia. Una notte. La vacanza è ancora lunga, può aspettare, anche se già si sentiva sotto i palmi la pelle tiepida di Shun.

Ikki gli mette un braccio sulle spalle, indica col mento la luce che esce dalla portafinestra. “Torniamo dentro. Magari le due di prima sono ancora lì, le possiamo impressionare con qualche storia delle guerre sante.”

Scoppia in una risata. “No grazie. Per me basta interazioni sociali stasera.” Segue con gli occhi le schiene di Shun ed Esmeralda, che stanno per sparire oltre l’angolo della balconata, diretti verso l’entrata laterale per l’ala delle camere.

Esmeralda si volta. “Ikki! Non vieni?”

Eh?

Ikki le fa segno di andare con la mano.

Lei muove qualche passo indietro verso di loro. “ Avevamo detto due fratelli al prezzo di uno.”

“Aspetta.” Ikki gli strizza la spalla e le va incontro. Confabulano a mezza voce, Esmeralda non sembra convinta.

Lui pensa a troppe membra intrecciate fra le coperte, gli si indurisce improvvisamente l’uccello nelle mutande, una vampa di caldo nella pancia. Non ha obiezioni da fare, né giudizi da lanciare. Si avvicina, il tormento sulla faccia di ikki lo lascia perplesso. Non capisce.

Non ha mai avuto un fratello per davvero, non ha idea di cosa possa succedere fra due persone legate così strettamemte dal caso e dal sangue. Qualsiasi cosa sia, non sta a lui giudicare. E nemmeno gli intressa. Ha condiviso con Shun e Ikki, in qualche anno, quanto molti non condividono in una vita intera.

Guarda Ikki negli occhi, lui trasale. “Fai quel che è giusto per te. Io vado a farmi un bagno. La notte è perfetta.” Alza il naso ad annusare la brezza tiepida, il profumo del mare è un richiamo potente quasi quanto la voce di Shun.

Tanto lui stanotte è occupato.

°°°

Mentre entrano nell’ala delle camere, si volta un attimo a guardare Hyoga che scende la scalinata verso il mare a passo sciolto. Perfettamente bilanciato, quel ragazzo è una macchina da guerra e lo trasuda da tutti i pori. Elegante e letale. La luce della luna fa splendere i suoi capelli chiari.

Una punta di rimorso nel vederlo allontanarsi, si stringe Esmeralda contro; loro se ne stanno andando via insieme, portandosi via Shun. Hyoga è rimasto solo. Anche se è solo per una notte. 

“E’ tutto a posto, amore?” Il suono dolce di quella parola, sulle labbra di Esmeralda ma la voce potrebbe essere quella di Shun. Qualche anno fa, prima che anche lui diventasse un uomo e abbandonasse il timbro argentino dell’infanzia. Non del tutto. Non ancora.

Per poco.

Ma è ancora il suo fratellino.

Annuisce, bacia i capelli raccolti di Esmeralda, cerca il suo odore sotto strati di profumo e cosmetici.

Shun cammina un passo avanti a loro, un passo di lato, aggraziato. A volte si domanda come possano essere così opposti l’uno all’altro, la forza bruta e la delicatezza, e quale mistero della natura lo faccia assomigliare così tanto a Esmeralda invece.

Uno scherzo del destino, un colpo basso per lui, che non sa decidersi ad accettare ciò di cui avrebbe bisogno. Forse è il momento di iniziare a prenderselo. Cattura Shun per la vita, suo fratello gli sbatte contro. Alza il viso, gli sorride e c’è uno sguardo nei suoi occhi che non riesce a interpretare. Chissà che sta frullando nel suo cervello, sotto quella massa disordinata di capelli verdi. Chissà se anche Shun ha dovuto combattere per tutti quegli anni contro le sfaccettature inattese del loro rapporto, che Esmeralda ha portato a galla per lui con una manciata di parole.

Si rende conto che è riuscito a sopravvivere a Death Queen Island solo perché con Esmeralda vicino era quasi come riavere Shun. Tappando con una dolcezza diversa il buco nero nel suo cuore. Vedersela morire tra le braccia, dopo essere stata colpita dal maestro lo ha lasciato preda facile della follia, con lei ha visto anche Shun esalare l’ultimo respiro.

Scuote la testa. Ora è tutto molto lontano, anche se continua a girarci attorno nella sua testa.

“Ikki?” Confusione, in due paia di occhi verdi che lo fissano.

“Eh?” Sono fermi davanti alla porta della sua stanza, e non saprebbe dire come ci sono arrivati.

“Le chiavi? Ma vedo che hai le mani occupate, ti aiuto.” Esmeralda è sempre stata una persona pratica; gli caccia una mano in tasca, dita insistenti sull’uccello attraverso il tessuto sottile, lui sussulta.

“Principessa?”

“Sì?” Esmeralda fa un sorrisetto birichino, strizza più forte. “Non riesco a prenderle. Certo, strette queste braghe.” 

Lui trattiene il fiato, Shun li sta guardando, nella penombra del corridoio fiancheggiato da statue di legno lucidato. Gli antenati di Saori che gettano ombre lunghe su di loro, 

La bocca di Shun si arriccia in una smorfia divertita. “Ma cosa volete esattamente da me?” 

“Questi fratellini–” Esmeralda sospira e alza gli occhi al soffitto ridacchiando. “Quando siamo dentro te lo spiego meglio, Shun.”

Shun arrossisce, lei riesce finalmente a togliergli le dita di dosso ed estrarre le chiavi dalla tasca. Gli occhi della statuina d’argento appesa all’anello lanciano lampi nella penombra; la serratura scatta, la porta si apre.

Esmeralda accende la luce e spinge dentro Shun, mani sulle sue spalle, strette nella giacca nera, labbra sulle sue in un bacio che sembra non finire mai, che lascia Shun senza fiato quando lei lo fa cadere seduto sul letto, lo sdraia di schiena sul materasso. Si inginocchia fra le sue gambe, gli sbottona la patta. 

