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Milo

Ngl non l’ho nemmeno riletto, ma il COWT ha le sue regole XD

Fandom:Saint Seiya

O3P: Milo/Hyoga/Camus

COWT 13 II settimana M3 prompt 13. Il rapporto mentore/allievo tra due personaggi. Ahem. Il rapporto c’è eccome

WWARNINGS leggere bene prima di fare polemica: threesome, begli uomini che si amano analmente, underage, spitroasting, p0rnografia esplicita, ultrap0rn

Please ENJOY

Le notti in Siberia sanno essere gelide

Allunga un piede fuori dalla coperta, l’aria ghiaccia gli morde le dita. Le notti in Siberia sanno essere gelide, uscire dal letto sembra una missione suicida, ma se non piscia nel giro di dieci minuti gli scoppia la vescica.

Tre, due, uno, prende un respiro profondo e scivola fuori dal nido delle coperte, calde del corpo di Isaac rannicchiato accanto a lui. Il gelo gli contrae la pancia, scappa verso il bagno a tentoni, se non si sbriga se la farà addosso.

Una lama di luce si spande da sotto la porta della stanza del maestro, chissà che sta facendo ancora sveglio. Forse discute con lo straniero giunto dalla Grecia l’altro giorno. Non ha capito bene ma dai brandelli dei loro discorsi sembra che ci siano problemi da risolvere al grande Tempio.

Non è certo cosa che lo riguardi. 

Glu ultimi passi verso il cesso li fa quasi correndo, in punta di piedi per non raffreddarsi troppo, la pietra gelida del pavimento gli rattrappisce gli alluci. 

Accende la luce fioca, si pianta a gambe divaricate di fronte al buco della turca; tira un sospiro di sollievo quando il getto del suo piscio colpisce l’acqua congelata, sollevando spire di vapore nella semioscurità. 

Finalmente. 

Si tira su le braghe e scivola fuori dal bagno; si incammina nel buio verso la stanza che divide con Isaac. Dopo tanti anni i suoi piedi sanno bene la strada. 

Un gemito fioco risuona nel silenzio totale, quando ripassa davanti alla stanza del maestro.

“Milo—“ un’invocazione sottovoce, la voce del maestro trema. 

Il cuore gli fa un salto nel petto. Ma che sta succedendo lì dentro? Che lo straniero sia venuto da così lontano per nuocere a Camus?

La porta della stanza è solo accostata, avvicina un occhio alla fessura. Dalla sua angolazione vede solo la faccia del suo amato maestro, contorta in una smorfia che non riesce a interpretare, il suo torace nudo.

Non sembra ferito. 

Si sposta per avere più visuale, attento a non fare il minimo rumore. Il maestro è steso sul letto, una mano aggrappata alle lenzuola sfatte; fra le sue gambe aperte c’è lo straniero, chino sul suo pube, i lunghi riccioli biondi sparsi sulla pancia pallida del maestro.

Non stanno certo combattendo. 

Gli diventa la faccia caldissima. 

Trattiene il fiato. Dovrebbe tornare alla sua stanza, dimenticare tutto questo. È disonorevole spiare l’intimità fra il maestro e il suo amico speciale, ma non riesce a distogliere lo sguardo dal viso squadrato dello straniero che si alza e si abbassa sul. 

Sul. 

Sulla virilità del suo maestro. 

Deglutisce a vuoto. 

Pensa alla mano di Isaac su di lui, sulla sua di. Oh insomma sul suo uccello, al calore che gli si raduna nella pancia prima di esplodergli in schizzi appiccicosi sulle dita. 

Questo è. 

Non avrebbe mai pensato che il maestro. E quello straniero alto e biondo, che tutto sembra tranne greco, che gli sorride con le palpebre abbassate mentre gli prende in bocca il—

Chiude gli occhi per un attimo, la mano gli scende fra le gambe. È. Duro, come quando lo tocca Isaac, o forse di più, alla vista di quei due. Uomini. 

Quei due guerrieri che hanno lasciato cadere le loro maschere stoiche, più nudi di quanto siano svestiti. 

