Salty cat

Una storia del mio best boi Vanja

Scritta per il COWT13, W6, M3

Warning: un hint di incest, un po’ di p0rn ma niente di cui scrivere a casa, tutti su Vanja (in tre)

Sì lo so mancano le virgolette dei dialoghi. Stavolta va così.

5611 parole

Salty Cat

Con Vanja e le gemelle a questo SaltyCat. Pare sia il posto dove essere e abbiamo un tavolo solo perché le gemelle sono note, qui ci hanno fatto anche delle serate. 

Comunque ci hanno ci hanno stipati in un angolo scuro. Sul ripiano tondo del tavolino c’è appena lo spazio per posare i bicchieri. Ho Vanja quasi addosso, Cassie di fronte. Polly affianco a lei, fanno. Impressione. Lo specchio riflesso una dell’altra, due paia di occhi azzurri, identici, fissi su di noi. Solo il colore dei capelli le distingue.  

Stasera si parla di lavoro. 

Allora è deciso, dice Cassie e sorride molto. Alza il suo screwdriver. Alla svolta sap di bloodyVanja. 

Vanja ride, i bicchieri tintinnano al centro del tavolo. Un terreno inesplorato, dice. Spero sarò all’altezza dei vostri standards. Guarda Cassie e lei se lo mangia tutto intero, con un’occhiata sola. Fa una faccia soddisfatta, ci sta; Vanja è molto. Appetitoso: sorrisino trademark, palpebra bassa. Le clavicole sottili sono tutte da succhiare attraverso il colletto semiaperto della camicina nera. 

Non ti preoccupare, comunque. Basta che lasci fare a noi. Dice Polly. 

Già. Cassie sogghigna appena. E che tu sia molto. Arrendevole.  Avvicina il viso a Vanja, appoggiandosi con la mano sul bordo del tavolino tondo; lui protende appena il collo. Cassie fa presto ad affondarci la faccia. 

Nnh, mugola Vanja e le si schiaccia contro, le mette una mano sulla nuca, fra i capelli candidi. Gli ricadono addosso, lucidi contro il nero della camicina. Lui lascia andare indietro la testa. 

Polly ridacchia, Cassie allontana il viso da Vanja. Lui non si muove, mezzo reclinato contro di lei, occhio chiuso; respiro veloce. Ridacchia anche lei, hanno la voce assolutamente uguale, è. Assurdo. 

Mmh, dice sottovoce. Carino. Ssh. 

Gli appoggia due dita sulle labbra; Vanja socchiude la bocca quel tanto per farsele scivolare un po’ in bocca e le succhia e ci ansima un pochino attorno. Cassie ridacchia ancora, accarezza la guancia di Vanja con il pollice e poi toglie la mano. Mi sa che sei tu a doverci insegnarci qualcosa prima o poi. Ma tu nasci submissive. 

Vanja apre l’occhio, si raddrizza un po’ sulla sedia. Non del tutto. Morbido. 

Infatti, dice. Fa un sorrisino. So essere mellifluo. 

Mellifluo. Morbido. 

Vorrei avercelo contro, ora, essere la spalliera di quella sedia e sentire le punte delle sue scapole affondarmi un pochino nel petto. 

Tiepido. 

Cassie mi guarda e mi sa che non sono l’unico a volersi Vanja addosso. Mi sorride e io di rimando, perché a me piace condividere. Soprattutto se c’è Vanja da spartire, possiamo prenderci il merito. Di fargli accelerare il respiro e irrigidire quel meraviglioso tenero uccello roseo. 

Un po’ per uno. 

E poi mi strizza un occhio, dall’altra parte del tavolino tondo; abbiamo Vanja in mezzo. 

Perfetto. 

Annuisco, lei si sporge ancora verso Vanja, gli prende il mento fra le dita, lo solleva. E poi appoggia le labbra sulle sue e Vanja le socchiude ed io. 

Si fa interessante. In fin dei conti può sempre servire. 

Penso quel pensiero, quel punto nero ai margini che a un certo punto diventa enorme ed apre una via. Verso il decodificatore e giù nei cluster di Vinyl. Aggrappati sotto il salso della laguna. 

Mi stringo a Vanja dall’altro lato, anche se siamo già appiccicati, slaccio un bottone della camicina nera e faccio scivolare un po’ verso il basso il colletto,  lo bacio dove il collo incontra la linea dura della clavicola. Bacino e succhiotto, Vanja mugola nella bocca di Cassie, un altro bottone, appoggio la mano aperta sul suo torace tiepido. Vanja affonda contro lo schienale, Cassie gli prende la nuca nella mano a coppa, abbassa di più il viso su di lui. 

Io sbottono e scendo e quando tutto il suo torace candido è esposto fra i lembi molli della camicina, stringo un po’ il gonfio morbido che ha tra le gambe, attraverso la lana fine dei pantaloncini. 

Nnnh. Vanja si inarca, le sue dita mi stringono una gamba. Rimane fermo. A farsi mangiare la bocca da Cassie. Sbottono anche i pantaloncini, Vanja è sempre. Un premio che va meritato. Giù la zip. 