Shun si tira su sui gomiti; la camicia semiaperta scopre le linee aggraziate dei muscoli del suo petto. Guarda lei, poi lui. “Ikki?”

Lui apre le braccia, fermo vicino alla porta. 

“Vieni qui.” La voce di Shun trema, occhi grandissimi nella luce brillante del lampadario di cristallo.

“Puoi dire no quando vuoi, fratello.” il letto cigola sotto il suo peso, quando si siede vicino  a lui. Esmeralda gli lancia un’occhiataccia. 

“Perché dovrei?” Sussurra Shun e lo afferra per il colletto, gli fa abbassare la faccia finché le loro labbra quasi si sfiorano. “Mi baciavi sempre sulla bocca quand’ero piccolo, fratello.”

Certo, gli viene da rispondergli. Ti ho sempre amato. Troppo. Ma ora è. Diverso? Cosa c’è di diverso? Il sorriso di Shun è sempre lo stesso, luminoso e quieto; anche se il suo viso si è affilato nei tratti di un ragazzo, lui ha sempre in testa le guance tonde del suo fratellino. Chiude la distanza minima che li separa e sfiora con le sue le labbra di Shun. La lingua di Shun incontra la sua, calor bianco gli esplode in testa, lo fa indurire di più nel tessuto impietoso dei pantaloni eleganti. 

È dolce affondare nella bocca di Shun, riconosce il suo sapore, tanto amato e poi perduto; Shun rovescia la testa all’indietro con un singhiozzo rauco, lui ravvia ciocche morbide di capelli, via dalla sua fronte e dietro le orecchie delicate. Fruscio di tessuto, il tintinnio metallico della fibbia contro il pavimento, Esmeralda sfila via i piedi di Shun dalle gambe delle braghe. Si china su di lui, le mani su quell’uccello roseo e bianco, che ha visto tante volte prima che venissero separati, ognuno diretto al proprio inferno personale. 

Lei apre la bocca, succhia la punta, Shun si inarca e lo bacia più forte, aggrappato alla sua camicia, respiro veloce, palpebre semichiuse.

Perchè pensava sarebbe stato complicato? Strano?

Loro sono sempre stati una cosa sola.

Anche se si sono allontanati, non si sono separati mai. Mai è diminuito l’amore che leggeva, che legge ora nello sguardo trasparente di Shun. L’amore che lo ha riportato indietro dalla follia. Come un incantesimo strano e tenero. Shun si dona sempre.

Stretto, contro di lui, ansimando, mentre Esmeralda se lo mangia vivo, inginocchiata sul pavimento fra le sue gambe aperte, nella nuvola stropicciata del vestito da sera. Interrompe il bacio, Shun crolla di schiena sul letto, lottando per respirare, si aggrappa al copriletto trapuntato. Pallido contro il tessuto porpora, e c’è un altro Shun, biondo, chino fra le sue gambe, la testa che si muove lentamente su e giù; Esmeralda lo guarda, ansimando intorno all’uccello di Shun e a lui gira la testa.

Due paia di occhi semichiusi, di guance arrossate, lo stesso mento a punta da creatura fatata. Le mani gli tremano mentre apre gli ultimi bottoni della camicia di Shun. Finalmente nudo, bianco e bello e tenero, gli copre il torace di baci, su fino alle linee delicate delle clavicole, tutte da succhiare, la lingua su un capezzolino roseo, Shun geme e gli infila le dita nei capelli, schiacciandoselo contro. “Fratello–” 

E Shun si irrigidisce sotto di lui, si appiattisce contro il materasso per sfuggire ai suoi baci. “Aspetta.” Sorride ma ha gli occhi tristi all’improvviso. “Io. Io. Non:”

Esmeralda alza la testa, un filo di saliva le corre lungo il mento, l’incertezza prende il posto della voglia nel suo sguardo. “Hey fratellino, tutto a posto?” Ha la voce esitante. “Vado troppo veloce?”

Shun scuote la testa, la frangia lunga gli copre gli occhi. “Io. Devo fare una cosa. Torno. Credo.”

Si alza seduto, Esmeralda gli mette le mani sulle cosce, lo guarda fisso di sotto in su. “Sicuro che va tutto bene?” 

Shun si china su di lei, le prende il mento fra pollice ed indice e la bacia in bocca. “Sì. Ma io. Mi aspettate qui?”

Shun sguscia nei pantaloni, se li riallaccia e corre fuori a piedi nudi, i lembi della camicia sbottonata gli svolazzano attorno alla vita. La porta sbatte alle sue spalle. Esmeralda si alza e lo guarda senza dire nulla per un attimo lunghissimo, le sopracciglia aggrottate.

“L’ho fatto scappare,” sospira torcendosi le mani. “Mi dispiace, Ikki, io. Forse ho sbagliato. Volevo tutto. Tutto e subito.”

Lui guarda la porta chiusa, quasi si aspettasse di vedere Shun che la riapre. “Credo che se avessi sbagliato non ti avrebbe baciata così.” Ridacchia. “Non sottovalutare mio fratello, sembra indifeso ma è difficile da spaventare.” Lo sa bene, l’ha imparato giorno dopo giorno, riscoprendo il suo fratellino nel ragazzo che ha vestito il Cloth di Andromeda per tutte le guerre sante. 

Il problema di Shun è che ha troppa paura di ferire qualcuno.

E lui ha un’idea di dove sia scappato così di corsa. Il cuore di Shun è sconfinato, e c’è posto per tutti. Si dà dell’idiota per non averci pensato lui.

“Sicuro? Mi sento così stupida.” Esmeralda si allontana dal letto, si appollaia sul bordo della scrivania di legno intagliato. 

“Sì, principessina sciocchina.” Le va vicino, le appoggia un bacio all’angolo delle labbra. Esmeralda ha gli occhi lucidi.

“Mi basta di non farti litigare con tuo fratello. Mi sembra di aver messo piede dove non dovevo.”