Non ha mai visto il maestro perdere il controllo a quel modo. 

Tutto il suo corpo brucia, anche se l’interno della baracca è gelido; traballa e sfiora la porta, un cigolio straziante di cardini lo congela sul posto. 

Non riesce a muoversi nemmeno quando la porta si spalanca e inquadra lo straniero. È tutto nudo, i capelli biondi gli coprono le spalle e la schiena come un mantello regale. I suoi occhi tempestosi lo ipnotizzano, il suo uccello ritto punta verso di lui come un’arma. 

Apre la bocca ma non ha niente da dire. 

Lo straniero fa un sorrisetto malizioso. 

“Ti prego—“ geme lui, senza voce. 

“Camus? Indovina chi c’è qui?” Lo straniero si volta verso il suo maestro.

Gli tremano le ginocchia. Non avrebbe mai dovuto fermarsi contro questa maledetta porta. Ora è nei guai più seri di tutta la sua vita.

Sente il letto cigolare, intravvede il maestro avvicinarsi, dietro le spalle larghe dello straniero. Ondate di caldo e freddo lo percorrono, cerca qualcosa da dire ma non gli viene niente, anche la sua lingua è paralizzata, mentre il maestro divora la stanza in tre passi, nello svolazzare feroce dei capelli rossi fuoco. I suoi occhi allungati mandano fiamme, sposta di lato lo straniero con un gesto brusco e si ferma a gambe divaricate davanti a lui. 

“Hyoga—“ La sua voce è più gelida del ghiaccio, alza un pugno verso di lui. 

“Scusate,” geme; cade in ginocchio di fronte al maestro, la voce gli si blocca in gola. È tutto finito, l’ha combinata troppo grossa. Ora il maestro lo caccerà dalla sua casa, interromperà la sua formazione. Non diventerà mai un santo di Atena. China la faccia a terra e non sa dire altro. 

Il maestro lo prende per i capelli, è costretto ad alzare la testa, a guardarlo negli occhi, rossi come il sole al tramonto quando si inabissa nel mare del Nord. “Che ci facevi lì?” Gli chiede fra i denti.

“Io—“ Deglutisce cercando di scollare la lingua dal fondo della bocca. “Io stavo tornando dal bagno. Ho sentito dei rumori. Temevo che—“ si ferma. Come fa a dire che per un attimo ha creduto che la vita del maestro fosse in pericolo. Ha creduto che sarebbe stato in grado di difenderlo da quell’uomo teso di muscoli, venuto direttamente dalla Grecia.

“Temevi che?” Il maestro non lascia la presa sui suoi capelli, si ritrova con la bocca troppo vicina al suo. 

Al suo. 

È umido, ancora duro. Roseo contro la pelle pallida delle sue cosce.

Chiude gli occhi. Magari ora si sveglia di fianco ad Isaac, stretto nel suo abbraccio. Col bisogno urgente di pisciare. Stavolta torna dritto alla loro stanza.

Ma quando li riapre lo sguardo del maestro è ancora fisso nel suo. 

“Temevo che quest’uomo—“

“Milo,” interviene quello sorridendo. “Temevi volessi fare del male a Camus?”

Annuisce senza dire niente, si sente la faccia molto calda. 

“Ma che carino.” Milo ridacchia. “Vedi, era preoccupato per te.”

Gli occhi del maestro non si ammorbidiscono. “E allora perché non sei tornato alla tua stanza quando ti sei reso conto che—“ fa una pausa lunga, distoglie lo sguardo per un attimo. “Che era tutto a posto?”

“Oh, anche troppo a posto.” Milo dà di gomito al maestro, l’altro si volta di scatto aggrottando le sopracciglia. 

“Non ti ci mettere anche tu.”

“Forse perché gli piaceva quello che stava vedendo.” Milo ridacchia,

Sotto i suoi occhi si sente, un insetto trafitto da uno spillo. Gli si fermano in mezzo alle gambe.