Infilo la mano sotto il pizzo sottile, contro il suo uccello. Umido. Durissimo, mi pulsa tra le dita quando gliele chiudo attorno. Vanja singhiozza, la stretta delle sue dita si rilascia attorno alla mia gamba.

Cassie alza il viso, Vanja rimane con la testa all’indietro, un filo di saliva esce dalle labbra socchiuse. Respira ad ansimi lunghi mentre lavoro nell’ombra, sotto il tavolino, cercando di abbassargli le mutandine quel tanto per liberare l’uccello. 

Che carino, sussurra Cassie e gli dà un bacio all’angolo della bocca. Gli succhia il labbro inferiore. Infila una mano sotto la camicina, prende un capezzolo tra pollice e indice, lo gira un pochino. Con delicatezza, come farei. 

Io. 

Come chi sa trattare le cose preziose. 

Mi piace Cassie, mi piace. Divido molto volentieri. 

Libero. L’uccello di Vanja mi rimbalza in mano, stringo tutta la lunghezza tra le dita, faccio scorrere un pochino la pelle verso il basso. Cassie tira un po’ più forte sul capezzolo.

Ah-hn. Vanja mugola e scivola ancora più giù, quasi sdraiato contro lo schienale alto, imbottito della sedia. 

Bellissimo. Vorrei. Essere nel camerino e togliergli ognuno dei pochi vestiti che ha addosso e baciarlo e leccarlo, dovunque, finché. Non si scorda il suo nome.

Sssh dice Cassie e gli chiude la bocca con la sua. 

Inutile, c’è chiasso al Salty Cat e gente ammucchiata, bicchieri che girano. Anche standogli attaccato faccio fatica a sentire Vanja. Nessuno fa caso ad un ragazzo, bellissimo, che scivola pian piano sotto l’orlo di un tavolino; a due persone chine su di lui. 

Le peggio cose.

Tolgo la mano dal suo uccello, per un po’ di saliva, Vanja si lamenta sotto Cassie, e poi sussulta e mi si aggrappa ancora alla gamba, il respiro gli si blocca in gola, cosa? Mentre gli rimetto le dita attorno all’uccello, incontro. Labbra. Guardo nell’ombra sotto il tavolino; Polly ricambia lo sguardo e poi toglie la bocca dall’uccello di Vanja.

Posso? Chiede e sorride e strizza un pochino la pelle attorno alla punta, fra pollice ed indice. Vanja ansima, più forte.

Certo, le dico e le faccio l’occhiolino, come prima Cassie. Sposto la mano di lato, accarezzo la pelle morbida della coscia e più giù il sacchettino tenero delle palle. So che. 

Polly sorride di più e si china e. Succhia. Su e giù, con la testa.

Hhhnnn. Hnn. Vanja scivola di lato, sfugge alle labbra di Cassie, semisdraiato sulle sue ginocchia, su e giù. Polly è una professionista, l’uccello di Vanja le entra tutto in bocca. Io lo accarezzo da sotto; mi cola saliva sulle dita. 

Questo è. Perfetto. 

Perché così posso far scivolare un dito più indietro, lungo la mandorla di pelle liscia; mi ritrovo sotto il polpastrello il buchino del culo di Vanja. Cedevole quando ci infilo la punta dell’indice. 

Ha-h. Hahn. Vanja rovescia la testa all’indietro sulle gambe di Cassie. Lei ridacchia, gli mette una mano sulla bocca. 

Ssh, dice ancora. 

Stasera il trucco è far star zitto Vanja. Apparentemente. 

Un cameriere di passaggio due tavoli più in là si volta dalla nostra parte, alza un sopracciglio, scuote la testa. 

Ho una mano libera, faccio il segno di ok,. Sta un po’ male. Indico con la testa nella direzione dove Vanja è scivolato quasi sotto il tavolo, ridacchio, strizzo un occhio al cameriere e mi porto l’ok di prima alla bocca, il pollice teso è il collo della bottiglia. Bevuto troppo, dico ancora e alzo le spalle. 

Il cameriere unisce pollice ed indice a cerchio. Capito. Se ne va col vassoio sotto il braccio, fendendo la folla densa. 

Quando mi volto, le dita di Cassie sono affondate in bocca a Vanja. Il suo petto si alza e si abbassa, veloce, inarcato. Riverso contro di lei; gli spingo più in fondo il dito in culo, lui preme contro la mia mano, Polly succhia più veloce. Labbra umide, su e giù, suegiusu, l’uccello di Vanja luccica nella penombra del locale, nell’ombra tonda del tavolino, lui mugola sotto le dita di Cassie, tolgo pianino l’indice e ci aggiungo il medio. Lentamente. E quando sono quasi in fondo mi fermo, Vanja singhiozza, un po’ più fuori, e poi affondo le dita finché posso, e ancora un po’ di più, la carne morbida del suo culetto premuta contro le nocche, e le rigiro dentro di lui e Vanja singhiozza più lungo. 