“Se mio fratello non mi odia dopo quello che gli ho fatto io–” Borbotta. “Non credo ti devi preoccupare.” Slaccia uno ad uno i minuscoli bottoni che tengono chiuso sulla schiena il corsetto del vestito, tira gentilmente verso il basso, il tessuto lucido scivola giù, le sue tettine piccole sgusciano fuori, dritte e sode, puntano verso di lui, al suo cuore. Non sbagliano mai mira. “Secondo me fra un po’ torna. E forse non da solo.”

Esmeralda spalanca gli occhi. “Dici?” 

Annuisce; troppe volte Hyoga e Shun si sono difesi a vicenda. Come lui ha sempre aiutato Shun, Shun sembra essere diventato in qualche modo il guardiano di Hyoga. “C’è qualcosa di invalicabile fra quei due, anche per me che sono suo fratello. Shun ha quasi perso la vita per salvare Hyoga, durante la battaglia delle Dodici Case. E’ come se condividessero lo stesso Cosmo, non puoi dividerli.” 

Esmeralda apre la bocca. “Io. Non mi sarei mai sognata. Giuro, l’ho anche detto, non–”

“E Hyoga mi sembrava tranquillo.” Ridacchia, tira ancora, il vestito di Esmeralda si raccoglie in un groviglio attorno ai suoi piedi. “Ma Shun tende a essere inclusivo, Atena lo benedica.” Accarezza con un dito le mutandine lilla di Esmeralda, sono zuppe, appiccicate alla fessura tenera della sua fichetta. “Non ci resta che aspettare.”

°°°

Allarga le braccia per restare a galla senza sforzo. La luce della luna illumina d’argento le creste delle onde tiepide, nelle orecchie gli risuona il canto della sabbia smossa dalla risacca. Un lampo, nella mente, la sensazione dell’acqua gelida che gli mordeva le gambe, mentre si inabissava nelle profondità del mare, una rosa fra i denti, a trovare sua madre. Non aveva mai preso in considerazione che un bagno potesse essere piacevole, come non supponeva di poter riversare tutto il suo amore mai risolto in una persona reale. Chiude gli occhi, pensa alle mani di Shun sul suo petto, si chiede cosa stiano toccando ora quelle mani.

Probabilmente domani lo sparà.

E si rifarà di quello a cui ha rinunciato stanotte.

Domani lo farà urlare. Lo obbligherà a chiamare il suo nome, ancora e ancora, come una preghiera. Sfatto, sotto di lui, ansimante e tenero.

“Hyogaaa!”

Si rivolta di pancia nell’acqua, qualcuno si sta sbracciando dalla riva nella sua direzione.  Conosce bene quella figura mezzo svestita. La camicia bianca, i capelli agitati dal vento, scuri nella notte.

Si inabissa, bracciate lunghe lo portano dove si tocca, si alza in piedi.  Shun solleva schizzi in tutte le direzioni correndogli incontro. 

“Sapevo che eri ancora qui.” Shun gli toglie dalla faccia i capelli gonfi d’acqua, incolla le labbra alle sue. Il mare gli cola in bocca salato, mentre lo bacia. 

Lui si tira indietro, lo guarda senza fiato. “Ti bagno tutto.”

Shun si alza sulle punte dei piedi, i pantaloni bagnati incollati a quelle gambe lunghe. “Baciami ancora. Mi mancavi.” 

Davvero? Era convinto che Shun sarebbe stato troppo occupato. “Avete fatto presto.”

Shun fa il broncio nasconde la faccia nell’incavo del suo collo.  “Non abbiamo fatto niente. Non potevo pensare che te ne stavi qui tutto solo.” 

Gli accarezza i capelli, un bacio sopra l’orecchio, ciocche morbide gli si appiccicano al viso bagnato. “A dire la verità mi godevo il mio bagnetto. Sono abituato alla solitudine, per qualche ora–”

“Io voglio te.” Shun lo prende per la mano, lo guida verso la riva. Esile e bianco; nella luce della luna i suoi capelli brillano di riflessi oscuri. Anche lui. Anche lui lo vuole. Ora. Sempre. Shun raccoglie un asciugamano dalla sabbia, glielo avvolge attorno alle spalle.

“Grazie.” Si asciuga la faccia con un lembo, si strofina i capelli con un altro, Shun lo guarda senza dire niente. La camicia bagnata gli si appiccica addosso; lui segue con un dito i contorni delicati dei suoi pettorali, Shun sorride sotto i capelli umidi. 

“Sei tutto nudo.”

Alza le spalle. “Non avevo voglia di entrare a prendere il costume.”

“Mi piace.” Il sorriso di Shun è indifeso e tenero. “Mi piaci tanto, come si fa. Stavo con loro e pensavo a te.”

La vastità dell’amore di Shun lo colpisce sempre duro, lo lascia senza fiato come un pugno, che lo ricostruisce invece di distruggerlo. Benedice tutto il dolore che hanno dovuto attraversare assieme, stretti, avvinti, sorreggendosi uno con l’altro, se ha avvicinato così le loro traiettorie. Non riesce a concepire una vita senza Shun. Non più.

“Vieni qui..” Prende Shun per la vita, se lo tira addosso e bacia il suo sorriso. Al caldo nella stretta delle sue braccia che gli si agganciano al collo. “Non so come si fa. Anche tu sei sempre nella mia testa.” Ed è vero, perennemente nello sguardo di Shun, come uno scudo di invincibilità che lo protegge. Ma da se stesso. 

Chiude gli occhi, immerso nel tepore; la risacca gli mormora intorno, la brezza gli asciuga la pelle ancora umida. Al contatto dolce con il corpo di Shun tutti i suoi muscoli si rilassano, in un sospiro lento che gli libera il petto. 

“Per fortuna sei venuto. Io–” Si ferma cercando parole che non ha. 

Io non posso stare senza di te. Verrei a cercarti fino alla fine del mondo. E più in là.

