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Bad rendition del Roscio in doll form xD

[…]

Sarà che il Roscio ha quel sorrisetto del cazzo che ti fa capire che lui sa un monte di cose in più di te, cose che nemmeno ti immagini, pivello. E che la legge comune a lui non si applica.

Il Roscio può vestirsi come stracazzo vuole (e infatti non si è mai visto con una cravatta addosso, anche se farebbe parte del dress code). Il Roscio può fumare in ogni ufficio malgrado gli onnipresenti segni di divieto, e a farli rispettare è nientemeno che WuMig. La voce rauca e sgarbata del Roscio si sente da un capo all’altro del Dipartimento Affari Speciali e nessuno gli dice mai di abbassare il tono. Quel mezzo falsetto del cazzo.

Sempre sopra le righe, agendo d’impulso, rompendo le regole e i coglioni, scivolando fuori dalle situazioni incresciose col suo sorrisetto mangiamerda e il suo passo strascicato. Il Roscio è sempre nel suo elemento. Il Roscio è il migliore, e lo sa lui come lo sanno gli altri.

Non stavolta.

Per niente. 

Spera almeno che ci voglia poco.

Per la settimana 5 del COWT, M3, prompt:triangles ancora una ff Saint Seiya Ikki/Hyoga/Shun ambientata dopo l’incendio della baita e il salvataggio di Shun da parte di Ikki ricomparso per miracolo.

NOTA: il mio main canon sarebbe Shun/Hyoga con Ikki che approva ma questi tre sono troppo carini assieme

WARNINGS: incesto, tecnicamente underage perché hanno rispettivamente 15, 14 e 13 anni secondo l’anime, ragazzini teneri che si baciano. NONULTRAP0RN FOR ONCE only feels

3043 parole

Tre di tre

“Credo che questo sia tuo.” La voce di Ikki lo blocca a metà del corridoio delle camere. 

Si volta lentamente; sentire quella voce dal nulla ha tuttora il potere di fargli perdere un battito. Il loro combattimento nelle Alpi è ancora vivido nella sua testa; Ikki è andato troppo vicino a fermargli il cuore per sempre. 

Per fortuna mama l’ha protetto. 

Il sorriso di Ikki ha una piega amara, vulnerabile. Sul suo palmo proteso balugina il rosario di Mama. 

“Ikkiー” 

“È tuo no?” Ikki estende di più il braccio, ora il rosario è proprio sotto il suo naso. 

Gli trema la mano mentre lo raccoglie dal palmo tiepido di Ikki. “Sì.” Se lo fa passare fra le dita, riassapora la sensazione delle perle lisce contro la pelle. 

Il rosario che gli ha salvato la vita. 

“Ce l’avevi addosso quando abbiamo combattuto?” 

Annuisce, abbassa la testa. “Mi ha protetto più del Cloth. Se non ce l’avessi avuto sarei morto.” 

Ikki risucchia un respiro e lui si rende conto di quello che ha appena detto. “Non potró mai rimediare al male che vi ho fatto. Ho rischiato di uccidervi tutti. Voi. Mio fratello. Non dovrei essere degno nemmeno di parlarvi.”

“Cos’altro devi fare Ikki? Ti sacrificato per noi su quella montagna, seppellendoti sotto la frana con Docrates. Ci hai salvato la vita col tuo potere.”

Ikki stringe i pugni lungo i fianchi, le sue labbra si arricciano di rabbia. “È il minimo,” sibila fra i denti stretti. 

La sua mano atterra sulla spalla di Ikki. Muscoli tesi sotto la maglietta blu. “Noi ti abbiamo perdonato, Ikki, ora sei tu a dover perdonare te stesso.”

I suoi occhi scuri si spalancano e Ikki piega il braccio destro, gli mette il pugno a un centimetro dal naso. Lui d’istinto si ritrae. 

“Lo vedi, Hyoga? Con questa mano ho cercato di trapassarti il cuore.”

Rabbrividisce. Lo sa. Anche troppo bene. Sente ancora nel petto quel dolore atroce. Ma. 

Ma. 

“Non eri tu quella persona. Davanti a me ora c’è il compagno che ha dato la vita per difenderci da Docrates. Che ha salvato suo fratello e Atena dalle fiamme di Genka. Non il re dei Santi Neri. Lui si è perso fra le nevi delle Alpi e non tornerà mai più.”

“Quindi per te è tutto a posto?” 

Le sue dita si contraggono sul rosario. Gli sta tutto stretto nel pugno. Riapre la mano subito, la alza perché Ikki possa vedere la catena di perle, sottili e grosse. Un’alternanza perfetta. “Dove l’hai trovato?” gli chiede. 

Ikki inclina la testa di lato, le sopracciglia aggrottate come se non riuscisse a capire bene. “Era fra la terra smossa quando sono. Riemerso. Vicino ad una croce fatta con dueー” Si blocca, spalanca la bocca. “Tu?”

Sorride. “Speravo che mama ti proteggesse come aveva protetto me. Pare che abbia funzionato.”

Ikki apre le labbra, ma non esce nessun suono. Lo guarda fisso. “Perché?” Riesce ad articolare alla fine. 

“Da quanto ci conosciamo Ikki?”

Di nuovo Ikki rimane zitto molto a lungo, gli sembra quasi di sentire il ronzio affannato delle rotelle dentro il suo cranio mentre cerca di fare il conto. 

“Te lo dico io: da sempre. E a parte quei giorni bui, ti ho sempre visto agire in modo onorevole.” Gli stringe la spalla, Ikki spalanca gli occhi. “Per me eri, e sei, quello che ha cercato di salvarci la vita. Non di togliercela.”

È vero. Si ricorda ancora la sua incredulità, alla rivelazione che proprio Ikki era il guerriero oscuro, intenzionato a sottrarre il Cloth d’oro durante le Guerre Galattiche. Pronto a uccidere suo fratello, Shun, senza ripensamenti. 

E quando Ikki ha affondato il pugno nel suo stesso petto, forando il bronzo del Cloth del Cigno per strappargli il cuore, in mezzo ai crepacci delle Alpi. Lì ha dovuto crederci, ha cercato lui stesso di ammazzare Ikki. Convinto che per lui non ci fosse speranza. 

Ma tutto il suo spirito si ribellava a quel compito. 

Anche se era questione di vita o di morte. 

La sua. 

E lui non è come Shun. 

“Grazie.” Ikki china la testa, copre con la sua  la mano con cui gli stringe la spalla. 

“Grazie a te. Non sarei qui a parlare con te se non avessi letteralmente fatto crollare la terra sotto ai piedi a Docrates.”

“Io vi avevo cacciato in quel pasticcio.” La voce di Ikki è un borbottio roco sotto i capelli scuri scompigliati. 

“E tu alla fine ce ne hai tolti, rischiando tutto.”

“Hyogaー“

“Ikki! Io mon so cosa avrei fatto al tuo posto, dopo un addestramento così terribile.” Si ferma, aspetta una risposta, qualcosa, dalla testa ancora china di Ikki. Quando non succede niente, si fa scivolare il rosario attorno al polso e gli prende la faccia con entrambe le mani. “Guardami.”

Ikki obbedisce, e nei suoi occhi c’è uno sguardo strano. 

“Ikki.”

Ikki scuote la testa. “Perché ti prendi questo disturbo per me?”

Che razza di domanda è?

Non sono fratelli di destino? 

“Perché sei uno di noi. E io credo in te.” 

Ikki succhia un respiro convulso e rimane immobile per un attimo, congelato come se lui gli avesse scatenato contro il proprio Cosmo di ghiaccio. Poi fa un passo avanti e lo strizza fra le braccia. 

Ora è il suo momento di bloccarsi. Gli serve un attimo per ricambiare l’abbraccio. 

Stretto. 

Rimangono aggrappati l’uno all’altro, senza dire niente. Ikki è caldo, il suo corpo solido e teso si rilassa piano contro di lui. 

“E bello riaverti indietro.” Si sente tremare la voce più del dovuto. Le braccia di Ikki si stringono di più attorno al suo torace. 

“Grazie che mi ci hai riportato tu.”

Che?

E poi gli torna in mente lo specchio di ghiaccio che rimbalzava lo Shoo Genma Ken di un re rabbioso, gli occhi sbarrati di Ikki mentre tutto il suo addestramento tornava a galla. 

La rabbia che gli faceva stringere i denti alle parole spezzate di Ikki. la pena per quel compagno, intrappolato per anni in un incubo. 

Le lacrime di Shun, la sua catena ostinata che saettava giù per il crepaccio, per riportare Ikki alla luce. 

Ikki sarebbe morto. In fondo a quel burrone, o per mano sua, era troppo il suo desiderio di vendetta, a ferita ancora calda. 

Quel colpo che non gli ha trapassato il cuore per miracolo. Perché esiste un dio e quel dio l’ha protetto col rosario di mama. Come se ognuna delle sue preghiere gli avesse fatto scudo, ognuna di quelle perle un pensiero d’amore per lui. 

“Ringrazia il tuo fratellino,” risponde sottovoce. “Se non fosse stato per luiー”

“Mi avresti ammazzato?”

Annuisce, cercando le parole. “Forse si. E poi lo avrei rimpianto per tutta la vita.” Si ferma, cercando di sostenere lo sguardo di Ikki, ma è difficile. Ci legge troppa colpa. Fa un mezzo sorriso ma sa che gli esce storto. “Ci saremmo ammazzati a vicenda se non fosse stato per lui.”

Ikki annuisce. “Non so perché, ma dei due è mio fratello quello uscito bene.”

Scuote la testa, abbraccia ancora Ikki, forte, per non vedere più il tormento che gli storce la faccia. Sperando magari che nel suo abbraccio i lineamenti di Ikki riescano a distendersi. 

“Non è quello, Ikki. È Shun che è speciale.”

Aspetta. 

Cos’ha appena detto. 

A Ikki, poi. 

Ikki lo prende per le spalle, lo spinge indietro, gli pianta in faccia gli occhi scuri, taglienti come coltelli. 

Merda. 

“Lo credi anche tu?” Chiede a mezza voce. 

“Sì.” China la testa, aspettando un colpo che non arriva. 

Ma Ikki si limita a sospirare e lui alza la testa cercando il coraggio per incontrare il suo sguardo. Ikki sta sorridendo, è davvero strano. Un sorriso molto tenero e lui rivede Shun nella piega delle sue labbra. 

“Pensavo fossero fisime mie. In fin dei conti l’ho tirato su da solo finché non siamo finiti. In questa. Cosa.” Ikki fa un sacco di pause. 

“Non lo sono, stai tranquillo.”

“Allora mi capisci se ti dico che ho paura per lui.”

Annuisce. La stessa paura che gli torceva la pancia mentre correva assieme a Shiryu verso il rogo della baita. Il suo cuore si era fermato per un attimo lunghissimo, alla vista di Ikki che portava Shun fuori dalle fiamme. Inerte. 