Mi. 

Distrae, il mio uccello. Premuto contro i jeans. Davvero, vorrei essere la sedia su cui Vanja è riverso, una sedia. Con il cazzo. Almeno ho le dita. 

Affondate dentro di lui, dentro, fuori, sbattendo contro il fresco delle sue mele. Tonde. Finché si irrigidisce tutto e gli esce un gridolino soffocato, un treno di ansiti veloci, il suo culetto si contrae attorno alle mie dita, Polly. Si ferma, la mano stretta sul suo uccello. Deglutisce, labbra strette. 

E alza il viso; l’uccello di Vanja le ricade sul palmo della mano, lei si abbassa di nuovo, lecca la punta pulita. Vanja sussulta. Gli tremano le gambe, in equilibrio precario con la schiena quasi tutta sulla sedia, il culetto sporto oltre il bordo. 

Sempre pensato che fossi un po ‘sprecato per quelle cose che fai, sussurra Cassie guardandoselo tutto. Ora ho la certezza. Prende fra pollice e indice il capezzolino di Vanja, tira un po’. 

Vanja sta ancora ansimando, si copre l’occhio con un braccio. La sua pelle è luminosa nella penombra rossastra. 

Dovete. Essere. Impazziti. Articola, mentre cerca di riprendere fiato. Sotto il tavolo Polly gli tira su le mutandine, oltre le anche strette. Fanno fatica a contenere il suo uccello, ancora un poi’ duro; lembi di pelle rosea occhieggiano sotto il pizzo. Non. 

Io sono debole. 

Mi chino sotto il tavolino, incontro la faccia di Polly. Scusa? Dico e sorrido e anche lei sorride, un po’ di più e si tira indietro. Abbasso la faccia sull’uccello di Vanja, inalo l’odore selvatico della sua sborra, un bacino, un altro, la voce di Vanja è fioca. 

Ti ci metti. Anche tu? Schiaccia il mento sul petto per guardarmi, sta sorridendo. Un pochino anche se cerca di aggrottare le sopracciglia. 

Scusa, dico piano ma infilo comunque la lingua sotto l’elastico delle mutandine, assaggio la punta salata del suo uccello. 

Nh. Per. Favore? Sospira e lascia ricadere la testa all’indietro. 

Solo perché chiedi per favore, sussurro e tiro su i pantaloncini. Chiudo il bottone, la zip. 

Anche la camicina ha i suoi bottoni, minuscoli. Li allaccio uno ad uno finché dal colletto semiaperto occhieggiano solo le linee molto dritte delle sue clavicole.

Vieni su? Gli dico sottovoce. 

Vanja mi sorride. Grazie. Sí. 

Sorride e mi sa che ho una faccia strana. 

Beh? Dice e si aggrappa alla sedia ma non si tira su. Anzi. Scivola un un altro pochino verso il basso e mi trovo le labbra perfettamente allineate con le sue, devo solo. Mi appendo con il braccio alla spalliera. 

Abbassarmi. Vanja apre la bocca, morbida. Calda, mi piace affondarci. Aspettavo. Da prima.  

Cassie china su di lui, io divido. Volentieri. 

Però, un pochino. 

Un piccolo tributo anche a me, che devo guardare sempre Vanja. 

Sfatto. 

All’uccello che ancora preme contro i jeans, che ancora non ha trovato pace. 

Vanja mi si aggancia al collo con il braccio, mi tira più contro di lui, nh. 

Tutto. 

Mi scivola il braccio sulla spalliera, gli cado addosso, Vanja non lascia la presa su di me, non allontana. 

La faccia per respirare. Mi tiene. 

Stretto contro di lui, tutta la lingua in bocca. Nh. 

Ancora. Dita magre sulla faccia. Mi alzo un pochino. Vanja? Va tutto bene? 

Nh. Vanja apre un po’ la bocca, mi tira giù, di nuovo, come. 

Se le nostre vite dipendessero da questo. 

Non. Non mi interessa. Va sempre bene finché c’è Vanja. Che mi stringe contro di lui. Che lascia entrare la mia lingua fra le labbra, mi ansima in bocca. 

Passa un sacco di tempo. Credo. Perché quando Vanja lascia andare la testa all’indietro faccio fatica a respirare. Ritrovo il sostegno della spalliera, riesco a sollevarmi un po’ dal suo torace magro. 

Nh. Vanja rialza la faccia, un pochino, mi accarezza la guancia. Sorride. 

Lo guardo, non. 

Vanja sorride di più. Sempre te, dice. Ridacchia. Che ci avrai, il miele?

Mi sento all’improvviso la faccia molto calda. Meh, dico sottovoce.

Vanja tira su la testa un altro po’, mi appoggia un bacino all’angolo della bocca. 

Sei veramente un idiota. Dice e ridacchia ancora. Alzati, fai. Diventiamo maleducati. 

Penso che forse ha ragione, anche se in fin dei conti è stato lui a trascinarmi qui sotto. 

Tiri il sasso e nascondi la mano, borbotto. 