“Tu?” Shun fa un sorrisino e lui sa che ha capito. Che le parole forse non gli servono, ma le dice lo stesso, le vuole dire, ora. 

“Io non posso stare senza di te. Mai.”

La mano di Shun sulla sua guancia lascia fuori la brezza, calore improvviso, il pollice di Shun lungo lo curva dello zigomo e più giù, traccia il contorno delle sue labbra; lui tira fuori la lingua per una leccatina cauta, Shun ride stretto addosso a lui. “Nemmeno io. Non.” Shun tira un sospiro tremante, occhi fissi nei suoi. “Io ho sempre adorato mio fratello. Era il mio dio, il mio difensore, l’unico a rimanere dalla mia parte qualunque cosa accadesse. Bello come un dio guerriero. Non pensavo ci fosse amore più grande.” 

Aspetta altre parole da Shun, trattenendo il fiato. Non ne vengono per un bel po’. Restano fermissimi, combaciando alla perfezione l’uno con l’altro, soli nella spiaggetta deserta di fronte alla villa.

“Hyoga?” Lo chiama Shun, alla fine.

“Sono qui.” Sempre lì, dovunque lui sia. Quello è il posto dove vuole stare.

“Mi ero sbagliato. Ikki mi sta aspettando, ora. Ma posso lasciarlo aspettare, perchè sono con te.” 

Chiude gli occhi, le parole di Shun gli girano in testa, e qualsiasi senso cerchi di dargli, è comunque il migliore possibile. 

Il profumo aspro di salso gli riempie le narici, non ha sentito altro per anni, mattina e sera, perso al limitare del mare del Nord. Non potrebbe essere più lontano da lì, da quel sè ragazzino che si era isolato in una gabbia di ghiaccio. Ora tutto è calore, fuori e dentro di lui. Scompiglia i capelli umidi di Shun. “Sicuro? Possiamo rientrare se vuoi.”

“Basta che stai con me.” 

“Sempre.”

Il sorriso di Shun si allarga, più splendente di qualunque Cosmo.”Sempre?”

“Sempre.” Lascia cadere l’asciugamano, gli occhi di Shun lo divorano in un boccone solo, si china a raccattare la camicia dal groviglio dei vestiti abbandonati alla rinfusa sulla sabbia; la scuote, se la mette. I pantaloni. Infila in tasca la cravatta. Asciugamano sulla spalla, Shun stretto al fianco lungo il sentiero di pietroni e la scalinata ripida, aggiunge nuovi gradini ai  milioni che ha salito insieme a Shun. Di corsa o zoppicando, aggrappati uno all’altro. Stringendosi al petto il peso inerte di Shun, fasciato di bronzo, le gambe ancora tremanti del terrore più grande che abbia mai provato in tutta la vita.

Questi li può salire lentamente, allacciato a Shun. Sono i migliori.

°°°

Tre colpi alla porta, alza la testa di scatto. Pausa lunga, due colpi, pausa corta gli ultimi tre. Il loro codice, da sempre. “Eccolo.”

Esmeralda apre un occhio. “Shun?” ansima. 

Lui annuisce, le dà un bacio sul ginocchio e riappoggia sul materasso la sua gamba. “Vado.” indietreggia, in ginocchio, il suo uccello fa un suono umido, uscendo dalla fichetta perfetta di Esmeralda. “Non ti muovere.”

Lei ridacchia. “Non ci penso nemmeno.”

I suoi piedi affondano nel tappeto morbido poi marmo freddo, arriccia gli alluci.

Apre e si ritrova davanti Shun e Hyoga, umidi e stropicciati. Come se si fossero fatti il bagno insieme. Coi capelli appiccicati al cranio, Hyoga sembra più giovane, poco più di un bambino ributtato a riva dalle correnti, impietose. Si sente addosso il suo sguardo trasparente, giù dalla sua faccia, lungo il suo torace nudo, l’uccello dritto che lo punta. “Pare che ci sono anch’io,” borbotta.

Lui ride. “Mi spiace che non ci abbiamo pensato prima. E scusa per l’accoglienza minacciosa.”

Hyoga alza le spalle ma gli angoli della sua bocca si incurvano all’insù. “Non ti avessi mai visto nudo.”

Shun sorride e gli sfiora le dita. 

“Entrate?” Si fa da parte; Shun guarda Hyoga, lui gli fa cenno di procedere. Ancora sdraiata sul letto, Esmeralda si è voltata di pancia. Gomiti puntati sul materasso, mento sulle mani, li segue con gli occhi mentre attraversano la stanza di sbieco. “Avete fatto un bel bagno?”

Hyoga annuisce, infila le mani nelle tasche dei pantaloni spiegazzati cercando di evitare il suo sguardo.

“Senti, mi dispiace.” Esmeralda piega la testa di lato. “Hyoga, davvero, volevo solo divertirmi un po’, ma credo di aver esagerato. Ti chiedo scusa.”

Hyoga tiene lo sguardo fisso a terra. “E’ tutto a posto. Per me non–”

“La colpa è mia.” Shun si infila sotto il suo braccio, Hyoga se lo stringe contro. “Che non riesco a stare senza di lui.”

La faccia di Hyoga diventa rossa. 

Lui li guarda, affascinato da come si trovino senza nemmeno cercarsi, ogni movimento li conduce più vicini, li incastra uno nell’altro. Shun ha qualcuno che bada a lui, finalmente. Il suo lavoro non è mai finito, ma ora può abbassare un po’ la guardia. Anche se sarà sempre l’ombra che protegge le spalle del suo fratellino. “L’importante è che ci siamo capiti fra di noi.”

“Che fate allora? Restate?” Esmeralda piega le ginocchia, fa dondolare in aria i piedini.

Shun guarda Hyoga, lui annuisce. “Dove eravamo rimasti?”

Guarda Shun, mezzo svestito, i capelli umidi gli pendono sulla faccia. Pallido e sottile. “Eravamo rimasti che tutti vogliono te, fratellino.”