Shun è sempre stato il piccolino del gruppo, sebbene non sia esattamente cosi. Seiya, a dirne una, è più grande di lui solo di una manciata di mesi. Ma c’è qualcosa di impalpabile che lo circonda, una specie di innocenza difesa a caro prezzo. Una vulnerabilità inadatta a un Santo. Per alcuni una mascotte, per altri una preda facile su cui sfogare le proprie frustrazioni. Per Ikki il mondo intero, a giudicare da come lo ha sempre difeso da chiunque cercasse di fargli del male. 

E per lui?

Lui ha rispetto per Shun e basta. 

Shun non si è mai tirato indietro, malgrado la sua inabilità palese a sostenere scontri più impegnativi di una scaramuccia sul ring pentagonale della Graude Arena. E non perché non sia abbastanza forte, il suo Cosmo può espandersi a livelli inaspettati, e dà l’impressione di avere dimensioni ben più possenti. Sconfinate. 

È come se Shun non se la sentisse di usare tutto quel potere da cui è stato benedetto. Come se non volesse prendersi la responsabilità di decidere della vita di un’altra persona. 

Nemmeno se è la sua stessa vita ad essere in pericolo. 

“Ora ho paura anch’io,” dice dopo essere stato zitto troppo a lungo. 

Ikki scuote la testa. “A parte quella parentesi di follia, ho passato la vita intera a proteggerlo. E conto di continuare.” Le mani di Ikki si stringono forte sulle sue spalle. 

Ricaccia indietro il suono di sorpresa che stava per lasciarsi sfuggire. 

Ikki lo guarda fisso. I suoi occhi scuri sono troppo adulti per la sua faccia. “Devi capire, Hyoga, che lui è tutto quello che ho. Tutto il bene al quale non ho avuto diritto. Non mi interessano Atena, né il destino della Terra, se non c’è lui a camminarci sopra.”

Potrebbe suonare come un tradimento, ma si rende conto che pensa la stessa cosa. “Io non sono forte come te, ma spero di poterti dare una mano.”

Ikki spalanca gli occhi per una frazione di secondo, poi gli sorride quel sorriso storto e vulnerabile che non gli aveva mai visto prima di stasera. “Perché? Non pensi che sia un impaccio per la squadra?”

Un bimbetto piagnucoloso con le guance paffute. Un Santo che dev’essere salvato. 

Il sorriso più bello che abbia mai visto. Vero e nudo, che invade piano la faccia di Shun e i suoi occhi verdeazzurro. Così trasparenti che può vederci ogni emozione sotto la superficie, come sciami di piccoli pesci iridescenti che si rincorrono nelle profondità del mare.

“Perché vicino a Shun mi sento meglio. Senza di lui saremmo più poveri.” Toglie le mani dalle spalle di Ikki, giocherella con il rosario intrecciandosi fra le dita le perle lisce. Lisce come la guancia di Shun.  

Ikki abbassa la faccia. “Abbiamo più cose in comune di quanto avrei detto.”

Deglutisce. Ha la bocca secca. “E?”

“Mi fa piacere che condividiamo questa missione. In due è più facile.”

“Patto?” chiede sottovoce, gli occhi fissi in quelli di Ikki. 

“Patto!” A Ikki trema la voce. E poi lo abbraccia forte, dì slancio, affondandogli le dita nei muscoli della schiena. Si stringe addosso Ikki, forte alla stessa maniera dissennata. 

Ikki ha lo stesso odore buono di suo fratello. 

Chiude Le palpebre, si vede davanti la faccetta sorridente si Shun, quegli occhi teneri che sembrano illuminarsi quando incontra il suo sguardo. Ikki è l’unico che può capire. 

Oppure se la prenderà a morte, e tutto quello che hanno costruito andrà in briciole di nuovo. 

Ma non può più resistere, si aggrappa ad Ikki, fa un respiro profondo cercando la parola giusta per iniziare.

È sempre stato incapace di fare certi discorsi. Eppure ora. 

Ora. 

“Senti, Ikki—“  Si ferma. Dev’essere impazzito. Non avrebbe mai pensato di fare questa confessione proprio a lui. 

“Ti ascolto.” Ikki non lascia la presa su di lui. Nel suo abbraccio gli sembra che ogni tensione si liquefi, che il ghiaccio che si sente dentro si sciolga un pochino. 

Appoggia il mento sulla spalla di Ikki, chiude forte gli occhi.”Io—io te l’ho già detto.” Si ferma. “Shun. Lui. Lui è davvero speciale, per me. Io. Non ce la faccio. Scusa.”

Ikki si tira indietro, pianta nei suoi quegli occhi pieni di fuoco. “Ti stai scusando perché vuoi bene a mio fratello?” Un sorriso sbieco gli curva la bocca. “Hai appena promesso di cercare di difenderlo ad ogni costo. Non mi aspettavo niente di meno da te.”

“Ma io—“ non gli voglio solo bene. Io. Lo amo. Darei la mia vita per lui. 

Questo vorrebbe dire a Ikki. 

“Hyoga, io adoro il mio fratellino. Morirei contento se fosse necessario a salvarlo.” Il sorriso di Ikki diventa malinconico. “Dopo quello che è successo finora, io—” Ikki lo prende per le spalle, lo intrappola nel suo sguardo. “Io ho sempre pensato che tu sia una persona a posto, Hyoga. Uno di cui ti puoi fidare. Non mi hai mai dato motivo di pensare il contrario. Mai.”

“Ma io—“

“Lo ami, Hyoga?” Ikki appoggia la fronte contro la sua. Troppo vicino, non riesce a vederlo bene in faccia. Di certo ora si arrabbia. 

“Non—non so.” Ma mente. E forse Ikki lo sa pure. 

“Pensaci bene.” 

Il click di una porta che si apre alle sue spalle  “Ragazzi! Ma state facendo?” È la voce di Shun. 

Accidenti! 

Lui e Ikki si tirano indietro di scatto; la faccia gli diventa rovente.

Si sono fermati proprio davanti alla camera di Shun. E c’è Shun nel riquadro degli stipiti, che li guarda con la bocca piegata in una smorfia di preoccupazione. Ha i capelli umidi, profuma di menta e limone. 

“Ikki? Non mi aspettavo di trovarti ancora qui.” Shun si mette a fianco a loro; ravvia i capelli di Ikki e gli appoggia un bacio gentile sulla bocca. 

Ikki lo guarda strano, mezzo nascosto dai capelli scompigliati di Shun, poi avvolge  il fratello nel suo abbraccio, ricambia il bacio accarezzandogli una guancia. 

Io adoro mio fratello. 

Li guarda stringersi uno all’altro, sembrano formare un universo a parte; il loro rapporto va al di là della fratellanza, è qualcosa di invalicabile. Inappellabile 

Per un attimo si sente solo, al margine, e il calore che provava fra le braccia di Ikki gli evapora via dalla pelle. 

Ma poi Shun si stacca da Ikki, gli mette una mano sulla spalla e gli fa un sorriso “Di che stavi discutendo col mio fratellone?”

La curva dolce delle labbra di Shun gli confonde la testa, davvero. O almeno, quel poco che gli è rimasto di raziocinio dopo averlo visto baciare suo fratello. Non si sarebbe mai immaginato che—

Che. 

Non si sarebbe mai aspettato che Shun e Ikki si aprissero così davanti a lui. Vorrà dire qualcosa. 

Forse anche lui potrebbe essere ammesso nel loro Cosmo privato. È la cosa che desidera di più al mondo. 

La mano di Shun, tiepida sulla sua spalla, gli dà coraggio. Non può essere lì a caso, leggera eppure pesantissima. Shun non la sta togliendo, anzi: le sue dita gli sono scivolate oltre il colletto della maglia, sente i suoi  polpastrelli morbidi accarezzargli la base del collo. 

Deglutisce, con la bocca improvvisamente secca. Shun sa di quanto amore sia capace suo fratello per lui. Ora deve capire che suo fratello non è il solo a provare questa cosa. 

“Noi—” Guarda Ikki e Ikki gli sorride e non sa se sia di approvazione, probabilmente no, Ikki non gli legge di certo il pensiero. Ma questa è una sera speciale, ed ha al suo fianco due persone speciali e forse tutto è possibile ora, in questo corridoio buio, sotto gli occhi inquisitori delle statue degli antenati di Miss Kido. “Noi discutevamo di quanto ti vogliamo bene.”

Shun trasale, spalanca gli occhi. Poi un sorriso tenero curva le sue labbra. 

Sembrano così morbide. Ikki è la persona più fortunata al mondo. 

Shun toglie la mano dalla sua spalla, gli avvolge il braccio attorno alla vita. “Siete le persone che amo di più. Lo sapete, sì?” sussurra, e si tira entrambi contro.

Si lascia stringere, tremando. Piano piano alza le braccia, una attorno alle spalle di Shun, l’altra a quelle di Ikki. Come ad un segnale le loro facce si avvicinano, non l’ha deciso nessuno ma è come se tutti sapessero quanto è necessario. 

Le loro fronti si sfiorano. Il respiro gli si blocca in gola. 

Chiude gli occhi. 

Poi si sente tirare all’indietro. Passano fra gli stipiti strizzandosi come sogliole, incapaci di stacccarsi anche solo per un attimo. Ikki si sbatte la porta alle spalle; restano tutti e tre fermi in mezzo alla stanza, guardandosi negli occhi.

Trattiene i respiro e fa scivolare la mano sotto la maglietta di Shun, gli accarezza la schiena nuda. Shun si inarca appena sotto le sue dita, sorride. È la prima volta che lo tocca senza l’ingombro freddo del Cloth. La pelle di Shun è tiepida, morbida, profuma di cose che lo fanno stare bene.

Sospira sentendo un volo di farfalle che gli agita la pancia.

“Hyoga—“ la voce di Ikki è bassissima, i suoi occhi di fuoco lo confondono. 

Resta immobile senza sapere cosa fare. Ikki si sporge oltre Shun e appoggia le labbra sulle sue. 

“Ikki?”

Ikki scuote la testa tirandosi appena indietro. “Non so. Non. Non mi chiedere niente. Io. A vederti trattare lui con tanto amore. Io. Io.” 

Ikki lo bacia ancora. Socchiude le labbra, è l’unica cosa che riesce a fare. Ansima sfiorando con la sua  la lingua di Ikki. 

Non sa esattamente cosa sta facendo, quando infila la mano fra i riccioli densi di Ikki, sulla nuca, e se lo tira contro.

Non sa che cosa sia, ma è bene. 

Un bene che gli riempie il cuore fino a farglielo scoppiare, gli fa bruciare gli occhi e scendere grosse lacrime lungo le guance. 

Assaggia il loro salato quando gli colano fino alla bocca, si mescolano alla saliva dolce di Ikki. 

Ikki cerca di tirarsi indietro, lui lo stringe più forte con un mugolio. Si sposta un pochino di lato sentendo le labbra di Shun che li sfiorano. Gli fa spazio. Avvolge ambedue nel cerchio delle braccia. Caldi.