Vanja alza le spalle. Che ci posso fare. È colpa mia se avevo voglia di un bacino? Sei così. Irresistibile. Sorride e non capisco. 

Mi sembra. 

Mah. Può davvero parlare sul serio. E se no. Perché. Perché? Mi aggrappo alla spalliera, emergo da sotto il tavolino ed ho. Occhi. Addosso. Non solo le gemelle; mi sembra che metà del locale sia voltato nella nostra direzione. 

Discreto non è l’aggettivo di Vanja. 

Ancora faccia molto molto calda; finalmente spunta anche Vanja. 

È scabrosa, dico sottovoce. Vanja si alza in piedi, stretto fra tavolino e muro, un ginocchio sull’imbottitura della sedia.  Da lì guarda tutti gli occhi fissi su di noi, allarga le braccia. Scusate. Dice a voce alta. È colpa sua. Mi indica. Dubito comunque che le sue parole raggiungano più delle dieci persone attorno, ma il sorrisino di Vanja dice un sacco di cose. È irresistibile, dice e mi sa che ho la faccia tipo scottatura e spero che il posto sia molto molto buio come sembra. 

Qualcuno ride e qualcuno fa segno di ok. Vanja si inchina un pochino, ride anche lui, si risiede. 

Sei pessimo, gli sibilo nell’orecchio.

Cassie batte le mani. Incredibile, dice. Anzi, incredibili. Ma che carini. Come fate?

Vanja alza le spalle, si gratta la nuca. Professionalità. Questa è la parola. 

Fa ridere sentirlo da lui, dopo che si è fatto succhiare l’uccello sotto il tavolino di uno dei posti più in vista della zona universitaria. 

Guarda me, poi Cassie; si strofina la fronte. Almeno qui non mi conoscono; dice e sospira. Non so se voi.  

Polly agita una mano, sorride. Tutta pubblicità, e comunque fino a poco fa si stavano ancora facendo tutti i fatti loro. 

È stato quando. Alex ti è caduto addosso, interviene Cassie, ridacchia. Che sfigati, si sono persi la parte succosa. Mi guarda, fa l’occhiolino. A proposito, lo porti il ragazzone, vero? 

Vanja si volta verso di me, sorriso angelico. Non faccio niente senza il ragazzone. Viene col pacchetto Vanja. E comunque è anche quello che gira. 

Ma come? Polly spalanca gli occhi. Eppure gli vediamo sempre tutte e due quelle manone, con cui ti fa cose

Sonda neurale, borbotto e d’istinto la mano mi sale lungo il colllo a sfiorare il punto dietro l’orecchio destro dove lui. Dorme. 

Aspettando. 

Che io pensi quel pensiero gli dia in pasto. 

Me. 

Nascondo le mani sotto il tavolo, sfioro l’uccello che preme, contro i jeans. Di fianco a me, Polly non stacca lo sguardo da Cassie, si morde il labbro inferiore; mi chiedo. Quanto siano bagnate quelle due sotto le gonnelline corte. 

Cosa si faranno a vicenda, quando la serata con noi sarà finita, gambe intrecciate sotto le lenzuola bianche. 

Cosa farò io a Vanja, dopo? Non so. Se avrò il coraggio di allungare le dita verso di lui, se lui si lascerà toccare. Con Vanja mi sembra di non sapere mai niente. Forse finirò nel bagno buio del camerino a farmi una sega. Immaginandomelo nudo e sorridente fra le lenzuola nere del letto. Luminoso.

E io loser. Sempre.

Uh. Vanja scivola un pochino contro lo schienale, allunga la mano verso il suo drink. Tutto sciolto. Tira una sorsata lunga dalla cannuccia. Mi avete distrutto, dice. Pazzi. Si appoggia il bicchiere contro una guancia. 

Polly ride. Mi sembra un ottimo inizio, dice e io mi rendo conto che sto ancora registrando. Interrompo; il puntino si richiude e riposa, al margine. Pronto. Per inghiottirmi tutto ancora e ancora.

Finché ce ne sarà bisogno.

Finché Vanja me lo chiederà.

Nudo e sorridente. Mi sfrego gli occhi, è troppo buio e troppo caldo e non riesco più a stare seduto. Stretto, vicino a Vanja.

Tutto sfatto contro la spalliera della sedia, un sorrisino sazio sulle labbra sottili. Essere submissive ha i suoi lati positivi. 

Vado in bagno, dico. Scusatemi. Già in piedi, puntellandomi sul bordo della sedia; difficile manovrare nello spazio stretto fra muro e tavolino.

Aspetta. Vengo anch’io. Vanja mi prende il braccio. Devo sciacquarmi la faccia. Mi fa tanto caldo. Sguardo a Cassie e Polly, sorrisino. Ci scusate poco poco?

Loro si guardano, ridacchiano. Cassie ci scaccia con la mano. Sciò sciò, dice. Manteniamo la posizione. Non abbiamo fretta.