°°°

Tutti addosso a Shun, per davvero. Tutti sul letto grande della camera di Ikki, ammucchiati fra le coperte stropicciate. Steso fra le sue gambe, le mani a sollevargli il bacino stretto a separare quelle mele tonde che non lo fanno ragionare, esplora con la lingua ognuna delle rughette del suo buco del culo, fa scivolare dentro e fuori l’indice e il medio, più a fondo, la tensione di quel piccolo muscolo si allenta piano ed è dentro fino all’ultima nocca, premendo, forte come piace a Shun, come gli piace fare per fargli perdere il respiro.

Shun singhiozza nella bocca di Ikki, sigillata sulla sua; le sue anche tremano spingendo l’uccello più a fondo fra le labbra di Esmeralda. Lei abbassa la faccia, tutto dentro, lacrime rigano le sue guance, una serie di gemiti spezzati, si guardano sopra la pancia bianca di Shun. Gli stessi occhi. 

Shun che piega la testa si di lui, gli fa dimenticare il suo nome.

Si tocca l’uccello, così duro che gli fa male. Lo vuole, ora. Entrare in Shun, spingere dentro di lui, fino a esplodere, stelle danzanti davanti agli occhi. 

Un’ultima succhiata, Esmeralda lascia andare l’uccello di Shun con un pop umido. Lo stringe in mano, fa scivolare su e giù la pelle, senza staccare dai suoi quegli occhi verdi come il bosco.”Vieni,” ansima.

Lui si inginocchia fra le gambe di Shun, continuando a scoparlo con le dita, le labbra di lei si chiudono sul suo glande, lui affonda nella sua bocca calda e scivolosa, una due, tre volte, perde il conto col respiro, un’ultima, lei gli fa colare saliva su tutta la lunghezza, gli sorride ed è Shun che gli sorride, solo biondo. Un grado in più di morbidezza nei suoi lineamenti sottili, si guardano, lei non dice niente, fa un cenno verso Shun. 

“Voglio guardarvi,”sussurra. “Siete perfetti.”

Lui annuisce, anche se puello perfetto è solo Shun, riverso, sfatto, la pelle bianca segnata dai loro baci. Il suo viso è nascosto da suo fratello, ma conosce ognuna delle minuscole espressioni che gli torcono i lineamenti, il rossore che si spande piano sulle sue guance magre.

Appoggia la punta dell’uccello contro il buchino invitante di Shun e spinge. Piano. Piano. Shun lo accoglie e non sa se a farlo gemere sia la pressione perfetta attorno al glande o vedere la carne di Shun che cede per dargli accesso. 

Esmeralda monta a cavalcioni della pancia di Shun, afferra alla base il suo uccello e ci si siede sopra. Lo guarda fisso, ansimando, abbassandosi lentamente, muovendosi avanti e indietro. Lui si sporge e la bacia. Assaggia il sapore dell’uccello di Shun nella sua bocca, lo conosce bene, lo fa impazzire, spinge più forte dentro Shun, lo spinge più forte nella fichetta tenera di Esmeralda, coronata di peli biondi. La fa colare sulle sue cosce, sulle cosce di Shun. 

Non lo può vedere, ora, con lei nel mezzo, ma vede il viso identico di Esmeralda cedere, le labbra socchiuse, palpebre pesanti sugli occhi che lo imprigionano come lo imprigionano quelli di Shun. 

Non lo può vedere, ma sente i suoi ansiti spezzati, i suoi singhiozzi che si trasformano in suoni disarticolati pieni di vocali.

Non può. Esmeralda si china su di lui, gli infila tutta la lingua in bocca, aggrappata ai suoi capelli, lui grugnisce e viene in lunghi sussulti, aggrappato alle anche magre di Shun.

Chiude gli occhi, cerca di deglutire ma ha la gola troppo secca. Esmeralda si aggrappa alle sue spalle, si sbatte sull’uccello di Shun, cosce lucide, schiaffi umidi di carne su carne, urla un grido rauco di vittoria.e non si ferma, non si ferma finché anche Shun si tende tutto, si inarca e ricade, sul letto. 

Lui si tira indietro, esce centimetro per centimetro, il culetto di Shun si contrae, come se cercasse, se volesse riaverlo in lui, lasciando uscire grosse gocce bianche e traslucide. 

“Hhn” Esmeralda gli si adagia contro, alza il bacino e si tira su. L’uccello di Shun, ancora duro, scivola fuori dalla sua fichetta assieme a un rivolo di sborra, gli schizza pancia e stomaco. Esmeralda lo scavalca e si lascia cadere sul letto al suo fianco. 

Finalmente può vedere. Shun. E suo fratello che gli strofina l’uccello sulle labbra; un rivolo di seme gli cola lungo il mento. Ikki si china e gli cattura la bocca con la sua.

Shun tossisce, gli occhi rovesciati all’indietro e inizia a tremare tutto; inerte, pallido fra le coperte scure. Ikki alza la faccia di scatto. “Shun?”

“Shun!” Lui balza sul letto, sopra Shun, le ginocchia ai lati dei suoi fianchi, che sta succedendo?

Non lo sa, ma il suo corpo esile è scosso dai tremiti. “Shun!”

Lo tira su seduto, contro di lui, Shun è inerte nelle sue braccia, la testa rovesciata all’indietro. Gli sorregge il collo con una mano, Shun lo guarda, occhi semichiusi; le sue labbra si incurvano in un sorriso pazzo, inizia a ridacchiare. Senza fiato.

“Voi siete folli,” articola a fatica, sembra ubriaco. Anche se ha bevuto un bicchiere solo. “Non riesco a muovermi.”

Ride anche lui, guardandolo negli occhi. Luminosi come il mare a mezzogiorno. “Siamo pazzi. Pazzi di te.”

The brainrot saga goes on and on con una fanfic di –ahem Saint Seiya. Hyoga X Shun VS Eligor.