Trema alle loro carezze. 

Il freddo, il dolore che lo hanno accompagnato fin qui forse trovano un senso. 

Se gli hanno permesso di approdare nel loro abbraccio.

Fandom: Saint Seiya

O3P: Shun/Hyoga/Ikki

COWT 13 IV settimana M4 prompt: “tutti dentro”. Interpretata, ovviamente in senso letterale

WWARNINGS leggere bene prima di fare polemica: incesto, threesome, bei ragazzi che si amano analmente, spitroasting, double penetration, p0rnografia esplicita, ultrap0rn 

Non ho capito cosa mi spinga quest’anno a vilipendiate in maniera tanto orribile i miei miti dell’adolescenza. Forse anche loro si meritano una pausa, I guess. E sono così innamorati…

Please ENJOY

All you can eat

Parte 1: Ikki o Cold sandwich

Abbassa la maniglia con un sospiro di sollievo. Finalmente di ritorno. 

Ha tutti i muscoli indolenziti dopo la sessione di allenamento, solo la doccia rovente gli ha dato sollievo e adesso non vede l’ora di schiantare sul–

Divano?

Ma sul divano c’è seduto Shun con la testa reclinata sulla spalliera, ciocche luminose sparse sul tessuto scuro. E a occhio non sarà facile farlo alzare. Perché c’è Hyoga in ginocchio fra le sue cosce aperte; nude, bianche come il latte. 

Di Hyoga vede solo la schiena, inguainata in una di quelle magliettine che gli sembrano dipinte addosso; inondata di capelli d’oro. 

Trattiene il respiro; non vorrebbe disturbarli, quei due sono troppo bellini. Hanno qualcosa di tenero e innocente attorno, che gli fa desiderare solo di proteggerli, per sempre. 

La testa di Hyoga si alza e si abbassa, un ritmo lento che sta evidentemente uccidendo il suo fratellino, respiro a respiro. Shun lo sta perdendo, spalmato inerte sul velluto del divano, le guance rosse, le labbra semiaperte. 

Click

“Fratellone.” Shun socchiude gli occhi su di lui, sorride, alza un braccio attirandolo nella sua direzione. 

“Mh—“ Hyoga alza appena la testa, gli lancia un’occhiata da sotto la frangia densa, le labbra tese attorno al glande si Shun. 

Non vedeva l’ora di schiantare sul divano, ma forse ha cambiato idea; lascia cadere a terra il borsone e annulla in due passi la distanza che lo separa da Hyoga; si china su di lui, chiude la bocca sulla sua, sulla punta scoperta del l’uccello di Shun. 

Shun fa un verso tenero, gli affonda una mano fra i capelli. “Ah—fratello—“. Hyoga mugola, lo spinge un po’ indietro e incolla le labbra sulle sue. La sua mano continua a lavorarsi Shun. 

Si sente addosso i suoi occhi verdemare, accoglie in bocca la lingua di Hyoga, se lo stringe contro, chiude le dita sulle sue. Strette attorno all’uccello di Shun. 

“Non smetterei mai di guardarvi.” La voce di Shun è un sussurro infuocato. 

Riassaggia il gusto di Shun nella bocca di Hyoga, ne vuole. Ancora. Di più. Hyoga ansima sotto il suo assalto e lui è già. 

Pronto. 

Uccello teso nelle mutande, perso in quel bacio per un attimo che sembra non finire mai. 

Poi Hyoga si stacca da lui, il respiro spezzato, fa correre la lingua per tutta la lunghezza dell’uccello di Shun, lui si inarca di scatto aggrappandosi alla sua spalla con quelle dita ossute. 

Dita di ragazzino anche se il suo fratellino sta diventando un uomo. Così bello mentre lo guarda, le labbra socchiuse, le guance pallide accese di rosso. SI china ancora su di lui, lo lecca dalla parte opposta a Hyoga, le loro lingue si sfiorano, le loro labbra si incontrano con l’uccello di Shun nel mezzo. Occhi trasparenti lo cercano, teneri.

La facilità con cui Hyoga si è incluso nel loro piccolo mondo ristretto. Gli accarezza la guancia. Fatto per loro. 

“Voi due–” implora Shun, scivolando più in basso sul divano, aggrappato al velluto, luminoso contro la stoffa scura. Indifeso sotto l’attacco combinato di lui e Hyoga. Vuole baciarlo e togliergli l’ultimo fiato.

Si sporge su Shun, il suo fratellino scivola di un altro po’, si ritrova quella bocca sfatta sotto la sua. Shun è la cosa più dolce, sempre. Da sempre. Disegna con la punta della lingua il contorno delle sue labbra, poi ci affonda dentro, ansimando, è dolce affogare insieme a Shun. Finché c’è lui va tutto bene, quello è sempre stato il suo mantra. Ma ora nell’equazione c’è una terza variabile. Che li cementa ancora di più. 

La mano magra di Shun si infila sotto la sua maglietta, calda sulla pancia, uno strattone all’elastico dei pantaloni. 

“Spogliati, fratello.” Un sussurro, le labbra morbide di Shun che sfiorano le sue. Lo bacia ancora, in fondo, tirandosi giù braghe e mutande assieme. 

Vuole stringere Shun, tenerlo fra le braccia mentre si abbandona alle carezze della bocca di Hyoga; lo solleva da quella posizione reclinata, gli scivola dietro, contro la spalliera del divano e se lo tira sopra.

Si ritrova addosso il poco peso inerte di Shun, il solletico dei suoi capelli morbidi contro l faccia, circondato dal suo odore buono, di casa. Che è tutto quello che conosce, quello che fa battere il suo cuore ancora e ancora. Stringe suo fratello, gli dà un bacio sul collo, intricandosi nel verde dei suoi capelli.

Hyoga mugola chinandosi su di loro, le sue dita callose, una carezza lunga, strusciando il suo uccello contro quello scivoloso di Shun. 

Geme contro la sua spalla liscia, mentre Hyoga carezza con la lingua i loro uccelli assieme. Ancora e ancora; cerca i capezzoli di Shun, piccoli sotto la maglietta verde; li tira e Shun si inarca violentemente contro di lui con un singhiozzo.

Occhi trasparenti lo fissano da sotto in su, semichiusi, poi labbra umide si chiudono sulla punta del suo uccello, deve affondare i denti nella carne bianca di Shun per non urlare. Hyoga succhia e lecca, le sue mani lo carezzano, scivolose di saliva.

Si aggrappa a Shun e Shun a lui, cerca la sua bocca accarezzando ogni centimetro della sua pelle tiepida, ansima e geme nel bacio, come una bestia dissennata. Hyoga alza un attimo la testa, si guardano. 

Hyoga fa un sorrisetto sfatto e si china ancora e lui si ritrova prigioniero della sua bocca insieme a Shun. La tensione nelle labbra di Hyoga, mentre li succhia assieme, lo manda via di cervello; fa un verso soffocato, sente la sua saliva colargli addosso mentre affonda di più nella sua bocca assieme a Shun.

Un altro gemito, un mezzo conato, Hyoga insiste, aggrappandosi ai loro fianchi. Gli accarezza la testa, impigliandosi in tutti quei capelli biondi. “Sei bellissimo,” sussurra senza fiato. “Voglio scoparti.”

Hyoga ansima più forte, lo guarda, sembra gli stia chiedendo di essere mangiato a morsi. 

“Andiamo di là, stiamo più comodi.” Shun è pratico, malgrado tutto. Si alza e tende una mano a Hyoga, se lo tira contro per un bacio lunghissimo.

Gli viene ancora più duro, se possibile. Li guarda divorarsi a vicenda, strusciandosi uno contro l’altro; lo attirano, si butta nel mucchio, due lingue lo sfiorano, le labbra morbide di Shun e quelle di Hyoga, screpolate, lo accolgono. Un’estasi di pelle nuda e mani che lo carezzano. 

Barcollano verso la camera stretti assieme, sbattendo contro il mobiletto e lo stipite della porta, Shun ridacchia, una mano lo prende per l’uccello come al guinzaglio. Si lascia portare, si lascia. 

Amare. 

Fa scivolare un dito fra le mele sode di Hyoga, una carezza lenta indugiando sul buchino in cui fra poco. 

Entrerà. 

Hyoga geme, se lo stringe più addosso. 

Accende la luce con il gomito. 

Per un momento infinito, esilarante, posa lo sguardo su Shun e Hyoga. I suoi fratelli lo guardano; con uno solo di loro ha legami di sangue. Ma conosce Hyoga da sempre. E a parte quegli anni bui. Quegli anni di cui cerca di scacciare il ricordo oscuro, si sono sempre salvati a vicenda, tante, troppe volte per essere così giovani. 

Dura un attimo e si ritrova sul letto, tirato, stretto, coperto di baci in faccia. 

Shun si stende nel mezzo, di traverso; sparsi sul copriletto i suoi capelli sono un Cosmo morbido e profumato. Allunga le braccia verso Hyoga, lui gli sale sopra, gli imprigiona i polsi con le mani contro il materasso; le sue labbra si incurvano in un sorriso adorante mentre si china e fa piovere baci lenti sulla bocca di Shun, sul suo collo bianco, sul suo torace magro. Shun sussulta e si inarca contro di lui socchiudendo gli occhi. 

Resta bloccato a guardarli, mentre rovista a tentoni nel comodino alla ricerca dell’olio, e gli torna in testa il giuramento che ha fatto con Hyoga, di proteggere Shun ogni volta dovesse servire. 

Shun mugola, mordendosi il labbro inferiore. Piccoli denti bianchi come perle. Perso, le sopracciglia aggrottate in una piega amorosa, alla mercé di Hyoga, ed è chiaro che non vorrebbe essere in nessun altro posto al mondo. 

Questa è la devozione di Hyoga verso suo fratello. Che va oltre proteggergli le spalle. Un sacramento, officiato sul corpo stesso di Shun. 

Hyoga è l’unica persona in grado di amare suo fratello come lo amerebbe lui. 

Fino in fondo.  Senza compromessi. 

Dando tutto quello che ha. 

Lui. Non può essere da meno. 

Finalmente sente sotto le dita la forma nota del flacone in plastica liscia, ma si dimentica di prenderlo, distratto dalla vista di Hyoga che si china ancora sull’uccello di Shun, lo prende in mano e se lo infila in bocca. 

Si inginocchia dietro di lui, appoggia un bacio su ogni vertebra che increspa la sua schiena curva fra le fasce compatte di muscoli, accarezzandogli i fianchi. Intinge la lingua nelle fossette gemelle alla base della sua spina dorsale e scende ancora, tracciando un sentiero umido in mezzo alle mele del suo culo tondo e sodo. 

È salato, e speziato e gli oblitera il senno

Hyoga fa un verso soffocato intorno all’uccello di Shun, muove su e giù la testa, più veloce, le rughe saporite del suo buchetto gli cedono sotto la lingua. 