Non capisco, ma anche Vanja ridacchia e allunga le gambe oltre la mia sedia, il culetto le segue, le punte degli stivali alti raggiungono le piastrelle. Vanja inarca un po’ la schiena alzandosi, la camicina svolazza intorno al suo corpo piccolo. 

Cassie ha la mascella leggermente scesa. Vanja sorride; a dopo, dice.

Lui e il suo maledetto. Film. 

Ventiquattrosette.

Andiamo? Mi afferra la mano, iniziamo a fendere la folla densa e sudata. Tavolini, sedie, piedi da non calpestare, gomiti. E occhi. Molti occhi. Molto truccati, ci guardano tutti, ormai ci conoscono, e a me pare.

Che prima valutino Vanja, che mi trascina attraverso di loro e poi me e poi Vanja ancora, come se. 

La mia qualità è nascosta, penso. E non è un bel cazzo. La mia qualità è peculiare e mi è costata lacrime e sangue. La mia qualità la porto conficcata in testa ed è quello che lui vuole. Quindi smettetela di guardarmi. 

Stringo le dita su quelle di Vanja; lui si gira e mi guarda, sorride. 

Se mi guarda lui mi piace. Alza un sopracciglio. Ci sei?

Sì. Schivo una tipa cicciotta e fuxia e gli sono contro. Vanja alza la faccia, abbasso la mia ed è. Bacio. Bacio, bacino, il braccio di Vanja agganciato al collo, labbra molto. Molto morbide. Profumo di limone e menta. 

E dolore. Dentro i jeans stretti, schiacciato contro la schiena dura di Vanja. 

Mi farai morire, borbotto quando lascia la presa. 

Vanja fa la faccia molto dispiaciuta, le sue labbra si muovono ma non riesco a sentire, troppo casino, voci alte cercando di salire oltre l’acid dub di sottofondo. 

Cosa? Grido ma lui scuote la testa, mi fa segno girando un dito. Dopo gli leggo sulle labbra, stiamo costeggiando il bancone del bar, qui c’è ancora più gente, file per i drinks, la musica ci schiaffeggia dalle casse appollaiate sopra le file di bottiglie. 

Le luci arancioni intermittenti del bancone mi feriscono gli occhi, Vanja mi trascina, al suo passaggio  sembra che la calca si apra, un’ala di denti e bicchieri luccicanti ci scorta al cesso. 

Vanja spinge la porta, il rettangolo di luce gialla è un tunnel per un’altra dimensione. Quando si richiude alle mie spalle, c’è quasi silenzio. Vanja continua a trascinarmi, oltre la ressa del bagno delle donne. 

E poi rallenta, si ferma, puntellandosi sullo stipite, all’entrata per i maschi. Ora devo vomitare per davvero, annuncia a mezza voce. Articola male. 

Uno davanti ai lavandini si volta, Vanja strappa la mano dalla mia e se la preme sulla bocca, piegato in avanti. 

Vanja? Chiedo; lo prendo per le spalle, sembra che stia per cadere. 

Certo mezzo mojito. Tutto sciolto. E Vanja non è tipo da sentirsi male per un pompino sotto il tavolo di un cocktail bar. 

Mmfgh, mugola Vanja dietro alle dita che tiene schiacciate sulle labbra; fa un passo in avanti, un altro, un conato gli incurva le spalle, si blocca in mezzo all’antibagno. 

Permesso?!? Dico a voce un po’ alta, movimento di gente che si allontana, a semicerchio, ma io vedo solo Vanja, il suo collo bianco piegato. 

Mi chino su di lui, lo tengo stretto. Vanja, come va?

Vanja scuote la testa. China. Mano sempre sulla bocca. Lo spingo avanti, verso le due porte dei cessi. Chiuse. Vanja si toglie la mano da davanti alla bocca, respira lungo. 

Meglio? Chiedo. 

Vanja mugola e si riappiccica le dita sulle labbra. 

No eh, gli sussurro nell’orecchio. Vanja si piega un altro pochino. 

Questo è il bagno degli uomini, sento da dietro, e sto per voltarmi quando una delle porte si apre. 

Non è il momento di discutere, trascino Vanja dentro il cesso. 

Veloce. 

Lo posiziono davanti al water, piegato in avanti; con un braccio me lo stringo contro, con l’altro gli tengo la fronte. 

Cos’è che ti ha fatto male? Chiedo a Vanja, chinato si di lui. Non credo che. 

La porta, risponde lui sottovoce. 

La. Porta? 

Chiudila. 

Ma, Vanja. É già. 

A chiave. Dice e spinge all’indietro, tirandosi su contro di me. 

Vanja?

Vanja ridacchia, schiacciandomi contro il legno; perdo un po’ la presa, lui si rigira nel mio abbraccio, ora. Sorridente. Guance rosse. 

Povero Alex, sussurra. Tutto duro. Ridacchia di nuovo, mi mette una mano aperta sulla patta dei jeans, con l’altra cerca dietro la mia schiena. 

Sento il click della serratura. 