È ancora duro, lo sente. Di sicuro si vede sotto il tessuto fine delle braghe. Non dice nulla, cerca solo di abbassare la testa, ma le dita del maestro sono ancora intrecciate ai suoi capelli. 

“Sì?” Ammette con la voce tremante. 

Il maestro allenta la presa su di lui, è libero di abbassare di nuovo la faccia anche se non è sufficiente, vorrebbe morire, scomparire sotto metri di terra e ghiaccio e mare, non è più degno di guardarlo in faccia. Mai più. 

“Vai nella tua stanza. Domani torni in Giappone.” 

Annuisce senza alzare la testa. È giusto così. L’unica soluzione possibile.

Lo straniero fa un passo verso di lui, una mano tiepida gli accarezza la guancia. “Ma dai Camus, esageri. In fin dei conti ti ha fatto un complimento.” Gli fa alzare la testa, i suoi occhi sono chiari, trasparenti. Lo scavano dentro. “Pensi che il nostro Camus sia bello?”

Nostro? 

Annuisce, guardandolo fisso, perché è vero, perché cerca sempre di rubare di sottecchi un’occhiata del suo maestro. Perché Camus è l’uomo più affascinante che abbia mai visto. Così fiero. E tanto a questo punto non ha niente da perdere.

Domani sarà in Giappone. Sconfitto. 

Milo ride. “Hai buon gusto, ragazzino. Lo penso anch’io.” 

“Milo!” Il maestro ha ancora la faccia arrabbiata, ma forse le sue sopracciglia sono un pochino meno aggrottate di prima.

“Mettiti nei suoi panni, Camus. Nel pieno della tempesta ormonale, qui segregato nel nulla a prendere a pugni ghiacciai ed orsi.”

“Non lo abbiamo fatto tutti?” La voce del maestro è gelida. 

“Certo, ma ognuno di noi ha trovato il suo sfogo.” Milo ride ancora. “Almeno io, o sarei esploso. E anche tu mi pare.” 

“È inutile discuterne ora,” borbotta il maestro. Poi lo guarda fisso. “Torna a dormire Hyoga; domani deciderò cosa fare a mente fredda.”

“Sì signore,” mormora e cerca di chinare la testa in segno di rispetto, ma la mano di Milo lo trattiene. 

“Perché non resti invece?”

Il maestro si volta di scatto verso il suo amico. “Che ti viene in mente?”

Milo fa un mezzo sorriso saputello. “Sei crudele, Camus. Ha appena ammesso che gli piacciamo, e tu vuoi mandarlo  via così. guarda cos’ha in mezzo alle gambe.” 

Sussulta e si chiude le mani in grembo. Ma è troppo tardi. Il maestro fa un verso sfastidiato. “Fuori discussione. Hyoga è troppo giovane per queste cose.”

“Abbastanza grande per togliere la vita a una persona ma troppo giovane per una battaglia fra le lenzuola? Ti stai sentendo, Camus?”

Camus sospira. “Hyoga non ha mai ucciso nessuno. A parte qualche orso.”

Chiude gli occhi, le loro voci gli rimbombano in testa. Resterebbe davvero se Camus fosse d’accordo? È inutile persino pensarci. Lui non glielo permetterebbe mai. 

“Ma quanto ci vorrà prima che accada? Credi che non sarà chiamato al suo dovere quando sarà il momento?”

“Solo se sarà un Santo per quel giorno. E continuando così subito che ci arrivi.” Camus toglie la mano di Milo dalla sua faccia. “Tornatene a letto, Hyoga.”

Le parole del maestro lo colpiscono come staffilate, ma non riescono ad acquietare il fuoco che Milo gli ha acceso dentro 

Perché non ti fermi invece? 

Per un attimo fugace prova ad immaginarsi fra quei due. Che cosa gli farebbero? Il maestro, bello e delicato come una donna, e quello straniero alto e massiccio dai capelli d’oro. Lo ha visto prendere in bocca il maestro, e il suo viso sfarsi nel piacere. Chissà cosa si prova, lui conosce solo le mani ruvide di Isaac, sbucciate dagli allenamenti. 