I suoni disarticolati, umidi che escono dalla bocca piena di Hyoga gli riempiono le orecchie, insiste senza più sapere che sta facendo, solo che ne vuole ancora. 

Ma ora è il momento di farlo urlare. 

Scuote la testa cercando di schiarirsi i pensieri, infila due dita unte dove prima aveva la lingua. Hyoga fa un grido rauco e alza la testa di scatto, inarcando la schiena. Si sbatte contro di lui, si prende tutto quello che può, il suo respiro si spezza in una serie di ansiti senza fiato. 

Allunga l’altra  mano fra le gambe di Hyoga e gli accarezza lentamente l’uccello, stropicciando la pelle su e giù e Hyoga singhiozza, le mani infossate nel materasso, i capelli d’oro che ondeggiano contro le anche di Shun. 

“Ti prego.” La voce di Hyoga è una preghiera senza fiato. 

Shun fa una risatina tenera. “Povero amore,” sussurra e si tira su seduto, fa alzare la faccia a Hyoga prendendogli il mento fra le dita. Poi si china su di lui, ciocche verdi e bionde di mescolano nascondendogli i loro visi, ma può immaginare le loro bocche incollate, la saliva che bagna il mento di Hyoga. Le guance accaldate del suo fratellino. 

Si versa un po’ d’olio sul palmo della mano, si unge con cura l’uccello. Appoggia la punta contro il buchetto slassato di Hyoga. Hyoga cerca di tirarsi indietro, sbatte contro di lui. “Asp–” ansima. Appoggia una mano contro il torace di Shun, cercando di farlo sdraiare ancora. “Stavo facendo una cosa.”

Shun ridacchia e si lascia cadere all’indietro con grazia. “Era una cosa che mi piaceva.”

Dì Hyoga vede solo la nuca, folta di capelli dorati, ma intuisce il suo sorriso, riflesso in quello di Shun.  Poi Hyoga si china ancora su di lui e la faccia del suo fratellino si disfa in un gemito. 

Accarezza da dietro i fianchi muscolosi di Hyoga,  preme all’entrata del paradiso che tiene nascosto fra le chiappe sode. Hyoga gli concede accesso. Scivola piano dentro di lui; gli scappa un gemito, la punta dell’uccello strozzata da quel buchino che gli oppone resistenza e poi si allarga poco a poco sotto i suoi occhi. 

Hyoga singhiozza e si aggrappa alle lenzuola, la sua testa ciondola.

“Ti faccio male?” sussurra accarezzandogli l’uccello teso.

“Nnnh.” La risposta di Hyoga è un verso disarticolato, che si trasforma in un lamento pieno di vocali man mano che conquista il suo corpo. 

Lento. 

Inesorabile.

Guarda trasognato Hyoga che prende ancora in bocca suo fratello, geme e singhiozza attorno alla sua carne rosea. Tesa. Il calore morbido di Hyoga lo avvolge tutto. Si ferma un attimo, ansimando, il pube schiacciato contro di lui. Esce, e rientra piano, sente Hyoga scivolargli sotto e se lo tira contro, un braccio attorno alla sua pancia, le dita strette a martoriargli l’uccello. 

Incrocia gli occhi di Shun. Suo fratello gli sorride, ha gli occhi languidi sotto le palpebre mezzo abbassate. “Non riesco a smettere di guardarvi,” mormora.

Gli cortocircuita il cervello, grugnisce e affonda più forte in Hyoga, strappandogli un grido rauco. E ancora. Ancora. Rintronato dai loro gemiti, dai suo stesso respiro veloce. Spingendo Hyoga contro suo fratello, soffocandolo contro di lui. Aggrappato ai fianchi di Hyoga, più in fondo, dove è più caldo e segreto, dove riesce a farlo urlare. 

“Ikki–Ikki!”

Si tira Hyoga addosso, lo scopa forte, con amore, tenendolo stretto, menandogli l’uccello durissimo, affonda i denti nella sua spalla o griderebbe anche lui. Intrappolato nel suo calore, nella frizione dolce. 

C’è quasi, c’è quasi. 

Shun lo guarda, si lecca le labbra, si accarezza l’uccello mangiandosi Hyoga e lui con gli occhi.

Non riesce mai a resistere a quello sguardo. “Vieni per noi, Hyoga.” sussurra e gli morde il collo. Hyoga singhiozza più forte, rovescia la testa all’indietro contro la sua spalla e gli riempie la mano di schizzi tiepidi di seme.

Ha fatto il suo dovere. Grugnisce e si abbatte un’ultima volta contro Hyoga. Gli viene dentro, in sussulti lunghi che lo scuotono tutto. Sente il proprio corpo cedere, si aggrappa a Hyoga ansimando forte.  Sbatte gli occhi un paio di volte, il sorriso estatico di Shun lo cattura senza scampo. 

“Bellissimi,” ansima il suo fratellino, accarezzandosi l’uccello roseo. Ancora molto duro. 

“Fratello—“ una puntura di rimorso nella pancia. “Ti abbiamo lasciato indietro.”

Il sorriso di Shun si allarga. “Eravate meravigliosi.”

Hyoga fa un verso inarticolato. Lui lo bacia sul collo, stringendoselo contro, caldo e tremante. 

“Dovresti vederlo.” La risatina di Shun è morbida, roca. “Gli ci vorrà un po’ per riprendersi.

“Ora vedrò.”  Esce da Hyoga con un rumore umido, soddisfacente; una colata di seme si spiaccica sulle lenzuola. 

Adagia Hyoga sul letto, di fianco a Shun. Hyoga lo fissa con gli occhi vitrei, la bocca semiaperta. 

Sorride, gli accarezza una guancia con il dorso della mano. “Tutto bene?”

Le labbra di Hyoga si curvano in un mezzo sorriso sfatto. “Sì.” Risponde in un soffio. “Avevi. Dubbi?”

Shun fa una risatina tenera, si china a baciarlo. Hyoga si protende verso di lui, affonda una mano nei suoi capelli scompigliati. 

Sorride. 

“Vado a ripulirmi un po’,” annuncia sottovoce. “Poi ti dó una mano, fratello.”

Shun mugola qualcosa continuando a mangiarsi vivo Hyoga. Gli sale sopra a quattro zampe, gli toglie dalla faccia la frangia dorata continuando a baciarlo. 

Forse Shun non ha bisogno del suo aiuto, per prendersi quel che gli spetta di diritto. 

Starebbe a guardarli per sempre, ma prima ha un lavoro da fare. Si chiude alle spalle la porta del bagno, accende il getto della doccia. 

Deve fare presto. 

Parte 2: Shun o Hot filling

Interrompe il bacio solo quando il respiro di Hyoga gli si spezza in gola.  

Arenato di schiena fra le pieghe delle lenzuola massacrate, Hyoga lo guarda da sotto le palpebre basse. Gli fa un sorrisetto sfatto, alza una mano verso di lui. “Mi spiace, Shun. Io—”

Alza le spalle, ridacchia, accarezzandosi piano l’uccello. “Tu sei molto bello, e io so essere paziente. Però se hai voglia di farti un altro giro con me—” Lo provoca. 

Il sorriso di Hyoga si allarga. “Con te verrei dovunque.”  Il suo sguardo indugia in basso, fra le gambe, e la povera cosa flaccida che giace lì in mezzo. “Anche se non so se—“

Ridacchia ancora, si china e sfiora la sua  bocca, affonda ancora per un attimo feroce nel sapore noto di suo fratello. Geme, incollando più forte le labbra a quelle di Hyoga, strusciandosi sul suo mento scivoloso.  Hyoga si allunga fra le pieghe delle lenzuola, protende la testa indietro; lui spinge nel bacio affondandolo nel materasso, gli imprigiona i polsi con le mani ai lati della testa. 

Hyoga si agita contro di lui, ansimando più forte, una visione di occhi annebbiati e capelli d’oro sparsi contro il bianco delle lenzuola. 

Come fa a essere così bello, gli toglie il respiro più del bacio in cui si è lasciato catturare. 

Abbassa un po’ il bacino, struscia il suo uccello durissimo contro quello di Hyoga, molle, scivoloso di seme. Hyoga si inarca per venirgli incontro, geme rauco. Gli sfugge da sotto la bocca. Bacia il suo mento, il suo collo esposto. Il suo pomo d’adamo che sale e scende impazzito mentre Hyoga cerca di deglutire. 

Hyoga fa un verso spezzato quando gli prende fra i denti un capezzolo, lo tira. Lo lecca in cerchi stretti. 

“Shun—“ un sussurro roco. “Ma non doveva essere che—“

“Sst,” mormora contro il suo petto. Traccia una linea con la lingua lungo tutto il torace di Hyoga, salato di sudore che si sta raffreddando; lungo la spianata soda sei suoi addominali, il sentiero sottile di peli biondi che dall’ombelico scende fino al cespuglio del suo pube. Ci affonda il naso, si ubriaca dell’odore selvatico di Hyoga. 

“Shun?”

Alza la testa e si ritrova addosso il suo sguardo trasparente. “Aspetta, Shun, io volevo—“

“Non aspetto niente.” Gli prende l’uccello in mano, non è più così molle. 

“Shun—“

Ride e se lo infila in bocca. Scivoloso di seme amarognolo. Lo succhia. È un sapore che conosce, che gli fa accelerare il respiro. 

È il sapore del suo amore. 

Hyoga sussulta, ricade all’indietro. Il suo uccello gli pulsa in bocca. Sta funzionando. 

Fra poco potrà avere quello che vuole, tutto; il pensiero lo fa agitare. Piega le ginocchia per strusciarsi contro le gambe di Hyoga, il contatto gli manda i nervi in fiamme, gli fa scendere un’ondata di marea verso la pancia.

Si lavora con metodo la punta del suo uccello a colpi di lingua, e il resto con la mano; lo sente indurirsi sotto le dita. Hyoga fa un lamento lungo, spinge contro la sua fronte col palmo come per mandarlo via. 

“Shun—“

Alza la testa con rammarico ma la sua mano non si ferma. 

“Asp-uh. Shun! Non è giusto-oh—“ la voce di Hyoga si perde in un gridolino quando fa correre la lingua attorno alla strozzatura della punta. 

“Sst.” Si allunga per appoggiargli un dito sulle labbra. Hyoga lo succhia, lo lecca ansimando. 

Come fa a farglielo venire ancora più duro?

Gli uncina la mascella per fargli aprire la bocca, dall’angolo delle labbra di Hyoga cola un filo di saliva. 

Si sporge per leccarlo via. “Ho bisogno di te, lasciati usare.” 

“Nnh.” Hyoga chiude gli occhi. 

“No,” sussurra. “Devi guardarmi.” 

Le palpebre di Hyoga si riaprono si scatto. Gli piace sentirsi addosso il suo sguardo, lo fa sentire bello e speciale. Avanza, con le ginocchia ai lati del suo torace, si sporge per prendere l’olio dal comodino. 