Warning per violenza canonica, litri di sangue e eccessivo fluff in battaglia. Pls enjoy

Say my name

Sente il colpo come se fosse diretto al suo stesso stomaco, gli toglie il fiato dai polmoni in un singhiozzo, gli rimbomba per tutti i nervi, lasciandolo inerme all’attacco diretto di Eligor ed è ancora dolore, il sapore del sangue in bocca, la pietra che si sbriciola sotto l’impatto del suo corpo contro il pavimento e il muro. Cade di faccia, incapace di muoversi per un attimo troppo lungo.

“Hyoga,” ansima puntando le mani a terra per rialzarsi un’altra volta, ma le braccia gli tremano, non può. 

Non può.

Terrore nero a bloccargli il corpo più dell’agonia delle ferite, il respiro più della fatica del combattimento; Eligor ride e lo sbatte contro il muro con un calcio in faccia, gli occhi senza vita della maschera che gli copre il viso luccicano, fissandolo, bloccandolo come un insetto trafitto da uno spillo contro la parete di mattoni sbrecciati. Gli spigoli si conficcano nella sua carne pesta.

‘Shun—’

Il grido disperato di Hyoga gli trafigge il cervello.

Come se le loro anime fossero in risonanza, molto più che sentire il Cosmo di Hyoga come quello degli altri Santi, condannato a sopportare ogni ferita inflitta alla persona che ama più della sua vita, più di suo fratello. Più di tutto. C’è un filo lucente che lo lega a doppio a Hyoga, senza possibilità di scampo, cresciuto battaglia dopo battaglia durante tutte le guerre sante. Si sono salvati a vicenda troppe volte, ed ora.

A me, ti prego, mille volte a me. Lascialo stare. Ha già sofferto abbastanza.

Ora non può fare niente, solo assistere impotente al suo massacro. Ancora colpi nella carne di Hyoga, portati alla velocità della luce, sente le sue stesse ossa scricchiolare.

Si tira su a fatica, facendo scivolare la schiena contro il muro freddo della scala che conduce al palazzo di Lucifero. Gli tremano le gambe,  un nodo gelido di paura gli torce lo stomaco. 

“Ti prego, Ti prego, Hyoga, resisti. Io. Farò lo stesso.” sussurra. Anche se la sua armatura è in briciole e le catene di Andromeda giacciono a pezzi sul pavimento del pianerottolo dove per un attimo si era illuso di aver intrappolato Eligor. La sua vittoria è durata l’attimo di un respiro, una serie di colpi secchi che sbriciolavano le maglie di bronzo e poi il Cosmo del demone l’ha fatto a pezzi. Non può farcela. Ma deve rialzarsi ancora. “Per Atena, Hyoga. Per Atena, ricordalo.”

Per me. Ti prego.

Si sorregge con la schiena contro il muro, ansimando, lo sguardo voltato in su, verso la serie infinita di gradini oltre i quali Hyoga è sparito, oltre i quali Hyoga sta combattendo per Atena e per la sua stessa vita. Sa che è pronto a sacrificarla per la vittoria. Sa che probabilmente dovrà farlo, come lui stesso, come ha già fatto Shiryu per fermare Belzebù. Il suo Cosmo è debolissimo, sul punto di sparire.

Eligor muove un passo verso di lui. Lui alza d’istinto le braccia a difesa del torace e della faccia, deve fare uno sforzo per mettere a fuoco il demone, quella maschera odiosa, l’esplosione di capelli giallastri dietro la sua testa.

“Perché resisti? Prolunghi solo la tua agonia. Ti accompagnerò volentieri per la strada che conduce all’altro mondo.” Le mani artigliate di Eligor scattano in posizione d’attacco, il colpo è come un’esplosione di luce sul viso, si sposta di lato per evitarlo, dita fasciate di metallo trapassano il muro dove un attimo prima c’era la sua testa, lo prende di striscio, gli spilla altro sangue. Nuovo dolore gli stritola il corpo, e non è il suo, non solo.

Rotola giù dalle scale di testa, senza riuscire a fermarsi, il corpo pesante come pietra, Eligor lo insegue ondeggiando sulle gambe troppo lunghe come la mantide di cui porta il Cloth. 

Il Cosmo di Hyoga brucia più del sole, consumandosi in un attimo di splendore accecante, questo. 

Questo è il suo ultimo colpo.

È finita.’

“Hyoga!” Urla ed Eligor è già sopra di lui, gli occhi senza iridi della sua maschera luccicano malevoli, i suoi artigli d’acciaio gli si conficcano nel torace indifeso, con un lampo di luce che lo acceca. 

Il Cosmo di Hyoga si affievolisce e scompare. Si interrompe la comunicazione fra i loro spiriti, tace la voce dolce di Hyoga nella sua mente.

Andato–

“Noooo!” Urla con la bocca piena di sangue, se lo sente colare sul mento; Eligor lo tira su di peso, impalato sulle sue dita d’acciaio, agonia lungo ogni nervo, ma non è quello che gli toglie il respiro, fissa il demone negli occhi d’argento, inerte in suo potere, incapace di muovere un solo muscolo per difendere sé stesso.

Può sopportare molte cose. Ma non un mondo senza Hyoga. La voce di Eligor, piena di echi, mette in fila suoni senza senso; la sua mano artigliata si illumina di energia, pronta a prendergli la vita.

Non cerca di fermarlo, non sa muoversi, il sangue congelato nelle vene come se quell’Aurora Execution avesse colpito anche lui. Non si opporrà al destino. 

Il suo destino giace senza vita pochi scalini più su. Tempo di raggiungerlo.

Eligor sogghigna sotto la maschera, la sua mano scatta in alto. Ci siamo. Socchiude gli occhi. Vedere è inutile .

Le piume blu della Fenice si conficcano nel polso di Eligor, ali di fuoco riempiono il cielo. La voce nota di suo fratello gli risuona nelle orecchie. 

Eligor lo scaglia a terra; dolore esplode in ognuna delle sue ossa spezzate, delle ferite che gli lacerano la carne, non è niente. Niente. 