Povero Alex, ripete e lavora sulla fibbia della cintura. In punta di piedi, pressato contro di me, appoggia l’altra mano di fianco al mio collo, contro la porta. 

Positivamente. Intrappolato. Pianta la bocca sulla mia; i bottoni dei jeans cedono uno ad uno nello spazio. Esiguo fra me e lui. 

Limone e menta 

Buono. Fresco. 

Perfetto. 

Gli prendo la faccia fra le mani; mi chino e affondo di più la lingua. 

Mmmh, Vah-hahn-jah. 

Dita fresche, dentro i jeans, sull’uccello, mi fa. Male. E bene. Vanja scivola accucciato, tutto contro di me, lasciandomi una traccia di baci lungo il collo, il petto, labbra umide attraverso il tessuto bucato della maglietta di design, finché non ha la faccia all’altezza del mio cavallo. Apre i lembi della patta e. Il mio uccello ha vita propria, vola fuori dalla sua prigione di tessuto ruvido. Atterra preciso sul labbro inferiore di Vanja, sul pezzettino di lingua rosa che sporge dalla sua bocca semiaperta. 

Mmh, mugola lui afferrandolo, tirando  la pelle in su. Fa scorrere la lingua sulla punta tutta esposta. 

Uh. Mi tremano le gambe, devo. Schiacciarmi forte contro la porta.

Nnh, no. Vanja. Così. Mi fai venire. 

Vanja alza la testa, mi guarda di sotto in su, accucciato. Ai miei piedi. È esattamente la mia intenzione, dice sottovoce e mi rimette le labbra sulla punta dell’uccello. 

Vanj. Ah. 

Vanja solleva la testa di nuovo, un sorrisino piccolo, potrei. Solo guardandolo. Ssh. E si china, mi prende l’uccello in. Bocca. Caldissima e. Morbida. Come. 

Mi esce un singhiozzo, dita contratte contro la porta. Devo. 

Restare in piedi è difficilissimo, Vanja ha. Metodo. Ed ogni volta che la sua testa scende, un pezzettino in più. Entra. Devo. Spingo con le anche contro la sua faccia. Non. 

Va bene. Non posso fermarmi, Vanja si aggrappa alla mia vita e mi viene incontro, ad ogni colpo un po’. Più in fondo. Finché non c’è più tempo e gli prendo la testa tra le mani, cerco di tirarlo indietro, non è cosa. Il mio datore di lavoro coscialunga ora non stiamo mica girando ora, non. 

Van. Nh. Noh. 

Mmh. 

Mi stringe più forte la vita, io. 

Non riesco a fermarmi, ora.  

A spruzzi lunghi, nella sua bocca. Mani affondate nei suoi capelli morbidi. Dita magre nella carne, respiro bloccato. In gola. 

Non. Credo di poter stare in piedi. Più. 

Dita ancora. Sull’uccello. Fuori dal rifugio sicuro della bocca di Vanja, comunque sul palmo della sua mano. 

Mi guarda, inghiotte, ridacchia. Ha il fiato corto. Schizzi della mia sborra attorno alla bocca. 

È. 

Bellissimo. 

Scivolo giù accucciato, schiena contro la porta, e siamo occhio negli occhi. 

Meglio? Sussurra stringendo ancora il mio uccello fra le dita. 

Certo. Anche te. A follia. Rispondo ansimando. 

Vanja sogghigna, mi accarezza la faccia con l’altra mano.  Mi sentivo in  colpa, dice. Il mio prezioso collaboratore. 

Si lecca le labbra. Mi sa che sono un disastro, dice. 

Positivamente impresentabile, rispondo. 

Vanja ride ancora. C’è carta almeno? 

Volto la testa. Ovviamente no. Aspetta.

Mi chino su di lui, gli prendo la faccia fra le mani. 

Lecco via il grosso. È roba mia, alla fine.  Yogurt. Salato. Chissene. 

Vanja sorride. Buongustaio, dice. Baciami. 

Obbedisco. Alla mia regina seminuda. Che sa di animale e menta. Qualsiasi cosa per. Questo. Finalmente. 

Capisco. 

Qual è la ricompensa che. Mi serve. Che mi fa. Vivere. 

Nel cesso sporco di un cocktail bar. 

Accucciati uno di fronte all’altro, come bambini, la faccia piccola di Vanja tutta fra le mani. Tutta la sua lingua in bocca. Sa di. Me. 

Alzati,  sussurra alla fine. Dovremmo uscire. 

Annuisco. Non riuscirei a parlare

Vanja si tira in piedi aggrappandosi alle mie spalle; ho le sue cosce bianche all’altezza del naso, me le tiro contro prendendole da dietro, tutte. Nelle mani, ci affondo la faccia. Bacio. La carne morbida di Vanja; sbilanciato, il suo peso addosso  alle spalle, appoggia una guancia contro la mia testa. 

Bacio e salgo e sento il suo uccello. Rigido. Di nuovo, sotto i pantaloncini. Gli dó un morso piccolo, Vanja mi affonda dita dure nelle spalle. 