Un tocco caldo sul glande lo fa sobbalzare. Le Labbra di Hyoga gli si chiudono attorno, gli tolgono il fiato.

Chiude gli occhi per cercare di resistere al suo assalto, si versa un po’ d’olio sulle dita. 

“Guardami,” ripete e anche con le palpebre chiuse si sente addosso lo sguardo di Hyoga. Lo riempie di fuoco, si accarezza piano in mezzo alle mele, pensando alla mano di suo fratello su di lui. Intrappolato fra lui e le labbra di Hyoga gli si blocca il respiro in gola. 

Si tocca attorno al buchino, cerchi lenti, l’indice entra senza ostacolo, se lo rigira dentro, abbandona la testa all’indietro. Respiro veloce, dentro fuori, ci aggiunge anche il medio. Ansima più forte a sentirsi più. 

Pieno. 

Torturandosi sul pensiero del l’uccello di Hyoga, caldo e pulsante dentro di lui. È il pensiero che lo fa cedere del tutto, o l’anulare che si aggiunge alle altre dita. 

Hyoga lo succhia forte, gli sembra quasi di non poter resistere. Toglie la mano. 

Indietreggia. L’uccello di Hyoga, durissimo, gli si appoggia contro la fessura. 

Apre le palpebre. 

Lo sguardo di Hyoga lo racchiude come un abbraccio tenero. “Non. Non riesco a staccare gli occhi da te.” Ansima Hyoga. “Sei. Bellissimo.”

Le sue parole lo fanno inarcare, come una carezza. Sorride, lo guarda da sotto le palpebre. Gli unge di olio l’uccello. 

Hyoga sorride. “Mi scopi?” La sua  voce è un sussurro rovente.

“Certo. Voglio farti urlare.”

La mano di Hyoga gli sfiora una guancia. Si appoggia contro il suo palmo caldo. 

“Perché sei così buono con me?” Hyoga ridacchia. 

“Perché ti amo.” Ed è vero. 

Hyoga non ride più, una sfumatura delicata di rosso gli tinge le guance. “Anch’io. Non sai quanto.”

È intossicante vederlo così esposto. L’uomo di ghiaccio. Si china e gli posa un bacio sulla bocca. “Lo so. Quanto io amo te. E quanto Ikki ama tutti e due.”

“Dev’essere quello.” Hyoga sorride e gli sfiora le labbra, la sua mano sale ad accarezzargli i capelli. “Due parti di tre.”

Gli sorride, lo bacia ancora. “Una parte bellissima.”

“E una meravigliosa.”

Si sottrae al suo tocco, scivola indietro. Prende in mano l’uccello di Hyoga, l’attesa degli ultimi secondi lo fa impazzire. Si abbassa piano su di lui, sente la punta del suo uccello contro il proprio buchino, sente tutti i muscoli cedere, sente il calore che lo penetra e il singulto spezzato di Hyoga quando si stringe attorno al suo uccello. 

Che lo riempie poco a poco, gli strappa dalla gola un gemito sottovoce. 

Sente. Tutto. 

Mentre si abbassa piano su di lui piegando le ginocchia. Una tortura dolce che toglie il respiro ad ambedue. 

“Shun—“ Le mani di Hyoga si stringono sui suoi fianchi. 

Gli sorride. “Lasciami fare e goditi la corsa.”

Le braccia di Hyoga ricadono sul letto, occhi trasparenti incollati ai suoi la sua bocca meravigliosa si schiude in un grugnito roco di piacere che gli riverbera dentro, lo fa respirare più veloce. Scende ancora, piano, dolore e piacere si mescolano, lo mandano a fuoco; finalmente si siede contro il pube di Hyoga, pieno all’inverosimile del suo uccello perfetto. 

Si inarca all’indietro, puntellandosi sulle cosce si Hyoga, cercando quell’angolo perfetto che li fa impazzire tutti e due. 

Click. 

La porta del bagno si apre lentamente, inquadra Ikki, tutto nudo e umido. La sua espressione sorpresa si ammorbidisce quando i loro occhi si incontrano. 

Ikki ridacchia. “Non dovrei preoccuparmi tanto per te, fratellino. Mi sembri perfettamente in grado di prenderti quello che vuoi.”

Le parole di suo fratello lo fanno agitare, o forse è che si sta muovendo troppo sull’uccello del suo amore biondo. Si alza un pochino e ci si sbatte sopra, un inno di gloria gli canta nelle vene, ancora, la bocca aperta in un grido silenzioso, sa solo che è bello, che ne vuole ancora, che ha bisogno di sentire Hyoga che geme più forte sotto di lui. 

Chiude gli occhi. 

Le labbra di Ikki si chiudono sulle sue, le dita di Ikki sul suo uccello lo bloccano in uno spasmo. Potrebbe venire, ora, basterebbe. Impalarsi su Hyoga, ancora, più veloce. Ma ne vuole ancora, vuole tutto, vuole la lingua di Ikki intrecciata alla sua e quelle carezze lente là sotto che gli tolgono il senno. 

Vuole andare piano. 

Hyoga geme sottovoce, non gli stacca gli occhi di dosso; alza le mani, gli sfiora le cosce in una carezza lunga che finisce su di lui, sulla pancia, su un capezzolo. Hyoga tira, lo fa singhiozzare. 

La mano libera di Hyoga scivola su Ikki, sul suo uccello molle, se lo sente strusciare sulla pelle, un ansito di sorpresa apre la bocca di suo fratello. 

“Siete. Miei,” ansima Hyoga. 

“Sì.” Ikki ha la voce bassissima. “E tu nostro.” Le labbra di suo fratello gli tracciano una strada di succhiotti di fuoco lungo il collo. Gli scappa un gridolino, si agita sull’uccello di Hyoga che gli fa vedere le stelle. La bocca di Ikki gli scende addosso, si ferma sull‘altro capezzolo; lo fa gemere e ricadere all’indietro, si ritrova al sicuro della stretta del suo braccio caldo. 

“Ikki,” chiama senza voce, incapace di reggersi dritto. “Hyoga—“ mentre lui alza il bacino per affondargli dentro un altro po’, allargandolo senza remissione. Si arrende a lui, singhiozza cedendogli addosso, sentendosi dentro ogni singolo centimetro del suo uccello pulsante. 

Ondeggia, Ikki lo stringe più forte. Si abbandona contro di lui.

Hyoga socchiude la bocca, si lecca le labbra. Li guarda di sottecchi. “Ti voglio, Ikki.” 

Ikki alza la bocca dal suo capezzolo, il freddo della saliva che si asciuga lo fa rabbrividire. “Vuoi voltarti?”

Hyoga arrossisce e apre di più la bocca e lui è sicuro che non durerà più di un attimo, a vedere Ikki che gli scopa le labbra. 

“Ma Shun—“ protesta Ikki.

“A Shun ci penso io,” sussurra Hyoga. Le sue dita gli stringono ambedue i capezzoli ora, li stropicciano, li tirano. 

Quel piccolo dolore gli dà alla testa, lo fa agitare più forte sull’uccello di Hyoga. “Fallo, Ikki. Voglio. Voglio guardarvi.” La faccia gli va a fuoco, ridacchia, si muove piano su Hyoga, aspettando.

Che Ikki si sprimacci l’uccello un paio di volte prima di infilarglelo in bocca.

Hyoga fa un sospiro lungo, accogliendolo; gli riverbera lungo tutto il corpo. Guarda trasognato la sua bocca che si spalanca, i suoi occhi trasparenti che si stringono di piacere. Le sue mani gli scivolano addosso, gli si fermano fra le gambe. Lo accarezzano piano.

Mugola; è. Troppo. 

Assiste trasognato al miracolo dell’uccello di Ikki che si gonfia un po’ di più ad ogni carezza delle labbra di Hyoga. Lui mugola, ansima attorno a quella pelle scura. Un rivolo di saliva gli cola dagli angoli della bocca di Hyoga; la tensione della sua mandibola è un’opera d’arte che gli toglie il respiro.

Ikki appoggia un ginocchio sul letto, per affondargli meglio in bocca, uno spasmo contrae la gola di Hyoga, lacrime gli scivolano sulle guance. “Ggggh.” Le sue mani lo abbandonano per artigliarsi alle lenzuola. 

Il suono più dolce. Si alza sulle ginocchia e si riabbassa di colpo, sbattendosi su Hyoga con violenza, il suo uccello gli scava dentro una strada di fuoco, si abbandona al ritmo feroce, lascia che un verso lungo gli esca dalle labbra, spezzato dal respiro che non riesce a controllare. Né lui e nè Hyoga dureranno ancora a lungo, lo sente da come gli pulsa dentro, dalla tensione del suo stesso corpo in bilico, pronto a volare.

Si sporge in avanti, si china per una leccata lunga dove l’uccello di suo fratello incontra le labbra di Hyoga. Tutti e due sussultano, alza la testa e li guarda. 

Non è sicuro di quel che sta per chiedere.

“Voglio anche te, fratello,” sussurra.

Ikki gli spalanca in faccia gli occhi. “Ti rompo, Shun.”

“Non credo–” lo prende per la nuca, gli infila la lingua in bocca. Ikki appoggia la fronte alla sua, si guardano negli occhi senza vedersi. Sono troppo vicini. “Vi voglio,” sussurra alla fine. “Come posso fare?”

Ikki gli accarezza il labbro col pollice, lui glielo succhia. Lo guarda, implorante. Ikki sospira ed esce dalla bocca di Hyoga.

Hyoga li guarda, occhi annebbiati, segue Ikki che gli si sposta dietro di lui facendo cigolare il  materasso. Un sorrisetto tremulo.

Rumori da dietro e poi il dito di Ikki gli scivola fra le mele, si ferma contro il suo buchino, contro l’uccello di Hyoga già dentro di lui. Geme. Al pensiero. Al tocco noto di suo fratello e si alza un po’ sulle ginocchia per dargli accesso più facile. Ikki lo stiracchia dolcemente, si allarga un varco per entrare in lui, geme più forte a sentirsi cedere ancora, molle nelle mani della persona che lo conosce meglio. Che lo ama da sempre.

Il respiro gli si spezza in una serie di singhiozzi quando Ikki preme il glande contro di lui al posto delle dita . Lo solleva dolcemente e spinge, piano. Il dolore lo apre in due, il piacere gli cortocircuita il cervello, urla. Abbassando il petto contro Hyoga, senza riuscire a resistere, senza avere il coraggio di sottrarsi. Ormai è tardi. Ormai sa.

Stringe i denti.

“Ikki lo abbraccia da dietro, caldo. Solido. “Ti faccio male?”

Annuisce con un ansito.

“Allora esco.”

“No–h!” Spinge un altro pochino contro di lui, singhiozza forte senza sapere cosa fare. Occhi chiusi.