Niente rispetto all’agonia che gli squarcia l’anima; il vuoto lasciato dall’assenza di Hyoga gli rimbomba in testa, interrotto quel contatto che per lui era tutto. 

“Sei qui fratello” sussurra. Gli manca la voce. Lui è stato soccorso. 

Hyoga no. Non è giusto. 

“Per salvarti come al solito. Hai qualcosa in contrario? Ikki sogghigna, parandosi fra lui ed Eligor. 

“No di certo.” Anche se si chiede a quale scopo aver salva la vita, se la sua vita se n’è andata assieme al Santo del Cigno.

Abbandona la testa sul pavimento freddo, steso sui gradini, gli occhi gli si oscurano, si sfoca la battaglia di suo fratello contro Eligor. 

A Ikki bastano due colpi, due soli, per annientare il demone in un bagliore di luce verdastra. Perché non può essere potente come lui, schiacciare i suoi nemici, proteggere quel che è più caro al suo cuore. 

Come riesce sempre a fare suo fratello. 

Hyoga sarebbe al sicuro fra le sue braccia, ora, stretto contro di lui. 

Invece se n’è andato. La sua vita interrotta troppo presto. 

Ikki si volta verso la scalinata infinita che porta al palazzo di Lucifero, già avviato verso il prossimo combattimento. Intoccato. Potente come il fuoco stesso. 

Si puntella sulle mani per rialzarsi, il suo corpo massacrato si rifiuta e ancor di più il suo spirito. Distrutto. 

Vorrebbe solo braccia che lo stringono, ma quelle braccia non ci sono più. 

“Aspettami. Fratello.” Alza una mano ma Ikki si avvia di corsa su per le scale senza voltarsi. Tende i muscoli lottando per sollevarsi; le braccia non lo reggono, crolla sui gradini senza fiato. 

“Aspettami.”

Non farmi passare da solo. 

Ikki è già lontano, non può perdere tempo con lui, lo sa. È il loro compito: sempre avanti, spendendo fino all’ultimo briciolo di energia rimasta, avanti. Trascurando tutto e tutti. 

A parte lei. 

Potrebbe dover essere costretto a passare a fianco al corpo esanime di Hoga, se fosse necessario per salvare Atena. Senza potersi fermare neanche un momento, uno solo, a controllare se c’è ancora battito nel suo cuore. 

Chiude forte gli occhi per trattenere le lacrime. Senza forza, senza fiato, senza.

Niente

Il buio lo inghiotte.

***

Fresco e leggero, come la neve. 

Ogni fibra del suo corpo in fiamme si rilassa, nell’abbraccio di quel Cosmo. 

“Shunー”

Lasciami dormire.

Lasciami morire.

Ti prego, è troppo crudele.

“Shun. Apri gli occhi.” Mani tremanti sulle spalle. Lo sollevano dalla pietra ruvida, nella stretta di braccia che conosce. Troppo bene.

La prima cosa che vede sono gli occhi di Hyoga, fissi nei suoi. 

“Hyoga.” Alza un braccio ad accarezzargli la faccia pesta, la pelle di Hyoga è tiepida sotto i suoi polpastrelli. Questo non sembra un sogno. 

Forse è morto pure lui. Lasciandosi andare al dolore, una fine da codardo. 

L’unica possibile. 

Per lui. 

“Dobbiamo andare. Atena ha bisogno di noi.”

Resta poco del Cloth del Cigno addosso a Hyoga, i suoi vestiti sono strappati e sporchi di sangue. Non sembra in grado di andare da nessuna parte, eppure ha già disceso ognuno dei gradini che lo hanno portato a lui.

“Hyoga. Hyoga. Ero sicuro fossi morto.” Lo tira verso di lui, appoggia le labbra sulle sue; a Hyoga scappa un singhiozzo strozzato, lo stringe forte tra le braccia, schiude la bocca per lui; sa di sangue e terrore. 

“Non potevo andarmene, mi chiamavi troppo forte.” Hyoga sorride, appoggia la fronte contro la sua. “ Mi hai salvato dall’aldilà un’altra volta.”

Scuote la testa. “Il tuo coraggio ti ha salvato un’altra volta.”

“No, tu.” La mano fresca di Hyoga sulla fronte, a spostargli i capelli impastati di sangue e sudore e polvere. “Tu sei quello che mi riporta sempre indietro. Io. Ero morto. Ero morto senza di te.”

Si guardano negli occhi; nella sua testa, dove prima c’era vuoto nero, si espande un calore tenero e trasparente. Non c’è più fatica, nè dolore, nè sconforto. Solo la presenza solida di Hyoga contro di lui. 

Chiude gli occhi per un attimo, immerso in quella luce. 

“Dobbiamo andare, Shun.” Hyoga lo bacia ancora e lui vorrebbe restare lì per sempre. Al sicuro. Ma il dovere chiama.

“Lo so. Anche se non vorrei.”

“Un ultimo sforzo.” Hyoga sorride. “Per Atena.”

Lui annuisce senza dire niente. Quello è il compito a cui hanno votato la loro vita. 

Ma alle volte fa così male che non sa come resistere. Vedere le persone che ha più care inzuppare la terra del loro sangue. Costretto a uccidere per non morire. Per proteggere chi ama di più al mondo.

Hyoga lo sostiene mentre si tira in piedi. “Ce la faccio,” sussurra. Pensa a te vorrebbe dirgli se non sembrasse sgarbato e ignorante. Ma Hyoga sta facendo una fatica terribile solo per tenersi dritto. Denti stretti, respiro affannoso. 

Il primo passo è complicato, deve fare uno sforzo per convincere il suo corpo a muoversi, Hyoga traballa stringendoselo contro, lui gli aggancia un braccio attorno al collo. Sostenendosi a vicenda. Un gradino dopo l’altro. 

Un giorno dopo l’altro, una battaglia e una battaglia ancora, sempre col terrore di perdere di nuovo la voce di Hyoga nella sua testa. 