Smettila subito, sibila fra i denti. Alzo la testa. Sicuro? Chiedo. 

Sicuro. Vanja cerca di scivolare all’indietro, ma lo sto tenendo stretto. Aggrotta le sopracciglia, poi ride. Si, purtroppo. Dai, alzati. Non possiamo stare qui tutta la notte. 

Ti. Piacerebbe? 

Vanja mi guarda, si morde il labbro. Mi dà un bacio sulla testa. Alzati, dice alla fine. Avremo fatto fila. 

Faccio scivolare le mani giù, fino ai polpacci tesi sul piedistallo dei tacchi, attraverso il camoscio morbido degli stivali. Va bene. Rispondo alla fine. Stringo fra le dita carne e pelle ben conciata. E poi lascio la presa e mi tiro in piedi, schiena contro la porta. 

Vanja fa un passo indietro. Come sono messo? Chiede stiracchiandosi addosso la camicina sottile. 

Aspetta, dico. Tolgo con l’indice uno schizzo gelatinoso dal colletto nero, lo asciugo sui jeans. Sei tutto spettinato, dico. 

Mi riabbottono i jeans, l’uccello rientra obbediente nella sua casetta di tessuto. Ha dato. 

Cintura. 

Molle contro la porta, guardo Vanja che si liscia giù i capelli. 

Ci sei quasi, dico. Ma devi toglierti quel sorrisino o non sei credibile. 

Vanja stiracchia un’altra volta la camicina, vedo un’ombra di capezzolo piccolo, rosa, attraverso il nero. 

Non guardare. 

Vanja incurva un altro po’ le labbra. 

Non ti preoccupare, dice. Quando usciamo dalla porta staró nel personaggio. E comunque non ho mica finito con te, dice. Prima ti ho fatto una promessa. 

Cosa, Vanja?

Ma lui sta già girando la chiave, socchiude la porta aggrappato alla maniglia, l’altra mano sullo stipite. 

Aveva. Ragione. 

La fila è decisamente lunga. Vanja si toglie i capelli dalla fronte sudata, si guarda intorno, occhio semichiuso, angoli della bocca all’ingiù, un piccolo martire. 

Meglio. Dice a mezza voce e si aggrappa al mio braccio. 

Uno, un biondastro con una camicia molto bianca, lo squadra tutto mentre passiamo, dagli stivali alti alle guance rosse. 

Gli viene la faccia come se avesse pestato una merda. Ma non ce l’avete una casa, voi? Chiede, storcendo il naso. 

Vanja alza la testa, fa un sorrisino sazio. Troppo lontana, dice e si pulisce l’angolo delle labbra con il dorso della mano.

Il biondastro apre la bocca, la richiude. Mi fai proprio schifo, finocchio di merda, dice alla fine. 

Vanja alza le spalle. Bah, dice. Scusa ma devo andare. Si staranno chiedendo tutti dove siamo finiti. 

Li abbiamo già fatti aspettare un pochino, rincaro. Ridacchio e catturo Vanja per la vita. 

Sayonara bellezza, dice mentre lo sto già portando via. E soffia un bacino verso il biondastro. 

Aspetta. Aspetta, frocio del cazzo, vieni. Sento da dietro, ma siamo già alla porta.  Vanja aggrappato al braccio, faccio il corridoio in tre passi; poi fuori c’è solo casino. E buio. 

Vanja ride, più forte della musica e del vociare attorno. Sei fantastico, mi urla nell’orecchio. Ma ti devo pagare anche come bodyguard?  

Mi ha dato fastidio, quello, gli dico tirandolo avanti, un braccio attorno alle sue spalle strette, l’altro mi serve per spostare persone dalla nostra traiettoria.  

A dirla tutta avrei voluto colpirlo in faccia molto forte, al biondastro. Fargli uscire il sangue. 

Atterrato. Sulle piastrelle sudicie del cesso. 

Frocio del cazzo. A Vanja. Lo stringo più vicino, nella foresta di bicchieri e facce. 

Non sei un frocio del cazzo, borbotto. Tu sei. Bellissimo. 

Vanja alza la testa, sorride. Grazie, gli leggo sulle labbra, sta sorridendo davvero. Parecchio. 

Cazzo. Come ha fatto a. Sentirmi? Ero sicuro. Nel muro solido di rumore che ci circonda. Che non avrebbe potuto. 

Mai. 

Vanja affonda la mano nella tasca dietro dei miei jeans, alza di più la testa. 

Vieni o quello ci riacchiappa, dico trascinandolo attraverso la gente e i tavolini. Non voglio attaccare briga. 

Cioè. In realtà mi piacerebbe ma non sono bravo in queste cose. 

Poi una mano mi atterra sulla spalla. 

Eccolo qua. Sento dire. Mi volto e abbiamo di fronte il biondastro di prima, con tutta la camicia bianchissima. Facile trovarti, con quella benda sull’occhio. Ma chi cazzo sei, il corsaro nero? Sogghigna, e sogghigna anche l’amico suo lí vicino. 