Una mano si stringe sul suo uccello, dita gli tirano i capezzoli, lo fanno inarcare; Ikki è quasi dentro ormai; non gli dà tregua, gli infila due dita in bocca. Le succhia, ci ansima attorno, perde il controllo, ora vuole, vuole. Tutto. Si abbassa sui due uccelli che lo aprono in due, è la sua. Volontà. Grida ancora, ma stavolta è di vittoria, è di piacere, non sa più fermarsi.

Scende ancora, ridotto a una cosa singhiozzante, priva di senno e di respiro; Ikki se lo tira addosso, lo sostiene contro il suo calore. Gli rovescia la testa su una spalla, inerte, si lascia manovrare.

Ora non c’è più dolore, solo piacere che gli annebbia la vista e gli toglie il fiato. 

Impalato sulle due persone che ama di più in tutto il mondo, è perfetto. Le lacrime che gli rigano le guance sono benedette, singhiozza ancora. Ikki lo bacia sul collo. “Ne vuoi di più?”

“S-si-h,” Chiude gli occhi. Si abbandona alla marea. Un gemito sordo e continuo gli cola dalle labbra. Pieno all’inverosimile, stiracchiato. Amato.

Un ultimo affondo lo spedisce oltre il limite, si contrae attorno a Ikki e Hyoga per un tempo che sembra infinito, gridando. La mano di Hyoga gli strizza l’uccello, lo svuota fino all’ultima goccia.

Cede tra le braccia di Ikki, tremando, affondando di più sopra di loro. Urla ancora, tirando la lingua fuori come un animale.

“Shun–” la voce di Hyoga è un singhiozzo spezzato, aggrotta le sopracciglia, seme caldo lo inonda. Le mani di Ikki gli si contraggono addosso, Ikki schiaccia la testa contro la sua nuca, si aggrappa a lui, gli spinge forte dentro un’ultima volta. Viene anche lui; non finisce mai, come un sogno lunghissimo da cui non vuoi svegliarti.

“Il mio fratellino è un pazzerello,” gli ansima Ikki in un orecchio.

Gli viene la ridarella, si gira a cercare i suoi occhi scuri. “Siete voi che mi fate ammattire.” Non gli resta più voce, se la sono presa tutta questi due, solo un mormorio roco.

Hyoga alza una mano tremante ad accarezzare prima lui e poi Ikki. Ikki gli afferra il polso e gli bacia le dita una ad una. Hyoga spalanca gli occhi. “Io. Sono l’uomo più fortunato del mondo,” sussurra e la faccia gli diventa più rossa.

Cerca di rizzarsi sulle ginocchia, ma le gambe gli tremano troppo. Ikki scivola fuori da lui con dolcezza, lo tira su per far uscire anche Hyoga. Sborra tiepida gli cola lungo le gambe, non ha voglia di pensarci, ora.

Si aggrappa al collo di suo fratello, appoggia la schiena sulla sua pancia sudata. È tutto indolenzito. Non è mai stato meglio in vita sua. “Mmmh,” mormora sottovoce facendosi accompagnare sul letto dalle braccia forti di Ikki. 

Hyoga si volta verso di lui, gli mette un braccio attorno alla vita, gli appoggia un bacio delicato sulla bocca. Ikki si lascia cadere dall’altra parte, gli affonda il viso nei capelli con un  sospiro. Le sue braccia lunghe li stringono ambedue. 

Chiude gli occhi, qui è al sicuro.

La fratellanza non è solo un fatto di sangue.

Parte 3: Hyoga o Warm soup.

Allunga un braccio sopra Shun, incontra quello di Ikki. Si schiaccia contro il tiepido con un sospiro di piacere. È scivoloso e umido e odoroso di loro tre. 

Il freddo in cui era intrappolato prima di conoscerli è meno di un ricordo quando ce li ha fra le braccia. Quando ce li ha dentro, a togliergli il respiro.

Fra quei due si sente al sicuro. La famiglia che ha perso troppo presto che torna a stringerlo in un abbraccio tenero. Inerte contro il materasso, rilassato come non gli sembra di essere stato mai nella sua breve vita; ora potrebbe scomparire, fluttuare senza peso

Un ricordo acuto lo punge, proviene da un tempo già molto lontano. Se stesso, un ragazzino, prigioniero del suo corpo carne ferita, pronto ad arrendersi. Una mano protesa verso di lui, un sorriso inatteso, selvatico che lo prendeva a calci in culo e lo costringeva ad alzarsi, ancora ad andare avanti, per salvare sè stesso o qualcun altro forse anche loro. 

Non importa. Era pronto a morire. 

Loro lo hanno raccolto, sorretto nella loro stretta sicura. 

Lo hanno ccompagnato fin qui, tiepido e molle, assieme a loro. Lo hanno salvato e continuano a farlo,  giorno dopo giorno, circondandolo del loro calore, del loro amore assurdo ed impossibile. 

Come se tutte le preghiere che ha sgranato sul rosario di mama gli avessero permesso di evocare due angeli dal cielo. Fallaci e umani come lui, ma pronti a volare assieme. 

O qualcosa del genere. 

Chiude gli occhi, sospira, cerca la bocca morbida di Shun. 

Tutto è pace.

Molto più di quanto avesse mai osato sperare.

Ngl non l’ho nemmeno riletto, ma il COWT ha le sue regole XD

Fandom:Saint Seiya

O3P: Milo/Hyoga/Camus

COWT 13 II settimana M3 prompt 13. Il rapporto mentore/allievo tra due personaggi. Ahem. Il rapporto c’è eccome

WWARNINGS leggere bene prima di fare polemica: threesome, begli uomini che si amano analmente, underage, spitroasting, p0rnografia esplicita, ultrap0rn

Please ENJOY

Le notti in Siberia sanno essere gelide

Allunga un piede fuori dalla coperta, l’aria ghiaccia gli morde le dita. Le notti in Siberia sanno essere gelide, uscire dal letto sembra una missione suicida, ma se non piscia nel giro di dieci minuti gli scoppia la vescica.

Tre, due, uno, prende un respiro profondo e scivola fuori dal nido delle coperte, calde del corpo di Isaac rannicchiato accanto a lui. Il gelo gli contrae la pancia, scappa verso il bagno a tentoni, se non si sbriga se la farà addosso.

Una lama di luce si spande da sotto la porta della stanza del maestro, chissà che sta facendo ancora sveglio. Forse discute con lo straniero giunto dalla Grecia l’altro giorno. Non ha capito bene ma dai brandelli dei loro discorsi sembra che ci siano problemi da risolvere al grande Tempio.

Non è certo cosa che lo riguardi. 

Glu ultimi passi verso il cesso li fa quasi correndo, in punta di piedi per non raffreddarsi troppo, la pietra gelida del pavimento gli rattrappisce gli alluci. 

Accende la luce fioca, si pianta a gambe divaricate di fronte al buco della turca; tira un sospiro di sollievo quando il getto del suo piscio colpisce l’acqua congelata, sollevando spire di vapore nella semioscurità. 

Finalmente. 

Si tira su le braghe e scivola fuori dal bagno; si incammina nel buio verso la stanza che divide con Isaac. Dopo tanti anni i suoi piedi sanno bene la strada. 

Un gemito fioco risuona nel silenzio totale, quando ripassa davanti alla stanza del maestro.

“Milo—“ un’invocazione sottovoce, la voce del maestro trema. 

Il cuore gli fa un salto nel petto. Ma che sta succedendo lì dentro? Che lo straniero sia venuto da così lontano per nuocere a Camus?

La porta della stanza è solo accostata, avvicina un occhio alla fessura. Dalla sua angolazione vede solo la faccia del suo amato maestro, contorta in una smorfia che non riesce a interpretare, il suo torace nudo.

Non sembra ferito. 

Si sposta per avere più visuale, attento a non fare il minimo rumore. Il maestro è steso sul letto, una mano aggrappata alle lenzuola sfatte; fra le sue gambe aperte c’è lo straniero, chino sul suo pube, i lunghi riccioli biondi sparsi sulla pancia pallida del maestro.

Non stanno certo combattendo. 

Gli diventa la faccia caldissima. 

Trattiene il fiato. Dovrebbe tornare alla sua stanza, dimenticare tutto questo. È disonorevole spiare l’intimità fra il maestro e il suo amico speciale, ma non riesce a distogliere lo sguardo dal viso squadrato dello straniero che si alza e si abbassa sul. 

Sul. 

Sulla virilità del suo maestro. 

Deglutisce a vuoto. 

Pensa alla mano di Isaac su di lui, sulla sua di. Oh insomma sul suo uccello, al calore che gli si raduna nella pancia prima di esplodergli in schizzi appiccicosi sulle dita. 

Questo è. 

Non avrebbe mai pensato che il maestro. E quello straniero alto e biondo, che tutto sembra tranne greco, che gli sorride con le palpebre abbassate mentre gli prende in bocca il—

Chiude gli occhi per un attimo, la mano gli scende fra le gambe. È. Duro, come quando lo tocca Isaac, o forse di più, alla vista di quei due. Uomini. 

Quei due guerrieri che hanno lasciato cadere le loro maschere stoiche, più nudi di quanto siano svestiti. 

Non ha mai visto il maestro perdere il controllo a quel modo. 

Tutto il suo corpo brucia, anche se l’interno della baracca è gelido; traballa e sfiora la porta, un cigolio straziante di cardini lo congela sul posto. 

Non riesce a muoversi nemmeno quando la porta si spalanca e inquadra lo straniero. È tutto nudo, i capelli biondi gli coprono le spalle e la schiena come un mantello regale. I suoi occhi tempestosi lo ipnotizzano, il suo uccello ritto punta verso di lui come un’arma. 

Apre la bocca ma non ha niente da dire. 

Lo straniero fa un sorrisetto malizioso. 

“Ti prego—“ geme lui, senza voce. 

“Camus? Indovina chi c’è qui?” Lo straniero si volta verso il suo maestro.

Gli tremano le ginocchia. Non avrebbe mai dovuto fermarsi contro questa maledetta porta. Ora è nei guai più seri di tutta la sua vita.

Sente il letto cigolare, intravvede il maestro avvicinarsi, dietro le spalle larghe dello straniero. Ondate di caldo e freddo lo percorrono, cerca qualcosa da dire ma non gli viene niente, anche la sua lingua è paralizzata, mentre il maestro divora la stanza in tre passi, nello svolazzare feroce dei capelli rossi fuoco. I suoi occhi allungati mandano fiamme, sposta di lato lo straniero con un gesto brusco e si ferma a gambe divaricate davanti a lui. 

“Hyoga—“ La sua voce è più gelida del ghiaccio, alza un pugno verso di lui. 

“Scusate,” geme; cade in ginocchio di fronte al maestro, la voce gli si blocca in gola. È tutto finito, l’ha combinata troppo grossa. Ora il maestro lo caccerà dalla sua casa, interromperà la sua formazione. Non diventerà mai un santo di Atena. China la faccia a terra e non sa dire altro. 