Più atroce che perdere la vita stessa. 

“Non lasciarmi mai più.” Mormora, al sicuro nello sguardo di Hyoga, azzurro e sconfinato, come il cielo. 

“Nemmeno tu. Per sempre.”

“E oltre.”

Per il COWT, una fanfic allegra di Saint Seiya lmao. Shun pensa all’infanzia interrotta dei cavalieri di bronzo, ma soprattutto a lui

boys, interrupted

Interrotti, ognuno di loro. Interrotti da un uomo che li ha creati per distruggerli. Interrotta la loro infanzia, qualsiasi parvenza di normalità avesse potuto essere la vita all’orfanatrofio. 

Sparpagliati ai quattro angoli del mondo che erano ancora bambini, il loro piccolo gruppo disperso, ogni legame tagliato. Come perdere la famiglia per la seconda volta.

Peggio, per lui, che ha perso anche quel poco di famiglia che gli era rimasta. Ancora peggio per Ikki.

Ikki ha perso anche se stesso. 

Lui non sapeva ancora leggere quando ha estratto la sua sorte con un biglietto da una scatola di legno. E’ stato Tatsumi a decifrare per lui quei geroglifici allora incomprensibili, rivelandogli il suo destino. 

Non serve leggere per tirare pugni e calci. Serve solo resistenza. Coraggio. Potenza.

Qualità non sue. La sua vera forza risiede in altro, e sul campo di battaglia è più un impiccio che un aiuto. Ne è sempre stato consapevole. Non avrebbe mai potuto essere differente.

Frignone.

E’ un altro modo di dirlo. 

Quel giorno aveva pianto e urlato, chiamando suo fratello mentre lo portavano via, e c’erano voluti due uomini adulti per infilare Ikki nella lunga macchina nera che l’avrebbe condotto verso il porto e Death Queen Island. Pesto. Tramortito dai colpi di Tatsumi, così gli aveva raccontato Ikki anni dopo. 

Quel giorno la sua vita era stata interrotta, davvero, dalla mano lunga di Kido senior, governandolo. Governando ognuno di loro per le stringhe che li tenevano legati a lui. Gettandoli da soli nell’oscurità. A coltivare il Cosmo nel sangue e nel dolore, e se anche ora ne capisce il senso, e la necessità; capisce che quel lavoro qualcuno lo doveva fare, ed erano stati scelti loro perchè ne avevano le capacità.

Come hanno dimostrato. In abbondanza.

Vorrebbe comunque abbracciare ognuno dei bambini che erano stati, bambini interrotti, lanciati nel fuoco senza protezione se non la loro tenacia ad aggrapparsi alla vita, sperando che invece di bruciarsi ne sarebbero usciti temprati. Facile scommettere sulla testa di qualcun altro.

A otto anni non dovresti ammaccarti le ossa in allenamento, senza altra prospettiva che resistere un giorno e un altro e un altro ancora. Badando a te stesso, riportandoti a casa intero perché nessuno lo farà per te.

Frignone.

Ogni notte, all’isola di Andromeda, aveva pianto fino ad addormentarsi sul giaciglio duro, sfinito e dolorante, pensando al suo letto all’orfanotrofio, e alla mano di suo fratello che gli accarezzava la testa. E aveva pianto più forte all’arena, vedendo cosa fosse diventato suo fratello. Una bestia di violenza, il cuore annerito dal fuoco della Death Queen Island. Aveva pianto, ricordando quel bambino che era tutto per lui, a cui non era stata data la possibilità di essere un uomo decente. Sicuro di aver perso per sempre la persona che amava di più.

Interrotto.

Forse in modo più evidente di Seiya o Shiryu, addestrati da maestri apparentemente meno duri. Ma Seiya ha dovuto conquistare il suo Cloth di Pegasus in un’arena, ancor prima della Galaxian War, e cosa ha insegnato a Shiryu il sapiente dei Sette Picchi, se non a donare volontariamente la vita per la causa, ad affrontare ogni battaglia pronto al sacrificio finale, conscio che il suo attacco più potente conteneva in sè la sua peggiore vulnerabilità. Senza difesa nel momento decisivo, giocandosi a sorte la possibilità di essere colpito a morte durante l’offesa.

Nessuno di loro ne è uscito indenne. Scavati a fuoco, distrutti e ricostruiti in qualcosa che non dovrebbe nemmeno esistere. Troppo potere è pericoloso e purtroppo suo fratello ne è la prova vivente. 

E poi c’è lui.

Lui.

Gelido e splendente come il ghiaccio che comanda.

Congelato nei ricordi, barricato in quel cuore freddo, incapace di sgelarsi. 

Così forte, eppure basta un tocco a sbriciolarlo. A volte gli pare che Hyoga non sia mai riuscito a ricucire lo strappo, che sia rimasto quel bambino steso sul ghiaccio trasparente a versare lacrime sul corpo di sua madre, sepolta nelle profondità oscure del mare.

Lui non è madre e non ricorda di essere stato figlio, con Ikki è diverso. Non può nemmeno immaginare cosa abbia passato Hyoga. Desidera solo allungare le braccia a sufficienza per raccogliere quel bambino e portarlo dentro, al caldo, dove il vento non può entrare e la luce dorata gli fa brillare gli occhi.

Seduto a gambe incrociate su un letto qualsiasi della villa Kido, Shun alza il polso e lo ruota nella luce rosata del tramonto, ipnotizzato dai bagliori che esplodono su ogni minuscola sfaccettatura dei cristalli del suo braccialetto.

Cristallo di rocca. Trasparente e lucido come ghiaccio.

Perso nella polvere subito fuori dall’arena. Solo i suoi occhi a notarlo, le punte delle sue dita a pescarlo in mezzo al sudicio, a ripulirlo rivelandone lo splendore.

Suo.

Sospira lasciandosi cadere all’indietro sul cuscino morbido, incrocia le braccia sotto la testa. 

Vieni da me.