L’odore selvatico del membro del maestro, ancora troppo vicino alle sue labbra, gli manda il cervello in pappa, L’impulso di. 

Assaggiarlo. 

Succhiarlo.

Sentirselo in bocca. 

È troppo forte.

Non può resistere. 

Guarda negli occhi il maestro, poi Milo. La disperazione gli monta dentro al pensiero che dovrà alzarsi e andarsene, ora. 

Non può rischiare è già stato graziato una volta, forse se è in grado di resistere e tornare alla sua stanza domani il maestro avrà sbollito e gli permetterà di restare fino alla fine dell’addestramento. 

Annuisce. 

Si alza in piedi, gli tremano le gambe e non è il freddo. 

Milo si china su di lui, gli prende la faccia fra le mani e appoggia la bocca sulla sua. È tiepida e morbida, non sa sottrarsi al contatto. 

Non credeva fosse così. Bello. Lascia penzolare le braccia lungo i fianchi e socchiude le labbra alla lingua di Milo, gli sembra che cadrebbe, se non ci fossero le sue mani gentili a sorreggerlo. 

“Ma che fai!?” Il maestro prende ognuno di loro per una spalla, come per provare a dividerli, ma Milo gli si fa più addosso, gli affonda le dita nei capelli, non riesce a respirare e ansima, cercando aria, o forse è quel bacio. Che gli fa tremare tutti i nervi. 

“Basta ho detto. È il mio allievo, è mia la responsabilità su di lui.”

Milo si fa indietro, un sorriso indisponente gli stira le labbra. “Solo di addestrarlo o anche di mantenerlo illibato?”

Il maestro aggrotta le sopracciglia e lui sa che è peggio che morto. “Domani ve ne andate tutti e due.”

Gli occhi azzurri di Milo catturano i suoi. “Non ascoltare zio Camus. È nervoso perché non gli ho ancora dato la sua mercede.” 

“Ora basta. Io me ne torno a letto. Trovati un altro posto dove dormire, Milo, questa stanza è troppo piccola per tutti e due.”

Il maestro si volta, piccato, torna verso il letto. Milo gli fa l’occhiolino. “Sai che sei carino, ragazzetto? Sai di buono.”

Lui lo guarda frastornato. “Ma signor Milo—“

Milo si sganascia. “Signor Milo? Hai sentito Camus???”

“Non voglio più sentire niente.” Il maestro si siede sul bordo del letto, con i piedi appoggiati a terra. “Soprattutto tu, Milo. Da te non mi aspettavo una cosa del genere. Hyoga è giovane, e sconsiderato. Ma tu—“

Milo lo prende sottobraccio e praticamente lo trascina di fronte al maestro. I suoi capelli gli solleticano la spalla nuda, sono più morbidi di un gattino, profumano di fiori selvatici e miele. 

Dovrebbe svincolarsi e uscire da quella porta, davvero, lasciare il maestro e Milo ai loro giochi d’amore. 

Ma ormai non può, perché si vede già in mezzo a loro. 

Milo si inginocchia ai piedi del maestro, gli appoggia un bacio sulla coscia bianca. 

“Milo!”

“Camus. Fra qualche giorno dovrò andarmene. Cerchiamo di non passare tutto il tempo a litigare.” La voce di Milo suona melliflua. Le sue mani sembrano molto grandi, e abbronzate, sulle ginocchia lattee del maestro. Preme per fargli aprire le gambe ma il maestro resiste.

“Il problema è che sei uno stronzo. E io non ho abbastanza forza di volontà, apparentemente.” 

Milo ride e dà uno strattone, riesce a separare le cosce del maestro quanto basta per tuffarci la faccia in mezzo. 

“Milo—no-h.” La voce del maestro si spezza in un singhiozzo. La mano di Milo sale ad accarezzargli il torace nudo, il collo, la guancia. Il maestro socchiude le labbra e si abbandona a quel tocco.

Fissa la curva morbida della sua bocca; muore dal desiderio di baciarlo e non sa muoversi dal punto esatto dove Milo l’ha lasciato. 