Il maestro lo prende per i capelli, è costretto ad alzare la testa, a guardarlo negli occhi, rossi come il sole al tramonto quando si inabissa nel mare del Nord. “Che ci facevi lì?” Gli chiede fra i denti.

“Io—“ Deglutisce cercando di scollare la lingua dal fondo della bocca. “Io stavo tornando dal bagno. Ho sentito dei rumori. Temevo che—“ si ferma. Come fa a dire che per un attimo ha creduto che la vita del maestro fosse in pericolo. Ha creduto che sarebbe stato in grado di difenderlo da quell’uomo teso di muscoli, venuto direttamente dalla Grecia.

“Temevi che?” Il maestro non lascia la presa sui suoi capelli, si ritrova con la bocca troppo vicina al suo. 

Al suo. 

È umido, ancora duro. Roseo contro la pelle pallida delle sue cosce.

Chiude gli occhi. Magari ora si sveglia di fianco ad Isaac, stretto nel suo abbraccio. Col bisogno urgente di pisciare. Stavolta torna dritto alla loro stanza.

Ma quando li riapre lo sguardo del maestro è ancora fisso nel suo. 

“Temevo che quest’uomo—“

“Milo,” interviene quello sorridendo. “Temevi volessi fare del male a Camus?”

Annuisce senza dire niente, si sente la faccia molto calda. 

“Ma che carino.” Milo ridacchia. “Vedi, era preoccupato per te.”

Gli occhi del maestro non si ammorbidiscono. “E allora perché non sei tornato alla tua stanza quando ti sei reso conto che—“ fa una pausa lunga, distoglie lo sguardo per un attimo. “Che era tutto a posto?”

“Oh, anche troppo a posto.” Milo dà di gomito al maestro, l’altro si volta di scatto aggrottando le sopracciglia. 

“Non ti ci mettere anche tu.”

“Forse perché gli piaceva quello che stava vedendo.” Milo ridacchia,

Sotto i suoi occhi si sente, un insetto trafitto da uno spillo. Gli si fermano in mezzo alle gambe.

È ancora duro, lo sente. Di sicuro si vede sotto il tessuto fine delle braghe. Non dice nulla, cerca solo di abbassare la testa, ma le dita del maestro sono ancora intrecciate ai suoi capelli. 

“Sì?” Ammette con la voce tremante. 

Il maestro allenta la presa su di lui, è libero di abbassare di nuovo la faccia anche se non è sufficiente, vorrebbe morire, scomparire sotto metri di terra e ghiaccio e mare, non è più degno di guardarlo in faccia. Mai più. 

“Vai nella tua stanza. Domani torni in Giappone.” 

Annuisce senza alzare la testa. È giusto così. L’unica soluzione possibile.

Lo straniero fa un passo verso di lui, una mano tiepida gli accarezza la guancia. “Ma dai Camus, esageri. In fin dei conti ti ha fatto un complimento.” Gli fa alzare la testa, i suoi occhi sono chiari, trasparenti. Lo scavano dentro. “Pensi che il nostro Camus sia bello?”

Nostro? 

Annuisce, guardandolo fisso, perché è vero, perché cerca sempre di rubare di sottecchi un’occhiata del suo maestro. Perché Camus è l’uomo più affascinante che abbia mai visto. Così fiero. E tanto a questo punto non ha niente da perdere.

Domani sarà in Giappone. Sconfitto. 

Milo ride. “Hai buon gusto, ragazzino. Lo penso anch’io.” 

“Milo!” Il maestro ha ancora la faccia arrabbiata, ma forse le sue sopracciglia sono un pochino meno aggrottate di prima.

“Mettiti nei suoi panni, Camus. Nel pieno della tempesta ormonale, qui segregato nel nulla a prendere a pugni ghiacciai ed orsi.”

“Non lo abbiamo fatto tutti?” La voce del maestro è gelida. 

“Certo, ma ognuno di noi ha trovato il suo sfogo.” Milo ride ancora. “Almeno io, o sarei esploso. E anche tu mi pare.” 

“È inutile discuterne ora,” borbotta il maestro. Poi lo guarda fisso. “Torna a dormire Hyoga; domani deciderò cosa fare a mente fredda.”

“Sì signore,” mormora e cerca di chinare la testa in segno di rispetto, ma la mano di Milo lo trattiene. 

“Perché non resti invece?”

Il maestro si volta di scatto verso il suo amico. “Che ti viene in mente?”

Milo fa un mezzo sorriso saputello. “Sei crudele, Camus. Ha appena ammesso che gli piacciamo, e tu vuoi mandarlo  via così. guarda cos’ha in mezzo alle gambe.” 

Sussulta e si chiude le mani in grembo. Ma è troppo tardi. Il maestro fa un verso sfastidiato. “Fuori discussione. Hyoga è troppo giovane per queste cose.”

“Abbastanza grande per togliere la vita a una persona ma troppo giovane per una battaglia fra le lenzuola? Ti stai sentendo, Camus?”

Camus sospira. “Hyoga non ha mai ucciso nessuno. A parte qualche orso.”

Chiude gli occhi, le loro voci gli rimbombano in testa. Resterebbe davvero se Camus fosse d’accordo? È inutile persino pensarci. Lui non glielo permetterebbe mai. 

“Ma quanto ci vorrà prima che accada? Credi che non sarà chiamato al suo dovere quando sarà il momento?”

“Solo se sarà un Santo per quel giorno. E continuando così subito che ci arrivi.” Camus toglie la mano di Milo dalla sua faccia. “Tornatene a letto, Hyoga.”

Le parole del maestro lo colpiscono come staffilate, ma non riescono ad acquietare il fuoco che Milo gli ha acceso dentro 

Perché non ti fermi invece? 

Per un attimo fugace prova ad immaginarsi fra quei due. Che cosa gli farebbero? Il maestro, bello e delicato come una donna, e quello straniero alto e massiccio dai capelli d’oro. Lo ha visto prendere in bocca il maestro, e il suo viso sfarsi nel piacere. Chissà cosa si prova, lui conosce solo le mani ruvide di Isaac, sbucciate dagli allenamenti. 

L’odore selvatico del membro del maestro, ancora troppo vicino alle sue labbra, gli manda il cervello in pappa, L’impulso di. 

Assaggiarlo. 

Succhiarlo.

Sentirselo in bocca. 

È troppo forte.

Non può resistere. 

Guarda negli occhi il maestro, poi Milo. La disperazione gli monta dentro al pensiero che dovrà alzarsi e andarsene, ora. 

Non può rischiare è già stato graziato una volta, forse se è in grado di resistere e tornare alla sua stanza domani il maestro avrà sbollito e gli permetterà di restare fino alla fine dell’addestramento. 

Annuisce. 

Si alza in piedi, gli tremano le gambe e non è il freddo. 

Milo si china su di lui, gli prende la faccia fra le mani e appoggia la bocca sulla sua. È tiepida e morbida, non sa sottrarsi al contatto. 

Non credeva fosse così. Bello. Lascia penzolare le braccia lungo i fianchi e socchiude le labbra alla lingua di Milo, gli sembra che cadrebbe, se non ci fossero le sue mani gentili a sorreggerlo. 

“Ma che fai!?” Il maestro prende ognuno di loro per una spalla, come per provare a dividerli, ma Milo gli si fa più addosso, gli affonda le dita nei capelli, non riesce a respirare e ansima, cercando aria, o forse è quel bacio. Che gli fa tremare tutti i nervi. 

“Basta ho detto. È il mio allievo, è mia la responsabilità su di lui.”

Milo si fa indietro, un sorriso indisponente gli stira le labbra. “Solo di addestrarlo o anche di mantenerlo illibato?”

Il maestro aggrotta le sopracciglia e lui sa che è peggio che morto. “Domani ve ne andate tutti e due.”

Gli occhi azzurri di Milo catturano i suoi. “Non ascoltare zio Camus. È nervoso perché non gli ho ancora dato la sua mercede.” 

“Ora basta. Io me ne torno a letto. Trovati un altro posto dove dormire, Milo, questa stanza è troppo piccola per tutti e due.”

Il maestro si volta, piccato, torna verso il letto. Milo gli fa l’occhiolino. “Sai che sei carino, ragazzetto? Sai di buono.”

Lui lo guarda frastornato. “Ma signor Milo—“

Milo si sganascia. “Signor Milo? Hai sentito Camus???”

“Non voglio più sentire niente.” Il maestro si siede sul bordo del letto, con i piedi appoggiati a terra. “Soprattutto tu, Milo. Da te non mi aspettavo una cosa del genere. Hyoga è giovane, e sconsiderato. Ma tu—“

Milo lo prende sottobraccio e praticamente lo trascina di fronte al maestro. I suoi capelli gli solleticano la spalla nuda, sono più morbidi di un gattino, profumano di fiori selvatici e miele. 

Dovrebbe svincolarsi e uscire da quella porta, davvero, lasciare il maestro e Milo ai loro giochi d’amore. 

Ma ormai non può, perché si vede già in mezzo a loro. 

Milo si inginocchia ai piedi del maestro, gli appoggia un bacio sulla coscia bianca. 

“Milo!”

“Camus. Fra qualche giorno dovrò andarmene. Cerchiamo di non passare tutto il tempo a litigare.” La voce di Milo suona melliflua. Le sue mani sembrano molto grandi, e abbronzate, sulle ginocchia lattee del maestro. Preme per fargli aprire le gambe ma il maestro resiste.

“Il problema è che sei uno stronzo. E io non ho abbastanza forza di volontà, apparentemente.” 

Milo ride e dà uno strattone, riesce a separare le cosce del maestro quanto basta per tuffarci la faccia in mezzo. 

“Milo—no-h.” La voce del maestro si spezza in un singhiozzo. La mano di Milo sale ad accarezzargli il torace nudo, il collo, la guancia. Il maestro socchiude le labbra e si abbandona a quel tocco.

Fissa la curva morbida della sua bocca; muore dal desiderio di baciarlo e non sa muoversi dal punto esatto dove Milo l’ha lasciato. 

Ma poi gli occhi del maestro cercano i suoi. “Hyoga.” Chiama piano. 

Si avvicina, abbassa lo sguardo.  “Devo andarmene?” Chiede con un filo di voce. 

Il maestro non dice nulla, caccia un respiro spezzato. “Tu—“ si lecca le labbra. “Oh, abbozzala Milo vedi che hai raggiunto il tuo scopo?”

Milo appoggia il mento sulla coscia del maestro con un sorriso malandrino. Un filo di saliva gli cola dalla bocca. 

“È un lavoro difficile addestrare i Santi di Atena, Hyoga. Io.” Il maestro distoglie lo sguardo. “Io l’ho scoperto con te più che con ogni altro, anche se non ho molta esperienza.” Scuote la testa, alza una mano ad accarezzargli la faccia. 

È la prima volta che il maestro ha un gesto così tenero, gli sale il cuore in gola. 

“Sempre combattuto,” mormora il maestro, “fra consolarti e prenderti a calci nel didietro per farti andare avanti. Fra colpirti. E baciarti.”