Vanja fa un sorrisino molto divertito. Più Jolanda, dice piano; e poi più forte: volevi qualcosa da me? Ti è rimasta la curiosità? Vanja gli si avvicina, tutto dentro il suo spazio personale; il biondastro fa un passo indietro, Vanja si sporge in avanti, in punta di piedi, occhio socchiuso, labbra protese.

Io potrei essere geloso. Il biondastro non apprezza, invece, ed indietreggia ancora, spinge via Vanja, contro di me. E io ci sono. Ci sono sempre, a prenderlo per le spalle, bilanciarlo sui tacchi a stiletto. 

Beh? Gli dice Vanja, stringendosi contro di me. Ti faccio schifo, ora?

Brutto frocio di. Sibila il biondastro, e carica il pugno. 

Gli afferro il polso, con l’altro braccio scosto Vanja indietro. Avvicino la faccia a quella del biondastro, chiamo un sorriso da figliodiputtana. 

Ce ne ho sempre uno da parte quando c’è di mezzo di Vanja. 

Magari vuoi parlare con uno grande quanto te, gli dico. Vieni fuori. 

Come no! Risponde lui; lo seguo attraverso la porta, il marciapiede è pieno di persone che bilanciano drinks e sigarette. 

Si scostano a cerchio, quando arriviamo; il biondastro ha già la mano stretta a pugno, si piazza di fronte a me. 

Mi abbatte il colpo sulla faccia, ma io sono più veloce, io lo. Sapevo. 

Le nocche del biondastro sono dure contro lo zigomo, un lampo bianco mi chiude la vista; ma anche il mio ginocchio dev’essere parecchio duro, dritto fra le sue gambe, perché quello fa un suono soddisfacente e si piega su se stesso, tenendosi le palle. Poi cade in ginocchio, la testa china, le spalle piegate. 

Quello non ci riprova più. 

Sbatto all’indietro, qualcuno mi tiene in piedi. Morbido, mani, strette, sulle spalle. 

Wow! Ci sai anche fare, allora. Cassie, nell’orecchio. O Polly, vai a sapere. 

Tutto a posto? Voce grossa e corrisponde al tipo che la emette. Mi compare di fronte, tutto fasciato in pelle e vinile, nerissimo, molto. Molto grosso. Molto. 

Alex! Questo è Vanja, tiepido, contro il fianco. Fai vedere, dice e prende la mano che mi sto premendo sulla guancia. 

Faustus! Cassie, dietro di me. O Polly. Finalmente, questa. Merda. Un braccio fasciato di seta bianca indica il biondastro. Quello intanto si lamenta, tutto rattrappito su se stesso. Stava infastidendo i miei amici. Finisce lei. Per fortuna c’era Alex. 

Per fortuna. Vanja mi guarda e mi si fa più addosso, una mano sulla spalla.  Che stronzo. Dice ancora. Mette le dita al posto delle mia, mi sento lo zigomo tutto caldo. Pulsante. Ti fa molto male?

Il grosso guarda me, poi Vanja. La mano che mi tiene sulla guancia. Fa un mezzo sorriso. Scusate per l’inconveniente ragazzi, dice con una smorfia sfastidiata. Questo, qui non ci entra più.” Indica il biondastro con la testa rasata. “I drinks sono a carico della casa. Qui non ci piacciono quelli che fanno stronzate.”

Grazie Faustus, dice Cassie. O forse è Polly

Il grosso le fa un sorriso scintillante si denti candidi. Per te tutto, cara. 

Ci guardiamo negli occhi. La serata è finita, gli accordi presi. 

Sentiamoci per fissare una data e decidere la location. Cassie ravvia la frangia dalla fronte di Vania. La pelle della benda che ha sull’occhio sembra un buco, oscuro. Fondo. Un portale per posti. Pericolosi. 

Vanja le sorride, le prende il polso e si porta le sue dita sulla bocca. Le succhia lentamente guardandola negli occhi. 

Le vengono gli occhi a cuoricino. Non dovrebbe essere legale, borbotta ma sta sorridendo. Toglie le dita e lo bacia sulla bocca. Vanja mugola. 

Ci vediamo presto. 

Se ne vanno sgonnellando, allacciate per la vita. I capelli lunghi che si mescolano fra loro. 

Belle, sussurra Vania, ma te. Te sei meglio. 

Che succede stasera? Non eravamo mai andati al di là del professionale, io. Sono quello che lo scopa. 

Ma solo se sto registrando. 

O se dobbiamo fare una demo volante per due gemelle uscite da un sogno bagnato. 

Vania mi prende per la. Vita. 

Sempre. 

E mi porta via. 

Non ho ancora finito con te te lo ricordi? Sussurra stringendosi al mio. Braccio. 

Chiudendomi. Tutto. Nell’abbraccio del suo occhio, che non è blu e nemmeno viola ed ora sembra. Nero. Un pozzo senza fondo per farmi inghiottire da. 

Lui. 

Vieni. Mi da un bacio sul collo e mi riporta al furgone. Si torna. 

A casa. 

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