Ma poi gli occhi del maestro cercano i suoi. “Hyoga.” Chiama piano. 

Si avvicina, abbassa lo sguardo.  “Devo andarmene?” Chiede con un filo di voce. 

Il maestro non dice nulla, caccia un respiro spezzato. “Tu—“ si lecca le labbra. “Oh, abbozzala Milo vedi che hai raggiunto il tuo scopo?”

Milo appoggia il mento sulla coscia del maestro con un sorriso malandrino. Un filo di saliva gli cola dalla bocca. 

“È un lavoro difficile addestrare i Santi di Atena, Hyoga. Io.” Il maestro distoglie lo sguardo. “Io l’ho scoperto con te più che con ogni altro, anche se non ho molta esperienza.” Scuote la testa, alza una mano ad accarezzargli la faccia. 

È la prima volta che il maestro ha un gesto così tenero, gli sale il cuore in gola. 

“Sempre combattuto,” mormora il maestro, “fra consolarti e prenderti a calci nel didietro per farti andare avanti. Fra colpirti. E baciarti.”

Qualcosa gli si spezza nel cervello. Si sente gli occhi pizzicare. Camus se lo tira contro e appoggia le labbra sulle sue.

Gli cade addosso con un gemito strozzato, affonda le mani nei suoi capelli di fuoco, freschi e lisci come la seta. Affonda nella sua bocca senza ricordarsi di respirare, non c’è più niente da capire, niente da aspettare, si perde nel mondo del suo maestro, non è gelido.

È più rovente della lava. 

“Maestro—“ mugola nel bacio e gli sembra di recitare una preghiera, un atto di devozione verso quell’uomo che per lui è tutto, che gli ha insegnato tutto quel che è e che sa senza risparmiarsi. 

Ed ora sta per impartirgli l’ultima lezione. 

Per farlo diventare uomo. 

Il maestro si tira indietro; insegue le sue labbra ma lui lo trattiene, mani callose, gentili sulle guance. “Hyoga, guardami.” 

“Maestro—“ non sa dire altro, tutto il suo mondo ora è li, negli occhi pieni di fuoco del suo mentore.

“Io non so se questo sia giusto. Non credo. Ti stai mettendo in pericolo, non puoi portare i sentimenti nella lotta. È un altro punto debole per i tuoi avversari.”

Milo fa un verso sfastidiato. “O la marcia in più che ti regala la vittoria. E lo sai, Camus.”

“Taci, Milo. Non ci voglio pensare.”

Non sa di cosa stiano parlando, ma il maestro ha gli occhi all’improvviso lucidi. 

“Io credo. Io credo che il signor Milo abbia ragione, signore.” Odia il suono tremante della sua voce, ma è vero. È il pensiero di mama adorata che lo ha sostenuto fino a qui. 

Milo ride, si sporge e fa correre la lingua lungo il suo braccio nudo. “Allora direi che siamo a posto. Che ci fai ancora vestito, ragazzino?”

Sussulta. Si è spogliato mille volte di fronte al suo maestro, per farsi controllare lividi e ferite. Per lavarsi. O semplicemente per cambiarsi in fretta i vestiti fradici dopo una nuotata. 

Ora è diverso. Davanti a lui si sente dolorosamente consapevole di ogni centimetro di pelle che dovrà scoprire presto. Terrorizzato e impaziente allo stesso tempo.

Ma non ha il tempo di pensarci, il maestro lo attira fra le sue gambe, Milo si fa indietro per farlo passare e gli aggancia la cintura delle braghe, la fa scendere quel tanto sufficiente per appoggiargli un bacio umido sulla pancia scoperta. Un altro e un altro, e un altro ancora, su ogni centimetro di pelle che gli scopre spogliandolo. Finché raggiunge la chiazza di pelo rado che gli è spuntata da poco sul pube, ci affonda il naso, appoggia la bocca alla base del suo uccello. 