Qualcosa gli si spezza nel cervello. Si sente gli occhi pizzicare. Camus se lo tira contro e appoggia le labbra sulle sue.

Gli cade addosso con un gemito strozzato, affonda le mani nei suoi capelli di fuoco, freschi e lisci come la seta. Affonda nella sua bocca senza ricordarsi di respirare, non c’è più niente da capire, niente da aspettare, si perde nel mondo del suo maestro, non è gelido.

È più rovente della lava. 

“Maestro—“ mugola nel bacio e gli sembra di recitare una preghiera, un atto di devozione verso quell’uomo che per lui è tutto, che gli ha insegnato tutto quel che è e che sa senza risparmiarsi. 

Ed ora sta per impartirgli l’ultima lezione. 

Per farlo diventare uomo. 

Il maestro si tira indietro; insegue le sue labbra ma lui lo trattiene, mani callose, gentili sulle guance. “Hyoga, guardami.” 

“Maestro—“ non sa dire altro, tutto il suo mondo ora è li, negli occhi pieni di fuoco del suo mentore.

“Io non so se questo sia giusto. Non credo. Ti stai mettendo in pericolo, non puoi portare i sentimenti nella lotta. È un altro punto debole per i tuoi avversari.”

Milo fa un verso sfastidiato. “O la marcia in più che ti regala la vittoria. E lo sai, Camus.”

“Taci, Milo. Non ci voglio pensare.”

Non sa di cosa stiano parlando, ma il maestro ha gli occhi all’improvviso lucidi. 

“Io credo. Io credo che il signor Milo abbia ragione, signore.” Odia il suono tremante della sua voce, ma è vero. È il pensiero di mama adorata che lo ha sostenuto fino a qui. 

Milo ride, si sporge e fa correre la lingua lungo il suo braccio nudo. “Allora direi che siamo a posto. Che ci fai ancora vestito, ragazzino?”

Sussulta. Si è spogliato mille volte di fronte al suo maestro, per farsi controllare lividi e ferite. Per lavarsi. O semplicemente per cambiarsi in fretta i vestiti fradici dopo una nuotata. 

Ora è diverso. Davanti a lui si sente dolorosamente consapevole di ogni centimetro di pelle che dovrà scoprire presto. Terrorizzato e impaziente allo stesso tempo.

Ma non ha il tempo di pensarci, il maestro lo attira fra le sue gambe, Milo si fa indietro per farlo passare e gli aggancia la cintura delle braghe, la fa scendere quel tanto sufficiente per appoggiargli un bacio umido sulla pancia scoperta. Un altro e un altro, e un altro ancora, su ogni centimetro di pelle che gli scopre spogliandolo. Finché raggiunge la chiazza di pelo rado che gli è spuntata da poco sul pube, ci affonda il naso, appoggia la bocca alla base del suo uccello. 

Il suo corpo si inarca, fuori controllo, ricade addosso al maestro che gli sta sfilando la maglietta da sopra la testa. Le carezze delle sue mani tiepide sul torace lo mandano a fuoco, trema ai graffi leggeri delle sue unghie acuminate, rosse come il sangue. Sente le sue labbra sul collo, il suo respiro affrettato nell’orecchio, rovescia la testa sulla sua spalla, gli dà accesso a tutto. Tutto quello che il maestro vuole. 

La bocca rovente di Milo si chiude sul suo glande, perde il fiato in un singhiozzo acuto, in balia di quello straniero che lo divora poco a poco è necessario cedere il controllo. Sul suo corpo stretto addosso al maestro, sulla voce che gli si spezza in un gemito roco, sul suo uccello, duro come mai nella sua breve vita, scoppierà fra poco se non.

Se non.

Il maestro gi prende fra le dita un capezzolo, accarezza e tira e gli fa perdere il senno, non può più resistere, non può fermarsi, spinge le anche contro la faccia di Milo, ruvida di barba, anche se dovrebbe farsi indietro, dovrebbe togliersi dalla sua bocca così morbida, dalla sua lingua che gli accarezza cerchi languidi lungo tutto.

“N–no. Signor.” Non riesce più a respirare, stringe i denti, stringe. Tutto e forse non sarà abbastanza.

“A Milo piace,” gli sussurra il maestro nell’orecchio. “Vieni per lui, Hyoga.”

È

Troppo. 

Chiude gli occhi.

Milo se lo inghiotte intero, lo succhia, forte.

Grida, si aggrappa ai suoi capelli tutto crolla e precipita verso quel punto rovente che ha in mezzo alle gambe, al sicuro nella bocca di Milo, può.

Venire.

In lunghi schizzi che gli tolgono le forze. Si abbandona contro il maestro, al sicuro nella stretta delle sue braccia forti. 

Milo deglutisce, laboriosamente, si lecca le labbra con un sorriso sfatto. 

“Bravo ragazzino,” sussurra alzandosi. Si china sul maestro, gli prende la faccia fra le mani e lo bacia. Per un tempo che sembra molto lungo. “Vuoi giocare ancora?”

Alza la faccia, gli occhi di Milo sono pieni di stelle.” Non sa cosa rispondere, troppo molle per capire qualcosa. Il maestro lo fa scivolare sul letto di peso, lui si allunga fra le lenzuola spiegazzate. Profumate di loro due.

“Sì,” dice sottovoce. 

Stavolta è Milo a prenderlo fra le braccia, a baciarlo fondo, riassaggia il proprio sapore sulla su lingua e già non sta più capendo niente. Poi sente una mano che si stringe sul suo uccello ancora duro, il tocco di unghie aguzze.

La punta di una lingua calda che lo accarezza, giù, dietro il sacchetto teso dello scroto e fra le mele del sedere.

“M–maestro,” ansima, cercando di tirarsi indietro. 

“Sst.” Milo gli accarezza il labbro col pollice. “Ti piace?”

Annuisce anche se ha paura di ammetterlo, persino con se stesso. Ma gli piace, quella lingua che lo esplora, fermandosi a lisciare una ad una tutte le rughette del suo.

Quindi poi il maestro. Entrerà? In lui? Rabbrividisce, il pensiero gli fa bruciare il cervello al calor bianco, singhiozza e si abbandona, cede alle sue carezze bagnate, si lascia penetrare poco a poco. Il maestro conquista la sua volontà, lasciando dietro a sé solo terra bruciata.

Milo lo bacia ancora, annulla la sua volontà. Di nuovo senza fiato, di nuovo rigido sotto la mano del maestro che lo accarezza lentamente. 

“Milo, l’olio per favore.” La voce del maestro è un mormorio dolce, sente la sua lingua sullo scroto, incontra il rosso brillante dei suoi occhi mentre si sporge a prendere la boccetta di vetro iridato dalla mano di Milo. E tiepido e gli fa frizzare la pelle, ansima più forte nella bocca di Milo quando un dito scivoloso del maestro penetra la barriera tesa di muscoli del suo.

Brucia e frizza, emette un verso spezzato e stringe. Ma non può resistere alle carezze lente del maestro, dentro e fuori, allargandosi gentilmente una strada dentro di lui. Un altro dito e lui lo accoglie, si inarca contro le dita di Milo che gli stuzzicano i capezzoli, impotente sotto quel massacro dolce. Milo gli sorride.

“Sei pronto?”

“N-nh.” Cerca di degluitire ma ha la bocca troppo secca. “Voglio. Voglio. Quello che tu mi hai fatto, io.” non riesce a mettere in ordine i pensieri o le parole, solo che vuole inginocchiarsi davanti a quell’uomo forte, e gentile, e resignare la sua resa a lui come già si è arreso al suo maestro. Vuole affondare la bocca sul suo uccello e sentirsi. 

Uno.

Con loro.

Milo fa una smorfia divertita. “Voltati, allora. E mettiti carponi.”

Obbedisce, lottando contro il proprio corpo improvvisamente goffo, si china sul. Sull’odore selvatico di Milo, prende in mano il suo uccello, è grosso e scuro, fa scivolare giù la pelle e prende la punta in bocca. È salato e pulsa contro le sue labbra, lo tiene stretto fra le dita, come farebbe con Isaac, lecca attorno al glande. È buono. O forse no. Non lo sa più, sa solo il bisogno di prenderlo in bocca più a fondo., finchè gli tocca il palato. 

Non vede più il maestro, nascosto dietro di lui, ma sente le sue dita che lo esplorano, fanno cedere l’ultima tensioe e poi cè qualcosa di più grosso e morbido, e scivoloso e caldo che si appoggia con dolcezza contro il. Buco del suo culo.

“Lo vuoi?” Chiede il maestro sottovoce, premendo appena.

“S-ih–” mugola senza fiato, strozzato dall’erezione di Milo. 

Il maestro entra, un pochino, ed è dolore. Ed è piacere che gli fa perdere il senno e la voce in un grido roco. Cola saliva sull’uccello di Milo, strizza lacrime dagli angoli degli occhi. Un altro po’. Il suo corpo non capisce e si contrae, si ritira anche se vorrebbe. Vorrebbe.

“Ti faccio male?” 

Annuisce, chino su Milo. 

“Devo smettere?”

La domanda del maestro buca la nebbia fitta che gli ottunde il cervello.

No!

Scuote la testa con forza. Il respiro di Milo si fa più veloce. Il maestro lo incalza, gentilmente, da dietro, tenendolo per le spalle. Gli scappa una serie di singhiozzi quando sente tutta la punta dentro ed il suo corpo finalmente adattarsi alla sua forma. Succhia Milo, accoglie dentro di sè il maestro senza più dolore, solo.

Fuoco Che lo consuma, lo riduce ad un groviglio ansimante di piacere, cedevole sotto le spinte gentili del maestro, affonda più la bocca l’uccello di Milo, vuole tutto. Pieno fino all’orlo dei due uomini più importanti della sua vita. Preso nel mezzo e non vorrebbe essere da nessun’altra parte. 

“Non durerò ancora tanto,” sussurra Milo.

“Nemmeno io.” la voce del maestro, da dietro, è spezzata, il suo respiro veloce. Non dice niente, solo gli esce di bocca un ruglio da animale, pieno di vocali, perchè anche luì è così vicino, ancora. Ancora un attimo. Il maestro lo tira su, stretto contro di lui, impossibilmente pieno per un attimo infinito. Sente il seme caldo del maestro riempirlo a ondate, lo segue, gli schizza quel poco che ha sulla mano. 

Vede Milo accarezzarsi un paio di volte, un arco bianco di sborra atterrargli sul petto abbronzato.

Poi crolla al suo fianco, ancora stretto al maestro.

Intrappolato fra i loro corpi sudati, la testa vuota, le orecchie gli rimbombano. Li sente dire qualcosa, il tono è tenero. Sorride. Qualcuno lo bacia gentilmente sulla bocca, braccia forti lo tengono stretto.

Le notti in Siberia sanno essere gelide.

Ma il letto del maestro è molto caldo.