Il suo corpo si inarca, fuori controllo, ricade addosso al maestro che gli sta sfilando la maglietta da sopra la testa. Le carezze delle sue mani tiepide sul torace lo mandano a fuoco, trema ai graffi leggeri delle sue unghie acuminate, rosse come il sangue. Sente le sue labbra sul collo, il suo respiro affrettato nell’orecchio, rovescia la testa sulla sua spalla, gli dà accesso a tutto. Tutto quello che il maestro vuole. 

La bocca rovente di Milo si chiude sul suo glande, perde il fiato in un singhiozzo acuto, in balia di quello straniero che lo divora poco a poco è necessario cedere il controllo. Sul suo corpo stretto addosso al maestro, sulla voce che gli si spezza in un gemito roco, sul suo uccello, duro come mai nella sua breve vita, scoppierà fra poco se non.

Se non.

Il maestro gi prende fra le dita un capezzolo, accarezza e tira e gli fa perdere il senno, non può più resistere, non può fermarsi, spinge le anche contro la faccia di Milo, ruvida di barba, anche se dovrebbe farsi indietro, dovrebbe togliersi dalla sua bocca così morbida, dalla sua lingua che gli accarezza cerchi languidi lungo tutto.

“N–no. Signor.” Non riesce più a respirare, stringe i denti, stringe. Tutto e forse non sarà abbastanza.

“A Milo piace,” gli sussurra il maestro nell’orecchio. “Vieni per lui, Hyoga.”

È

Troppo. 

Chiude gli occhi.

Milo se lo inghiotte intero, lo succhia, forte.

Grida, si aggrappa ai suoi capelli tutto crolla e precipita verso quel punto rovente che ha in mezzo alle gambe, al sicuro nella bocca di Milo, può.

Venire.

In lunghi schizzi che gli tolgono le forze. Si abbandona contro il maestro, al sicuro nella stretta delle sue braccia forti. 

Milo deglutisce, laboriosamente, si lecca le labbra con un sorriso sfatto. 

“Bravo ragazzino,” sussurra alzandosi. Si china sul maestro, gli prende la faccia fra le mani e lo bacia. Per un tempo che sembra molto lungo. “Vuoi giocare ancora?”

Alza la faccia, gli occhi di Milo sono pieni di stelle.” Non sa cosa rispondere, troppo molle per capire qualcosa. Il maestro lo fa scivolare sul letto di peso, lui si allunga fra le lenzuola spiegazzate. Profumate di loro due.

“Sì,” dice sottovoce. 

Stavolta è Milo a prenderlo fra le braccia, a baciarlo fondo, riassaggia il proprio sapore sulla su lingua e già non sta più capendo niente. Poi sente una mano che si stringe sul suo uccello ancora duro, il tocco di unghie aguzze.

La punta di una lingua calda che lo accarezza, giù, dietro il sacchetto teso dello scroto e fra le mele del sedere.

“M–maestro,” ansima, cercando di tirarsi indietro. 

“Sst.” Milo gli accarezza il labbro col pollice. “Ti piace?”

Annuisce anche se ha paura di ammetterlo, persino con se stesso. Ma gli piace, quella lingua che lo esplora, fermandosi a lisciare una ad una tutte le rughette del suo.

Quindi poi il maestro. Entrerà? In lui? Rabbrividisce, il pensiero gli fa bruciare il cervello al calor bianco, singhiozza e si abbandona, cede alle sue carezze bagnate, si lascia penetrare poco a poco. Il maestro conquista la sua volontà, lasciando dietro a sé solo terra bruciata.

Milo lo bacia ancora, annulla la sua volontà. Di nuovo senza fiato, di nuovo rigido sotto la mano del maestro che lo accarezza lentamente. 

“Milo, l’olio per favore.” La voce del maestro è un mormorio dolce, sente la sua lingua sullo scroto, incontra il rosso brillante dei suoi occhi mentre si sporge a prendere la boccetta di vetro iridato dalla mano di Milo. E tiepido e gli fa frizzare la pelle, ansima più forte nella bocca di Milo quando un dito scivoloso del maestro penetra la barriera tesa di muscoli del suo.

Brucia e frizza, emette un verso spezzato e stringe. Ma non può resistere alle carezze lente del maestro, dentro e fuori, allargandosi gentilmente una strada dentro di lui. Un altro dito e lui lo accoglie, si inarca contro le dita di Milo che gli stuzzicano i capezzoli, impotente sotto quel massacro dolce. Milo gli sorride.

“Sei pronto?”

“N-nh.” Cerca di degluitire ma ha la bocca troppo secca. “Voglio. Voglio. Quello che tu mi hai fatto, io.” non riesce a mettere in ordine i pensieri o le parole, solo che vuole inginocchiarsi davanti a quell’uomo forte, e gentile, e resignare la sua resa a lui come già si è arreso al suo maestro. Vuole affondare la bocca sul suo uccello e sentirsi. 

Uno.

Con loro.

Milo fa una smorfia divertita. “Voltati, allora. E mettiti carponi.”

Obbedisce, lottando contro il proprio corpo improvvisamente goffo, si china sul. Sull’odore selvatico di Milo, prende in mano il suo uccello, è grosso e scuro, fa scivolare giù la pelle e prende la punta in bocca. È salato e pulsa contro le sue labbra, lo tiene stretto fra le dita, come farebbe con Isaac, lecca attorno al glande. È buono. O forse no. Non lo sa più, sa solo il bisogno di prenderlo in bocca più a fondo., finchè gli tocca il palato. 

Non vede più il maestro, nascosto dietro di lui, ma sente le sue dita che lo esplorano, fanno cedere l’ultima tensioe e poi cè qualcosa di più grosso e morbido, e scivoloso e caldo che si appoggia con dolcezza contro il. Buco del suo culo.

“Lo vuoi?” Chiede il maestro sottovoce, premendo appena.

“S-ih–” mugola senza fiato, strozzato dall’erezione di Milo. 

Il maestro entra, un pochino, ed è dolore. Ed è piacere che gli fa perdere il senno e la voce in un grido roco. Cola saliva sull’uccello di Milo, strizza lacrime dagli angoli degli occhi. Un altro po’. Il suo corpo non capisce e si contrae, si ritira anche se vorrebbe. Vorrebbe.

“Ti faccio male?” 

Annuisce, chino su Milo. 

“Devo smettere?”

La domanda del maestro buca la nebbia fitta che gli ottunde il cervello.

No!

Scuote la testa con forza. Il respiro di Milo si fa più veloce. Il maestro lo incalza, gentilmente, da dietro, tenendolo per le spalle. Gli scappa una serie di singhiozzi quando sente tutta la punta dentro ed il suo corpo finalmente adattarsi alla sua forma. Succhia Milo, accoglie dentro di sè il maestro senza più dolore, solo.

Fuoco Che lo consuma, lo riduce ad un groviglio ansimante di piacere, cedevole sotto le spinte gentili del maestro, affonda più la bocca l’uccello di Milo, vuole tutto. Pieno fino all’orlo dei due uomini più importanti della sua vita. Preso nel mezzo e non vorrebbe essere da nessun’altra parte. 

“Non durerò ancora tanto,” sussurra Milo.

“Nemmeno io.” la voce del maestro, da dietro, è spezzata, il suo respiro veloce. Non dice niente, solo gli esce di bocca un ruglio da animale, pieno di vocali, perchè anche luì è così vicino, ancora. Ancora un attimo. Il maestro lo tira su, stretto contro di lui, impossibilmente pieno per un attimo infinito. Sente il seme caldo del maestro riempirlo a ondate, lo segue, gli schizza quel poco che ha sulla mano. 

Vede Milo accarezzarsi un paio di volte, un arco bianco di sborra atterrargli sul petto abbronzato.

Poi crolla al suo fianco, ancora stretto al maestro.

Intrappolato fra i loro corpi sudati, la testa vuota, le orecchie gli rimbombano. Li sente dire qualcosa, il tono è tenero. Sorride. Qualcuno lo bacia gentilmente sulla bocca, braccia forti lo tengono stretto.

Le notti in Siberia sanno essere gelide.

Ma il letto del maestro è molto caldo.